Attualita

 
Incontro con il dottor Mirri, appena rientrato dal Togo
 
Il giorno 27 marzo alle ore 20:30 nella biblioteca comunale, finalmente, abbiamo incontrato il dottor Mirri. Era da tempo che alcune persone di Casola Valsenio desideravano organizzare un incontro con il dottore di Imola perché sapevamo delle sue missioni in uno dei paesi più poveri dell’Africa, il Togo. “ Quando senti parlare di Togo non ti domandi neppure cos’è perché la prima cosa che ti viene in mente è un  biscotto con una forma caratteristica: lungo lungo stretto stretto ricoperto di cioccolato nero nero, ecco il Togo è proprio così!” scrive nel suo libro. Si affaccia sul golfo di Guinea, è vasto come il Lazio, la lingua ufficiale è il francese, i circa 7 milioni di abitanti vivono per lo più in villaggi rurali. Ci sono dei legami tra il dottor Mirri e Casola Valsenio. Uno in particolare, il “camminare”, ci ha dato l’occasione di incontrarci più volte, camminare insieme  verso una meta, camminare per incontrare, camminare per conoscere, camminare e pregare. Per varie ragioni l’incontro è avvenuto solo quest’anno e proprio dopo pochi giorni dal rientro dall’ultima missione del dottore in Togo, il paese dell’Africa occidentale, dove è già stato varie volte, dal lontano 2004. Ci racconterà come, quando, perché è nata in lui questa voglia di andare, di camminare più lontano, anche nelle strade dell’ Africa, anche verso le persone dell’Africa. La sua esperienza è individuale, non può essere generalizzata perché riflette e racconta una piccola parte di spazio e tempo  di questo grande complesso continente. Però può servirci ad illuminare la nostra conoscenza. Il titolo dato alla serata è ”L’Africa è grande, ma da qualche parte bisogna cominciare”.
Siamo tutti orecchi per ascoltare il dottor Mirri , forse faremo anche domande per avere risposte più sincere e meno ideologiche, da chi lavora sul campo.
 Il dottore racconta come nel lontano 2004 gli capita di poter andare in Africa perché un amico deve portare due ecografi e nella missione c’è un posto libero. Perché no?  E stato amore a prima vista, soprattutto perché là c’è bisogno di rispondere a bisogni essenziali: una cura urgente per gli occhi, un parto difficile, un pozzo da scavare, un tetto da rifare, qualche banco da aggiustare e qualche quaderno da portare ai bambini. Così, nel corso tempo, questo viaggio è diventato un appuntamento fisso, due volte all’anno parte, con un gruppo di medici e infermieri e qualche altro volontario. 
Capiamo subito che questo è un incontro con una persona che si è innamorata dell’Africa, che ha una sensibilità religiosa, ma soprattutto umanistica e democratica, crede nell’amicizia tra le persone e tra i popoli, dal libro dei Proverbi una massima è  stata fatta sua: “ Non negare un beneficio a chi ne ha bisogno se è in tuo potere farlo”.
Dopo il primo viaggio pensa ( e scrive nel suo libro): 
“Però mi riprometto che l’avventura continui. Deve continuare. Il mal d’Africa è qualcosa che ti entra dentro, ti prende e ti costringe a non dimenticare chi ha mille volte meno di te, ti spinge a raccontarlo, a voler coinvolgere chi incontri e che non può rendersi conto di ciò che non ha mai visto. TU DIVENTI I LORO OCCHI, TU VUOI ESSERE I LORO PENSIERI, TU SEI LA MANO CHE ASPETTA APERTA PER ESSERE COLMATA PER CHI E’ LAGGIU’ CHE ASPETTA …E NON DIMENTICA.”
Intanto si è  anche fondata l’ organizzazione laica AVIAT, con finalità di aiuto alle persone senza distinzioni confessionali, aperta a tutti e formata da volontari con diversi indirizzi religiosi, culturali e politici che raccoglie fondi ed organizza  interventi per il Togo, a cui si può devolvere il 5 x 1000. E’ stata fondata anche per dare visibilità e maggiore concretezza a un’attività di aiuto al Togo, riunendo volontari italiani amici di questo paese.
Un’ esperienza come la sua è un’ esperienza di volontariato  e qui a Casola il volontariato ha radici profonde, quindi durante la serata si avverte  una vivace attenzione verso le situazioni di emarginazione e povertà raccontate dal nostro ospite. Il dottore ci fa vedere molte immagini di quella lontana realtà, lontana non solo per lo spazio fisico che c’è tra noi, ma anche per le condizioni di vita così legate alla pura sopravvivenza,  
 La sensibilità e l’attenzione dei presenti sarà grande , gli avevamo detto, ed è così. 
C’è sempre qualcosa di particolare che colpisce ciascun ascoltatore in una serata come questa,  immagini diverse rimangono nella mente:  
Sandra ricorda la serenità e la semplicità con cui il dottore  ha raccontato la sua esperienza. La gioia delle persone che rivelavano la sicurezza e la felicità per aver trovato qualcuno che dà una risposta ai loro bisogni.
Pierino ricorda le immagini dei bambini  operati di cataratta. E poi la fondazione di una  associazione che organizza razionalmente e su più vasta scala gli interventi …
Luisella ricorda i bambini che cercano nella spazzatura, la scuola vecchia e la scuola nuova
Dana le macchine da cucire con cui producono camicie allegrissime, che ahimè vengono vendute in numero limitato…
Teresa le corte zappe che faticosamente servono a lavorare la terra, assolutamente insostituibili per loro che lasciano appoggiate al muro dei capanni le nostre zappe occidentali più lunghe, più efficienti, più comode….
Silvana ricorda gli uomini intenti a scavare i solchi per la fibra, là manca tutto, ma i cellulari ci sono! Ognuno di noi  porta a casa un’ immagine, una sensazione, un’intenzione di aiutare. Maurizia, la moglie del dottore per esempio, da tempo, si è specializzata in oggetti di ceramica che vende con successo a Imola nei vari periodi dell’anno, soprattutto a Natale, l’ultimo incasso è servito a operare di cataratta molti bambini. 
Quella “goccia” di aiuti portati nel mare dei bisogni di quelle persone  assume tanta importanza e significato, abbiamo visto nelle immagini il sollievo e la speranza. 
Poi siamo andati a casa e non ho potuto fare a meno di pormi tante domande…noi, così ricchi rispetto a loro, che abbiamo la scuola con i banchi e i quaderni, abbiamo l’assistenza, le strade, gli ospedali, potranno anche loro un giorno aspirare al benessere, alle opportunità diffuse, a governi meno corrotti che amministrino con giustizia le ricchezze della loro terra?! 
Mi butto a leggere libri sull’Africa, che diano uno sguardo più ampio, “ La speranza africana” di Federico Rampini, sorprendente! Scrive: “Contro gli stereotipi s’impone una nuova narrazione dell’Africa. Ce la chiedono autorevoli personalità africane del mondo politico, artistico, imprenditoriale, che si riprendono il diritto di raccontare l’Africa così com’è davvero, senza piangersi addosso, ribellandosi ai luoghi comuni occidentali”. Leggetelo è ricco di notizie sconosciute, mai ascoltate nei notiziari nostrani.
Rivedo “Io capitano”, commovente! Tutti hanno diritto di sognare il loro futuro! 
Rileggo alcuni romanzi del Nobel 2021 Abdulrazak Gurnah, affascinante, antica Africa.
 Intanto sento al telegiornale che Russia e  Cina  aumentano sempre più la loro influenza nel continente…!!! Intanto sento di nuovi naufragi! 
Grazie dottor Mirri di portare una “goccia” di benessere a quella popolazione del Togo, noi collaboreremo con te in qualche modo!!! 
 
Paola Giacometti

Non tutti sanno che nel nostro paese è presente una casa famiglia. Io stessa sono venuta a conoscenza della sua esistenza solo poco tempo fa, e parlandone con amici e parenti mi sono resa conto del fatto che molti ignorassero la presenza di questa realtà a Casola Valsenio. La casa famiglia, per definizione, è una struttura destinata all'accoglienza di minorenni, disabili, anziani, adulti in difficoltà e/o a persone con problematiche psicosociali, e si configura come una comunità di tipo familiare con sede in un’abitazione civile. Mi sono quindi ripromessa di approfondire la conoscenza di questa struttura, e di farla conoscere il più possibile anche a tutti i miei concittadini. Ho incontrato Marcella Marzioni, colei che ha dato vita alla Comunità familiare “I colori”, per capire quando è nata e quale tipo di attività si svolge al suo interno.

Ci siamo incontrate in un pomeriggio di inizio aprile, e non appena sono entrata in casa sua sono stata accolta dai sorrisi di cinque meravigliosi ragazzi: uno stava lavando i piatti, mentre un altro stava sparecchiando la tavola. Gli altri, dopo avermi salutata ed essersi presentati, sono usciti in cortile a giocare con il cane e a terminare il lavoro di raccolta dell’erba appena tagliata nel prato, armati di forcale.
Io e Marcella abbiamo parlato a lungo, e grazie ai suoi racconti sono riuscita ad entrare un po’ all’interno del loro mondo.
La Comunità familiare, situata alla Calgheria, è nata poco prima del Covid: è in quel periodo che Marcella, originaria del Friuli Venezia Giulia, si è trasferita a Casola e ha cominciato i lavori di ristrutturazione della sua nuova casa, per renderla strutturalmente adeguata ad accogliere i ragazzi. Marcella è un’educatrice professionale laureata, che ha alle spalle un passato di coordinatrice in una struttura per minori non accompagnati. È stato proprio questo suo passato lavorativo a spingerla a «cercare di fare di più e a fare meglio»: in una struttura così grande, che accoglieva oltre 80 ragazzi, sentiva molto la carenza di un rapporto individuale con loro, così come nella progettazione di un percorso di vita ad hoc per ciascuno di essi. Ha quindi scelto di mettere a frutto l’esperienza maturata negli anni a contatto con questi ragazzi, e di realizzare una struttura tutta sua, ma più piccola, nella quale il progetto di vita perseguito fosse assolutamente individualizzato e personalizzato sulle esigenze del singolo minore.

Il Nuovo Cinema Senio, in questi due anni, ha svolto un ruolo fondamentale nel tessuto culturale di Casola Valsenio. Le sue proiezioni cinematografiche, che si tengono tra inizio novembre e fine marzo, hanno regalato emozioni e riflessioni a un pubblico molto variegato. Sono stati proiettati 22 film, per un totale di 44 proiezioni, ma il cinema è molto più di una semplice sala buia.
È stato il cuore pulsante di numerose iniziative, coinvolgendo associazioni locali, scuole e persino eventi istituzionali. Oltre 25 eventi hanno animato la vita del paese, creando un legame tra cultura e comunità.
Oggi, abbiamo il piacere di intervistare il Presidente dell’Associazione, Gianantonio Gentilini, meglio conosciuto come Gianni.

Puoi parlarci un po’,in generale, della società Nuovo Cinema Senio?
L’Associazione “Nuovo Cinema Senio” venne costituita nel mese di ottobre del 2020 da alcune persone, in parte reduci dall’esperienza della vecchia associazione che era giunta all’epilogo della sua storia.
Le vicende del COVID che hanno condizionato la vita di tutti noi, hanno sortito l’effetto di ibernare per altri due anni l’avvio delle attività. A fine 2022, finalmente, con un gruppo anche più cospicuo si è riusciti a partire.
Va detto che l’Amministrazione comunale, in particolare nei membri della giunta: sindaco e assessori, è stata basilare nel fornire il supporto affinchè il progetto potesse realizzarsi e non possiamo fare altro che ringraziarli, anche pubblicamente, tramite di voi.
La compagine, sia nel consiglio direttivo che nella base sociale, è eterogenea e va a pescare un po’ in tutto il tessuto sociale e culturale della nostra comunità, il chè non può che essere positivo.
Una menzione vorrei dedicarla a Marino Fiorentini che risulta essere nella lista dei soci fondatori. Con lui ci siamo ritrovati a collaborare all’inizio della fase operativa poi, come tutti sanno, ci ha lasciati prematuramente lasciando un vuoto non indifferente sia a livello umano che professionale.

Abbiamo notato un approccio diverso nel proporre l’offerta cinematografica rispetto al passato. Cosa puoi dirci in merito?
Questa, probabilmente, è la grossa novità che questo consiglio direttivo ha proposto al pubblico. Quando ci sono titoli “importanti” oppure ricorrenze di valenza sociale, come la Festa della donna o la Giornata della memoria, non ci si limita a comperare una pellicola e attaccare il manifesto in bacheca facendo un po’ di promozione ma si crea un evento completo coinvolgendo figure che siano inerenti al film stesso o distribuendo gadget, aperitivi… o promuovendo altre iniziative che nascono di volta in volta. Pensiamo che questo approccio sia ben accetto dalla gente e ci pare cheil riscontro sia positivo.
Sicuramente cerchiamo di non perdere nessuna occasione per fare promozione e, devo dire che, a mio avviso, compatibilmente con gli strumenti che abbiamo a disposizione, la cosa è gestita molto bene dai soci che hanno in carico questa delega.


Ci dici, per l’appunto, quali iniziative,oltre le proiezioni cinematografiche, hanno coinvolto la sala cinematografica? E quali sono state le collaborazioni o eventi speciali?

Sicuramente di eventi speciali ce ne sono stati. Voglio ricordare quelli che hanno coinvolto personaggi come la volontaria di ONG, Giulia Lonoce, che si è intrattenuta con il pubblico prima della proiezione di “Io Capitano”. Aggiungo il video intervista dell’attrice Cecilia Bertozzi che ha introdotto la proiezione di “Comandante” e l’intervento di Maurizio Giordani per la proiezione di “Chi segna vince”.
Abbiamo inoltre una collaborazione consolidata con L’Anpi che per la Giornata della memoria si impegna a fare in modo che ci sia una proiezione di un film simbolo da far vedere a tutti i ragazzi delle scuole.
La sala è a disposizione per altri eventi che chiedano il patrocinio al comune. Nel periodo recente ho in mente la pubblica assemblea di febbraio sul tema alluvione, la proiezione del documentario di Bellini “Mare di Fango” non ultimo il processo alla vecchia per la festa di primavera.
Qualsiasi evento si organizzi, anche se non ci coinvolge direttamente, comporta che ci siano soci che si rendono disponibili per tutte le attività collaterali che non sono poche ed è anche grazie alla volontà e la dedizione di queste persone che l’associazione riesce ad andare avanti. Un grande ringraziamento a tutte queste persone penso sia dovuto e che parta dal cuore.


A tal proposito abbiamo rilevato qualche malumore dopo la vicenda del processo alla vecchia nel quale un po’ di gente è rimasta esclusa dall’ingresso alla sala per supero della capienza, cosa pensate di fare?

Di recente, è diventata celebre l’inchiesta di una giovane giornalista romagnola – Giulia Innocenzi – che ha indagato sulla connessione tra l’industria della carne, le lobby e il potere politico, all’interno dei paesi UE. L’inchiesta prende forma nel docu-film investigativo Food for Profit (aprile 2024) [Proiezione ai VECCHI MAGAZZINI 11 giugno 2024], da lei diretto assieme al regista internazionale Paolo d’Ambrosi. Il documentario è apparso – in versione ridotta – in una recente puntata di Report su Rai 3 (visibile in streaming), programma in cui Giulia aveva già partecipato con un’indagine sotto copertura in cui era riuscita ad entrare nel maxi allevamento-grattacielo di maiali in Cina (sempre visibile in streaming su Rai), oltre ad essere proiettato in molti cinema italiani proprio in queste settimane. Il film ha l’intento demistificatorio di portare alla luce le controverse intenzioni di alcuni rappresentanti della politica a Bruxelles che, sull’impulso delle lobby dei grandi allevamenti intensivi, vorrebbero investire sempre più miliardi – e già lo fanno – nel settore agro-alimentare. Ma i finanziamenti pubblici della PAC – Politica agricola comunitaria – vanno per oltre la metà al 10% agli imprenditori più ricchi e solo il 6% delle sovvenzioni al 50% di quelli più poveri, anche se attualmente le riforme stanno cambiando (dati Matthews 2022). Oltremodo, l’obiettivo è sicuramente quello di raccontare, attraverso la crudezza delle immagini, le condizioni aberranti a cui sono sottoposti certi animali – gli stessi a cui l’Unione Europea dovrebbe garantire i diritti per evitare loro sofferenze e inutili maltrattamenti – nonché quello di riprendere situazioni gravi che in quanto tali avrebbero un impatto ecologico sul territorio e di conseguenza sul pianeta.

Premessa – l’articolo che segue non ha alcun interesse a screditare l’attività degli allevatori o della loro professione in generale, di chi lavora onestamente, delle aziende agricole dislocate anche sul nostro territorio. L’inchiesta riportata da Giulia nel suo film si riferisce agli allevamenti che non rispettano le normative europee: qui non facciamo di tutta l’erba un fascio. Proprio per evitare discriminazioni di categoria, è stata condotta una piccola ricerca sul territorio, raccogliendo opinioni diverse tra allevatori e professionisti del settore, al fine di avere gli elementi necessari in grado di formare anche l’opinione dei lettori di questo articolo, che vestono i panni dei consumatori nella realtà quotidiana. L’obiettivo è proprio quello di fare chiarezza sul tema e generare un dibattito aperto che possa stimolare la riflessione sui contenuti qui proposti.

Problematiche e dati alla mano

Siamo franchi: molti di noi mangiano carne, spesso. Personalmente, mangio carne da tutta la vita. A volte, se manca la pasta o la carne, mi pare di non aver nemmeno pranzato. Quindi non ho mai disdegnato: la bistecca di vitello, la costola d’agnello, la fiorentina, lo stufato, la salsiccia grigliata; ma anche gli insaccati, il brodo con il lesso dentro, il ripieno dei cappelletti (i nostri di collina), il ragù, le polpette ecc. In Romagna, poi, l’alimentazione e lo stare a tavola rientrano nella nostra cultura più intima e casereccia, a cominciare da quella trasmessa dai nostri nonni, molti dei quali contadini, che, nel periodo invernale, uccidono il maiale per fare scorta tutto l’anno. Il maiale può essere considerato l’animale simbolo della Romagna dal punto di vista alimentare, la cui storia rimanda agli antichi confini di queste terre: Longobardi (poi Franchi) e Bizantini. A pensarci, la piadina nasce con lo strutto, non con l’olio. Ergo, l’allevamento porta con sé un enorme valore culturale da cui non possiamo prescindere e non è semplicemente finalizzato alla mera alimentazione. Questo porta a coinvolgere i sentimenti e a complicare i ragionamenti. Personalmente, tutto ciò mi è sempre andato bene (almeno finora): d’altra parte, se la carne si vuol mangiare, l’animale si deve uccidere.

Negli ultimi anni, tuttavia, il tema della produzione di carne è tornato alla ribalta in conseguenza all’emergenza climatica: all’esigenza di invertire la rotta in termini di emissioni di CO2, alle ragioni del discorso ecologico e dell’economia sostenibile. Riportiamo qui alcuni dati scientifici, ad oggi ancora oggetto di dibattito tra gli esperti:

  • l’allevamento tradizionale sarebbe responsabile di circa il 14% delle emissioni di gas serra e il 32% delle emissioni di gas metano riconducibili all’attività umana, ed è anche una delle principali cause di perdita di biodiversità – perché per nutrire il bestiame grandi aree boschive vengono convertite in monocolture (come la soia per esempio). Tuttavia si sta discutendo molto sull’impatto effettivo causato dal settore agricolo: il dato scenderebbe di molto se si considerano gli assorbimenti (l’emissione di CO2 in Europa scenderebbe dall’11% al 4%); inoltre, bisognerebbe distinguere i gas a vita breve (metano) da quelli a vita lunga (CO2), utilizzando parametri differenti. Sul tema dell’assorbimento, per esempio, si dovrebbe tenere conto che gli animali allevati, come i bovini, trasformano foraggi e cellulosa in proteine nobili (carne e latte), mentre rilasciano, per metabolismo, metano e CO2 – che sono altro rispetto alle sostanze inquinanti emesse in atmosfera per combustione. Di vero, però, c’è da dire che gli allevamenti intensivi impattano molto a partire dai liquami degli animali, i quali generano particolato secondario (fonte Greenpeace e ISPRA, 2020: in Italia gli allevamenti intensivi sono responsabili del 17% di emissioni di PM2.5, dannosi per la qualità dell’aria). È importante però distinguere, per esempio, il letame dal liquame: il primo deriva da allevamento su paglia, si trasforma in humus che lentamente genera fertilità nei campi, mentre il secondo è un sottoprodotto dell’agricoltura industriale – altro non è che l’acqua nera proveniente dal lavaggio delle stalle – e non subisce trasformazioni ma va diretto nel terreno, con rilascio di nitrati in falda acquifera e ammoniaca in atmosfera.
  • Riguardo all’impronta idrica della carne – ossia l’utilizzo dell’acqua nel processo di produzione della carne, che tiene conto quindi della produzione dei mangimi, l’allevamento, la depurazione degli ambienti e la macellazione – convenzionalmente si aggirerebbe intorno ai 15.000 litri per 1kg di carne (anche se il Water Footprint Network non terrebbe conto che la maggior parte dell’acqua utilizzata è piovana evo-traspirata dal terreno delle colture destinate ai mangimi, e torna dunque al suo ciclo naturale: in tal senso, il dato si ridurrebbe di parecchio, circa dell’80%). Di fatto, l’impronta idrica per la produzione alimentare in generale vede al primo posto la carne: quella bovina – seguita da fragole e frutta secca – poi ovina, suina e pollame.
  • Una cosa è però certa: la carne ha anche e soprattutto un impatto sulla salute. Citiamo pure che l’OMS ha dichiarato la carne rossa dannosa a lungo andare per l’organismo (malattie cardiovascolari, diabete), consigliandone un consumo moderato, e ha inserito le carni lavorate (insaccati, salsicce, wurstel, hamburger ecc.) nel gruppo 1 dei prodotti sicuramente cancerogeni (secondo l’IARC esiste una netta correlazione tra questi alimenti e il rischio di sviluppare il cancro) anche a causa della presenza di nitriti e nitrati utilizzati per processarle, conservarle e proteggerle dai patogeni esterni. Inoltre, con l’avvento dell’età globalizzata, siamo diventati i più grandi consumatori di tutti i tempi, anche e soprattutto di carne, mangiando 3 volte il corrispettivo delle generazioni precedenti (a dispetto della dieta mediterranea).

Che gli allevamenti influiscano sull’impatto ambientale, come ogni attività umana, non c’è dubbio. Se cerchiamo il pelo nell’uovo, tentando di definire che cos’è l’allevamento “intensivo”, entriamo in un dibattito controverso. In effetti, quando si parla di allevamento intensivo ci viene restituita un’immagine di animali ammucchiati in grandi capannoni, costretti nei loro box ad alimentarsi e riprodursi rimanendo pressoché immobili. E in questo, in buona parte, è vero: soprattutto se pensiamo alle mucche da latte, alle scrofe, ai polli e alle galline ovaiole (a riguardo dei pulcini maschi delle ovaiole – non geneticamente selezionati per la carne – si apre un capitolo a parte, dato che vengono soppressi a migliaia dopo la nascita perché non sono vantaggiosi economicamente. Anche sull’allevamento di vitelli e agnelli ci sarebbe da fare una questione a sé). Ma ci sono dettagli che per buona informazione vanno citati: come l’esistenza di norme che regolamentano l’ampiezza di tali spazi e la distribuzione dei capi di bestiame. Se i detrattori dell’allevamento intensivo lo considerano un’attività di tipo “industriale” che non rispetta il benessere animale ed è fonte di pericolo per igiene e salute, i sostenitori ritengono che tali allevamenti garantiscano invece protezione, un’adeguata disponibilità di alimenti e acqua che riduca gli sprechi, nonché maggiore controllo e possibilità di curare gli animali da malattie infettive. Esistono dei protocolli molto severi – in Italia ancora di più – che prevedono controlli serrati, dalla nascita dell’animale fino al termine del suo ciclo vitale, dall’alimentazione all’allattamento e svezzamento dei cuccioli, ecc. L’allevamento estensivo – il quale ci riporta ad un’immagine bucolica del rapporto uomo-natura – influisce sì sul benessere dell’animale, garantendogli una vita quanto più simile allo stato brado, ma – secondo i tecnici – ciò non significa necessariamente che l’animale libero sia sempre e comunque più sano. A livello sanitario, inoltre, la normativa attualmente sarebbe quella di somministrare antibiotici il meno possibile, a causa della resistenza batterica sempre maggiore (con cui dovremo fare i conti in un futuro non lontano). Insomma, la zootecnia vorrebbe rassicurarci presentandoci il modello intensivo “più vicino” all’esigenze dell’animale – almeno idealmente – che non il crudele “tritacarne” a cui siamo abituati a pensare. Le condizioni di igiene e benessere approssimative, che quarant’anni fa potevano essere considerate normali, oggi non sono più tollerate: in passato gli animali non avevano diritti, erano maltrattati e subivano una fine più brutale. Parlando con un zootecnico, chiaramente mi dice che: non è nell’interesse di nessuno lasciare che l’animale patisca sofferenze o stress eccessivo, dato che ne influirebbe sul suo rendimento in termini di sviluppo e sul prodotto finale.

Intervista al vice sindaco Maurizio Nati

In questi ultimi mesi diverse son state le occasioni pubbliche che hanno affrontato i temi del post alluvione.

Il 6 febbraio al cinema Senio un folto pubblico ha ascoltato e dibattuto per più di due ore le questioni legate alle procedure di richiesta dei danni e delle risorse disponibili. Erano presenti il vice presidente della regione Irene Priolo, il nostro sindaco, il responsabile della Protezione Civile della Prov. Di Ravenna Geologo Marco Bacchini, la consigliera Manuela Rontini.

Nella serata del 9 dopo un primo momento informativo è stato proiettato il docu film “la grande frana” con la sala gremita di persone che hanno potuto rivivere il dramma di quei tragici giorni di maggio. Matteo Bellini che ha curato la regia, il montaggio e girato parte delle scene ha saputo rievocare i sentimenti crudi e intensi di quei giorni riproponendo il 23 la seconda parte del suo lavoro.

A tutte le serate era presente anche Maurizio Nati che ha rendicontato lo stato dei finanziamenti , dei lavori realizzati e in corso d’opera.

Maurizio ci puoi aiutare a fare il punto della situazione complessiva dei lavori pubblici straordinari e ordinari che interessano il nostro comune?

Partiamo dalle risorse. Ad oggi il nostro comune ha potuto saldare tutti i lavori della prima fase, quella cosiddetta di somma urgenza, per un importo pari 2.521.942,00 € di cui 480.000,00 soltanto per il ripristino della viabilità nel tratto delle Case Bruciate. Ora siamo nella fase di messa in sicurezza delle strade comunali che ricordiamo hanno uno sviluppo di 91 chilometri quelle asfaltate e 13 Km quelle bianche. Con l’ordinanza commissariale numero 13 sono stati messi a disposizione del nostro comune 1.896.000,00 €. A queste risorse dobbiamo aggiungere 103.658,00 € relativi ai danni subiti dall’alluvione sul nuovo campo sportivo e i 124.000,00 € per lavori sulla piscina comunale. Altri 123.000,00 € ci sono stati assegnati per i danni della piena del 2 novembre, quella che a Palazzuolo ha devastato il tratto urbano del Senio.

Cosa si intende per messa in sicurezza?

Vuol dire che interverremo sui tratti più critici dove ancora il transito dei veicoli è permesso ai mezzi di soccorso e ai residenti. Dobbiamo riuscire a far sì che le attività economiche delle nostre campagne dalla coltivazione dei campi, alla conduzione degli allevamenti, all’accesso agli agriturismi avvengano in sicurezza.

Quindi i tracciati delle strade comunali con tutte le rettifiche seguite all’emergenza rimarranno così come li vediamo o verranno sistemati ?

La terza fase, dopo la somma urgenza e la messa in sicurezza, sarà la ricostruzione. A quel punto procederemo a risistemare i tracciati. Dovremo redigere i progetti per ricostruire le strade procedendo agli espropri laddove necessario e aprendo i cantieri per le opere necessarie. Purtroppo ad oggi la struttura commissariale non ci ha ancora fornito alcuna notizia né sui tempi né sulle risorse.

Parliamo delle condizioni di sicurezza del centro storico. Il tratto sul fiume di via Matteotti ha subito cedimenti e il Senio ha eroso la base della scarpata. Sappiamo che a metà febbraio hai coordinato un sopralluogo della protezione civile. Quali sono le prospettive?

Siamo stati a visionare tutto il tratto che va dalla chiesa del Suffragio fino alle ultime case che si affacciano sul fiume prima della piscina. Da subito la protezione civile regionale interverrà per mettere in sicurezza il tratto che dà sul Rio di Casola sotto al ponte dei Poggi. Sarà sistemato il muro in sasso nella zona torre del Galbetto lato destro Rio Casola, verrà collocata una rete di protezione sulla riva sinistra del rio Casola zona depuratore e ripristinato l’alveo sopra il tombinamento del Rio Casola, liberandolo dalle frane che anno ostruito i pozzetti d’ispezione. Servono interventi importanti di consolidamento anche nella zona riva sinistra fiume senio sdi sostegno al centro storico, dalla Torre Civica a Piazza L. Sasdelli, come a suo tempo si fece nel muraglione fino alla curva prima del ponte della Soglia, altri interventi di sostegno e protezione sempre sulla parte sinistra del fiume senio dovranno interessare il tratto tra Piazza Sasdelli fino alla strada SP 63 di Zattaglia e zona piscina . Per questo abbiamo già sollecitato e interessato la Regione e gli organi competenti, sono interventi importanti serviranno molte risorse ma estremamente importanti e urgenti .

E’ impressionante come il Senio abbia mutato il suo aspetto. In certe anse ha scavato nella roccia e in altre ha accumulato enormi masse di inerti così che si fa fatica a capire quali saranno gli esiti delle future piene.

Sul Senio, insieme alla Protezione Civile, abbiamo individuato alcune criticità: a Mercatale dove sta scavando sotto il centro abitato, a Baffadi sotto la Canova, in via dei Mulini e al Molinetto. Ma dobbiamo considerare anche i suoi affluenti e cominceremo a intervenire per primi su quelli a ridosso del paese. Il Consorzio di Bonifica ha a disposizione 650.000,00 € per la sistemazione del Rio di Casola, del rio della Peschiera e del Cestina dove i laghetti che riforniscono l’acquedotto hanno subito danni non lievi. Entro febbraio almeno quest’ ultimo cantiere dovrebbe essere concluso.

Proviamo a lasciare da parte i lavori seguiti agli eventi straordinari dell’alluvione e riprendiamo il filo di quelli che riguardano l’ordinarietà con una breve carrellata.

Se l’andamento climatico ci assiste il campo sportivo dovrebbe essere pronto nei prossimi mesi di maggio / giugno. Per le medie dovremmo assegnare i lavori entro aprile. Per il consolidamento del ponte della Soglia la Regione ha adeguato l’importo aggiungendo altri 40.000,00 € e a breve sarà ripetuta la gara d’appalto dei lavori. Un cantiere importante sarà l’adeguamento sismico delle scuole; sarà aperto alla chiusura dell’anno scolastico ma è difficile pensare che si concluda in un paio di mesi.

La redazione de Lo Spekkietto dedica sempre con grande piacere uno spazio a tutti i casolani e le casolane che, per motivi di studio o di lavoro, hanno avuto l’opportunità di trasferirsi all’estero. Sono per il nostro paese un motivo di orgoglio, simbolo di un sogno che si realizza, di un’aspirazione che prende forma e si concretizza.

Con grandissimo piacere ho intervistato Matteo Magigrana, un nostro compaesano talentuoso che ha sempre dedicato grandissimo impegno, dedizione e passione allo studio della musica, prima iscrivendosi al Liceo Musicale di Forlì e, dopo il diploma, al Conservatorio di Bologna.
Matteo è stato selezionato per il progetto Erasmus e lo scorso settembre si è trasferito nella capitale francese per proseguire gli studi di contrabbasso presso la prestigiosa Accademia Musicale "PSPBB - Pôle supérieur d'enseignement artistique Boulogne Billancourt".

Ciao Matteo! Dove e quando nasce la tua passione per la musica e, in particolare, per il tuo strumento?
“Mi sono avvicinato al mondo della musica in prima media suonando la chitarra a scuola, successivamente sono passato al basso elettrico per creare una band con i miei amici e solo in seguito ho iniziato a suonare il contrabbasso. Volevo iscrivermi al Liceo Musicale per approfondire i miei studi sulla musica quando suonavo ancora il basso elettrico, ma purtroppo il corso che volevo seguire non esisteva nel piano di studi, allora mi sono informato e ho scoperto che molti bassisti passano al contrabbasso per perfezionarsi, così ho fatto e non sono più tornato indietro.”

Parlaci del tuo percorso di studi.
“Ho iniziato a prendere lezioni private di musica in seconda media, successivamente sono entrato al Liceo Musicale di Forlì e mi sono diplomato nel 2019. Attualmente studio al Conservatorio “G.B. Martini” di Bologna e in questi anni ho seguito molte masterclass tenute da alcuni dei contrabbassisti migliori in Italia, per ampliare la mia conoscenza dello strumento.”

Tutti a Casola ti conoscono anche per le tue performance con i WonderRoof, al basso. Parlaci di questa doppia anima, classica e rock.

È l’1 settembre, venerdì. Palazzuolo sul Senio. L’anno, quello corrente: 2023.

Il vicolo è uno di quelli più antichi del borgo.
In piazzetta sotto casa stanno allestendo una serata con dj set improvvisato, quattro candele, tre tavoli, una cassa che batte sopra una finestra, una stanza dove servono da bere, fine. Di solito è il luogo dove si danno appuntamento i gatti nelle ore notturne: un rettangolo di dieci metri per cinque; attorno, alcune delle case storiche del quartiere con i loro giardini rialzati.
Decidiamo di uscire sulle 21:00, ma la musica rimbomba già da qualche ora. Scendiamo le scale e voltiamo l’angolo. Di fronte, venti persone, forse trenta, che riempivano quel misero vuoto. Nessuno ballava, si dialogava perlopiù, tutto sommato c’era buonumore. Certo, non che fosse una festa tipica della Contea di Hobbiville, in fin dei conti era sempre un modo per salutare un’altra estate che stava passando.
Prendo una birra, così fingo di essere a mio agio. La mia ragazza non beve; mio figlio, beh neppure, ha dieci mesi dopotutto. Scambiamo due chiacchiere con un tipo alticcio, poi ci appartiamo per non rimanere stretti nella bolgia (si fa per dire). A guardar bene, la gente se la passa: si sono già formate le isole delle confidenze, dove ciclicamente qualcuno cede il posto a qualcun altro per scambiarsi parola con quelli più in là, come accade per gli elettroni con gli atomi.
L’ideatore della festa – oggi il concept director – è un mio vicino di casa, un tipo folle. Per usare il linguaggio dei pischelli del pomeriggio al bar, mio fratello. Un idolo insomma. Mentre la gente sotto si scambia energia elettrochimica, lui se ne sta alla finestra del primo piano, con la musica a manetta, e muove la testa al ritmo dei bassi che sussultano l’aria. Felicissimo.
Anch’io mi rendo conto di sentirmi ok, adesso. Eravamo in compagnia di gente che voleva solo stare insieme, tutto qui. Basta anche solo un po’ si musica per dire che c’è vita, no?
E pensare che stasera devo finire Leopardi, dopo aver ripetuto tutto il giorno, cheppalle. Così mi dico. L’esame di letteratura è fissato a martedì. Chissà se Leopardi se l’è mai presa una pausa; chissà se s’è accontentato, anche di poco.
Bello accontentarsi, penso. Se ho deciso di vivere quassù, evidentemente è perché mi piace la piccola vita, l’umiltà delle cose, le facce di paese. Detta così, per poco non sembro io Leopardi. Diciamo che sì, sto bene con poco, mi accontento.
Poi però mi scende un’ombra di presa di coscienza dalla testa allo stomaco: ma accontentarsi non è mica tanto bello. Vuol dire che mi faccio andar bene tutto, anche quando tutto non va bene. Significa: non volgermi mai al meglio. No, così non va. Il primo furbo che passa mi abbindolerebbe come uno scemo (ed io non mi reputo uno scemo).
Il mio pensiero corre a stamattina, mentre guardavo mio figlio gattonare come un pazzo tra la camera e il salotto. Come fa ad essere così curioso di tutto, mi dicevo. Mio figlio è un magnete, come tutti i bimbi piccoli: si attacca a qualsiasi cosa; lesto anche di fronte al pericolo, non teme nulla – ecco spiegato il motivo per cui dovevo stargli addosso. Avessi anche solo la metà della sua grinta, avrei già affrontato la maggior parte dei miei problemi (specialmente quelli che mi creo nella testa). In breve, mi stavo domandando ciò che scrisse quel predicatore turco sugli uccelli, di cui non saprei pronunciare il nome*. Perché scelgo di rimanere in un posto quando posso volarmene altrove? In poche parole: perché accontentarsi? Io mi accontento troppo. Torno con la mente alla festa; devo andarmene e rimettermi a studiare, sennò non passo quell’esame, mi dico.

Poi però ci ripenso, immaginando che forse

Ciao EDICOLA, oggi 23 gennaio  chiudi i battenti.

Quando, circa 20 giorni fa,  lessi il cartello “cessasi attività” appeso al bancone in fondo, al confine tra la zona della vendita dei giornali e dei libri e l’angolo cartoleria, non ci credevo…forse si trattava di un passaggio di consegne, una provvisoria interruzione, un cambio di locale. Invece, dopo aver chiesto spiegazioni, mi hanno chiarito che  quel cartello era proprio l’annuncio della  definitiva   “chiusura” dell’edicola di Casola Valsenio il 23 GENNAIO 2022.

Non ho impiegato molto tempo a capire cosa ciò avrebbe significato per me e per tanti casolani ….una mancanza, un vuoto nella quotidianità, un ritmo interrotto. L’edicola chiude, chiude sull’odore di inchiostro dei giornali, sull’odore dei libri di carta, un odore che a qualcuno fa ancora piacere! L’edicola chiude sui colori squillanti delle copertine dei settimanali, sui disegni nuovi ed originali dei fumetti, sulle bustine delle figurine e degli album dei calciatori, chiude su uno sportello di notizie scritte su carta, verba volant scripta manent, qualcosa di più duraturo del passaggio di parola e dei messaggi sui social così veloci e caduchi nel buco nero del web, così veloci nel nascere e nello sparire.

Che a rileggere i giornali vecchi , invece, e chi non ne ha in casa, si sorride per la inadeguatezza, la preveggenza o la completa lontananza da ciò che poi è successo.

 Chiude sulle due chiacchiere da fare quotidianamente con l’ edicolante che tutti i giorni dell’anno era lì in posizione, come una postazione – istituzione, di quelle che ci sono sempre, affidabili e costanti.

Chiude sulle fotografie dei personaggi da copertina:   AlBano, Romina, Mara, che sembrano eterni, entravi lì e te li ritrovavi pronti a raccontarti un’altra parte di storia, uno sviluppo, una nuova puntata.

Chiude  sulla voglia di conoscere e di parlare.

Chiude su un’abitudine quotidiana,  settimanale, mensile forse un po’ antiquata, ma importante, il quotidiano, la settimana enigmistica, la rivista di giardinaggio, i fumetti. E’ vero, penso, che tutte queste cose le puoi trovare su Internet, ma vuoi mettere poter toccare la carta, vedere delle foto bellissime, tagliare un articolo da conservare e poi lo spazio concreto che occupa un giornale che si tocca, si apre, si piega, si posa, si riprende.

 
 

Le mascherine sono ormai entrate a far parte della nostra quotidianità e sono indispensabili per la tutela della salute individuale e collettiva. Ma dobbiamo proteggere anche l’ambiente, non gettando a terra questi dispositivi, ma conferendoli correttamente nella raccolta indifferenziata.

 

Rifiuti gettati a terra sotto il tendone del Centro Sociale “Le Colonne”. Foto di Valentina.

 

Rifiuti raccolti a Monte Battaglia, 15 gennaio 2022.

 

Benedetta Landi

Che cosa è l’ “ambiente”?

L’ambiente non è una entità fatta solo di terreni, boschi, colline e montagne, ma è una entità fatta e fortemente determinata ed identificata anche e soprattutto da esseri umani e da comunità umane che abitano i luoghi e da essi traggono sostentamento.

Un sostentamento che, se nel tempo, a causa dei mutamenti sociali ed economici, si rivela insufficiente, porta al progressivo spopolamento di intere aree e al concentramento dell’habitat umano in altre zone che diventano fittamente abitate, a volte in modo eccessivo sino a giungere, in casi estremi, a livelli che di “umano” hanno ben poco.

Qual è dunque la strategia da usare per mantenere un giusto equilibrio e non perdere e dissipare il grande capitale di storie, di socialità, di esperienze e di umanità che ogni comunità -anche la più piccola- nei diversi luoghi porta con sé, e che caratterizza e costituisce l’ “ambiente” nel significato più vero e completo in cui va inteso questo termine?

Ovviamente, in primo luogo, cercare di sfruttare al meglio ed eventualmente implementare le risorse disponibili in un certo contesto e possibilmente metterne in campo anche altre realisticamente realizzabili e sfruttabili.

 

 

Voglio dire, tanto per intenderci, sintetizzando con crudo ma onesto e concreto realismo: non basta per sopravvivere guardarsi attorno e dire “ Oh che bello!” perché poi viene anche l’ora del “pranzo” e bisogna pur trovare da mangiare.

Vediamo ora di transitare queste considerazioni generali nell’ambito dei problemi della nostra realtà locale.

Un tempo lontano la nostra valle, così come altre vicino alla nostra, era un luogo remoto, appartato, impervio, pochissimo abitato, coperto da vegetazioni incolte. Furono soprattutto i frati Benedettini che, insediatisi nel nostro territorio poco prima all’anno mille, iniziarono poco a poco a coltivare i terreni, a colonizzare gli ambienti collinari e montani e a favorire cosi gli insediamenti umani che stanno alla base della nascita delle nostre comunità.

Il nostro paese, il nostro comune e quelli intorno a noi sono il frutto di questa evoluzione ed è questo insieme di “umano” e di “territorio” che da vita ed identità al nostro “ambiente” ed alla nostra storia.

Questo processo storico è stato anche magistralmente descritto dal prof. Luca Onofri nel saggio da lui curato “ La spada, la croce, il giglio” , cap. “Monaci, santi e pellegrini”, dedicato all’Appennino romagnolo nel Medioevo e in Età Moderna e pubblicato nel Marzo 2021. Ed. “Il Ponte Vecchio” , disponibile presso la nostra biblioteca Comunale.

 

La storia poi evolve, mutano le condizioni ed i contesti ed è in questi nuovi contesti che le comunità devono trovare inserimenti, pena la loro estinzione.

Così, ad esempio, è stato per il nostro comune a partire dagli anni del dopoguerra. Il panorama e lo sviluppo dell’ economia del nostro comune, dapprima basato quasi esclusivamente -o in misura assolutamente prevalente- sull’agricoltura e sulle attività artigianali connesse, ha dovuto fare i conti con il passaggio alla economia industriale che ha favorito lo sviluppo dei grossi centri e delle località di pianura accentrando in essi, via, via, lavoro e servizi. Ed è ciò che ha portato, e sta inesorabilmente continuando a portare allo spopolamento del nostro territorio e della nostra comunità e di quelle a noi affiancate. Uno spopolamento che se, non lo si riesce ad arginare, porterà inevitabilmente a ridurre le nostre piccole comunità di collina a “entità” insignificanti,

Per fortuna, nel panorama esistenziale della nostra comunità, proprio all’inizio di questo fenomeno, alla fine degli anni ’50 , si aprì per Casola e Riolo uno spiraglio ed uno sbocco economico/produttivo che permise di aggiungere alle realtà esistenti un supporto di attività industriale che nel tempo ha fornito un paletto ed un sostegno importante alla nostra economia, all’occupazione di mano d’opera locale e conseguentemente alla nostra sussistenza.

Ciò avvenne nel 1958 quando l’azienda di stato Anic Spa, con sede a Ravenna, aprì la Cava di Monte Tondo sulla Vena dei Gessi per trarne, a livelli industriali, materiale per l’edilizia.

 

Accenni di storia

Dopo i primi vent’anni la cava è poi stata gestita da altre realtà fra le quali la società BPB Italia ed acquisita infine dal gruppo Saint Gobain che dal 2009 è diventata Saint-Gobain PPC Italia. Dal 2012 i materiali estratti sono destinati a prodotti a base di gesso prevalentemente utilizzati per l’edilizia residenziale e produttiva.

Nella seconda metà degli anni ’80 , all’inizio della piana di Valsenio fu poi realizzato lo stabilimento, oggi denominato Gyproc, fortemente legato alla cava di Monte Tondo per la fornitura della materia prima per la produzione di materiali a base di gesso, in particolare cartongesso di cui in Italia è uno dei maggiori produttori (18,5 milioni di metri quadri di lastre in cartongesso e 17 mila tonnellate di intonaci a base gesso). Oggi il sito produttivo impiega direttamente circa 90 persone e coinvolge un indotto di oltre 50 fornitori esterni.

 

Genny mi dice che in certe giornate, quando le foglie degli alberi intorno non si muovono, quando il caldo non è troppo insistente, nel silenzio dell’angolo  di terreno dove ha impiantato l’allevamento, si sente come un leggero crepitio, una specie di gocciolio grattoso, un sottofondo di leggero tramestio:  le circa 27 mila chiocciole dell’allevamento   stanno mangiando, con i microscopici denti, le foglie di cavolo,  di bietole, di cicoria dei 24 piccoli orti recintati dove  vivono, in località San Ruffillo.

 Genny Morara mi racconta anche che non avrebbe mai potuto continuare a lavorare in un ufficio, troppo vivo l’attaccamento alla terra, all’azienda di famiglia, alla libertà dei ritmi lavorativi legati alle stagioni ed alla natura.

Durante una chiacchierata con delle amiche emerse,  quasi per scherzo, l’ipotesi che allevare lumache poteva essere una buona possibilità per avviare un progetto che comprendesse: rimanere in azienda, essere imprenditrice indipendente, stare a contatto con la natura,  rinnovare, investire in qualcosa di nuovo. E così in pochi mesi Genny ha deciso di buttarsi in questa avventura: l’allevamento di chiocciole.

La vado ad intervistare e lei è ben contenta di comunicare quello che sta imparando  e vivendo da pochi mesi, da luglio precisamente.

 

Come è nata l’ide a di iniziare questo tipo di allevamento?

Per me  che amo la terra e l’azienda agricola di famiglia, ma non guido i mezzi agricoli e ho varie allergie, cosa potevo inventare, dove mi potevo applicare per lavorare nell’azienda dei miei? Per caso, quasi per scherzo, una chiacchierata tra amiche è stata illuminante. In giro ci sono già alcune esperienze di questo tipo, a Imola e nei dintorni di Faenza, ma qui in zona no. Ho chiesto a babbo di concedermi un pezzo di terra e così dove c’erano vecchi prugni abbiamo preparato i recinti degli orticelli per allevare le chiocciole.

Sono orticelli di circa 3 metri x 40. Li visito con la sua guida, in una tranquilla giornata autunnale.

In effetti è estremamente affascinante la disposizione degli orticelli, uguali  e regolarmente distanziati, brillanti di verdi e tenere verdure, suggeriscono una disposizione armonica e ideale progettata da un giardiniere più che da un allevatore, un posto ideale per le lumachine!!!

 

Da qualche anno, all'interno del Progetto “Abilissimi protagonisti” della Zarathustra Film, Fabio Donatini ha realizzato laboratori legati al cinema indirizzati a persone con disabilità. Pochi mesi fa è stato presentato a Bologna un cortometraggio, intitolato Se il mio film avesse le ruote e che potete vedere su Facebook (https://fb.watch/9FIQ5LXy2J/), che rappresenta un po' la summa del lavoro compiuto e “rilegge” alcuni classici cinematografici dal punto di vista della disabilità, con ironia e profondità. Lo Spekki(ett)o ha pensato di raccontare questa esperienza, anche perchè Fabio non è l'unico casolano coinvolto. Fra i protagonisti infatti c'è anche Jader Cavina, che alle multiformi attività a cui partecipa – lo abbiamo visto recentemente travestito da clown per intrattenere i bambini pronti a vaccinarsi nell'hub di Faenza, ma Jader balla anche (e di questo parleremo fra poco) – ha aggiunto anche quella di attore.

Oggi come oggi però non è semplice mettere insieme una intervista fra 3 persone che abitano in luoghi diversi... Certamente avremmo potuto fare una videoconferenza, ma quella si sarebbe esaurita in poco tempo, mentre volevamo darci il tempo per riflettere su cosa chiedere e rispondere. Abbiamo quindi adottato una modalità eccentrica, una chat a 3 su Watsapp in cui ogni tanto buttare lì una domanda, una riflessione, anche a distanza di giorni. Ecco quindi quello che ne è venuto fuori, preliminari compresi.

 

FABIO: Ciao Jader, ciao Michele. Jader, dopo ti giriamo alcune domande qui in chat. Potrai rispondere con dei vocali se vuoi. @MicheleRighini se hai qualcosa da dire scrivi pure.

 

JADER: Ok perfetto capito.

 

SPEKKIETTO: Ciao Jader, ciao Dona, grazie mille per avere accettato la proposta, ci fa molto piacere. Facciamo che inizia Fabio con le domande, poi aggiungo io.

 

JADER: Va bene. Se scrivo la risposta invece di inviare il vocale?

 

SPEKKIETTO: Fai come preferisci Jader.

 

JADER: Sì, anche perchè secondo me è più chiaro.

 

FABIO: @CavinaJader che rapporto hai con il cinema? È un tuo compagno di vita?

 

JADER: Il cinema per me è una forma di espressione, con esso mi sono messo in gioco e devo dire che è stato divertente e lo rifarei altre volte. Collaborare a questo progetto mi è piaciuto molto, in particolare la vicinanza di Fabio e il supporto mi ha permesso di vivere il momento con leggerezza, sapendo che con lui avrei appreso molto.

 

FABIO: Lo rifaresti, bene, ne sono felice. Hai sentito vicinanza con la guardia di Star Wars disabile? [Jader in Se il mio film avesse le ruote non lo vedrete in faccia perchè coperta dal casco bianco delle guardie imperiali presenti nella trilogia originale di Star Wars, n.d.r.]

 

JADER: Sì, mi è piaciuto molto anche perchè ero nello spazio... no, scherzi a parte, interpretare quel personaggio è stato bello in modo particolare perchè ero nel pianeta di sabbia, nel pianeta di terra sarebbe stato troppo facile.

 

FABIO: E cosa, parlando di film o serie che segui, ti piacerebbe fare o interpretare?

 

Il nostro giro di perlustrazione dell’estro casolano non si ferma mai e questa volta abbiamo deciso di rivolgere qualche domanda a Erika Linguerri. Per intenderci, le sue creazioni sono quelle esposte nella vetrina dei Carlò, la ex ferramenta di Carlo Conti. Sarà sicuramente capitato anche a voi lettori, durante le vostre passeggiate serali nel centro di Casola, o più banalmente mentre girate per fare la spesa, di fermarvi anche solo qualche minuto e dare un’occhiata alle novità in vetrina. Chissà che cosa ha colpito la vostra attenzione. I colori? L’atmosfera sognante delle immagini?

Ciao Erika. Partiamo dalla domanda più classica di tutte. Quando è iniziato questo percorso?

Ciao, ormai sono passati molti anni da quando ho frequentato la scuola di ceramica “Ballardini” di Faenza. È lì che ho appreso le principali tecniche riguardanti la lavorazione della ceramica .

Che cosa ispira il tuo lavoro?

Tutto quello che mi circonda, tendo ad osservare molto.

Se tu dovessi individuare delle peculiarità proprie del tuo lavoro artistico, quale indicheresti?

In realtà io non ho uno stile proprio, non mi sento legata solo alla ceramica, trasformo carta, cartoncino legno… cerco di insegnare ad Azzurra a non limitarsi a guardare gli oggetti per quello che sono, ma di andare sempre oltre. Anche un semplice rotolo può trasformarsi in mille altre cose.

So che lavori anche su commissione, nel senso che le persone ti contattano e ti fanno richieste. È diverso lavorare per accontentare le richieste di una persona dal lavorare completamente di fantasia?

Devo dire che chi mi contatta mi lascia piena libertà di espressione, diciamo che va sulla fiducia…

Immagino tu abbia una sorta di laboratorio a casa. Lancio lì un’idea. Perché non aprire una vera e propria bottega?

lidia badini la mia guerra casolaOltre a raccontare la storia di Casola, Lo Spekkietto a volte decide di fare qualcosa in più.

Questa volta ci è piaciuto riportare alla luce una storia, un diario ritrovato che ha attirato subito la nostra attenzione per l'immediatezza e la fluidità della scrittura. Lidia Badini aveva una penna veloce, diretta, coinvolgente: nel diario racconta del periodo in cui -sfollata da Bologna- si rifugiò nelle colline casolane passando di casa in casa in cerca di alloggio e protezione. La seconda guerra mondiale era al momento della svolta? Quello che il diario di Lidia racconta molto bene è la situazione di sospensione dopo l'armistizio del 43: l'illusione della pace e il periodo di stenti, bombardamenti, rappresaglie e guerra civile nel quale l'italia - e piu da vicino Casola Valsenio - si trovava.
Questo libro è stato presentato il 20 Dicembre al centro culturale G.Pittano (Biblioteca di Casola) ed è il frutto del lavoro della nostra redazione: il ritrovamento del diario, la lunga ricerca dei parenti della scrittrice per il benestare alla pubblicazione e le ricerche storiche per l'introduzione che colloca questo testo nello spazio e nel tempo; un piccolo volume che si presta molto bene alla lettura di grandi e piccoli, ora disponibile da Ciata, in via Marconi.

 

Sabato 4 settembre è stata una giornata all’insegna della cultura, della tradizione e dei diritti civili.

Alle ore 16.30, è stata inaugurata la Biblioteca Comunale “G. Pittano”, dopo gli interventi di manutenzione e riqualificazione realizzati nel corso dell’ultimo anno, e in questa occasione si è celebrato anche il 100° anniversario della nascita del Prof. Giuseppe Pittano.

Alle 17.15, è avvenuta la cerimonia di intitolazione della piazzetta antistante la Biblioteca al “25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne”. È stata apposta una targa e sono state installate due panchine, una rossa e una arcobaleno, simbolo rispettivamente della lotta contro la violenza sulle donne e della lotta contro l’omofobia.

Infine, alle 18, è stato inaugurato il murales dedicato ai carri allegorici di gesso e di pensiero, realizzato dalla pittrice Alessandra Carloni.

In questa occasione, il nostro gruppo è stato chiamato ad intervenire sul tema della violenza. Assieme a noi erano presenti Antonella Oriani, in rappresentanza di SOS Donna, e Monia Visani, che assieme ai musicisti della Lega del Suono Buono, ha interpretato un brano dedicato a questa tematica. La nostra portavoce è stata Benedetta Landi, e di seguito riportiamo il suo discorso.

"Buon pomeriggio a tutti. Grazie per essere qui presenti oggi, e grazie all’Amministrazione Comunale per aver scelto di dare voce anche agli Amici della Biblioteca in questa importante giornata.

In quello che sarà il mio discorso non voglio citare i numeri riguardanti la violenza sulle donne, numeri che purtroppo quotidianamente sentiamo in televisione e leggiamo sui giornali. Vorrei piuttosto riflettere sul simbolo che oggi viene posto davanti alla biblioteca.

Perché la panchina?

Cosa ha suscitato in noi, Amici della biblioteca, questo simbolo?

Questa panchina ci ha subito portato alla mente l’immagine di un luogo dove potersi fermare a riflettere, dove potersi prendere una pausa dalle attività quotidiane e dove poter chiacchierare con gli amici. La panchina è anche un luogo dal quale ci si può guardare attorno, dal quale si possono osservare e ammirare il paesaggio, le persone che passano e la vita che scorre attorno a noi.

Una panchina è anche un ottimo luogo nel quale leggere un libro, ed è un luogo pronto ad accogliere tutte le età della vita: i bambini possono sedersi sopra di essa per scambiarsi figurine o decidere le regole di un nuovo gioco, gli adolescenti possono darsi appuntamento lì con il proprio innamorato o con la propria innamorata, gli adulti possono sostare sulla panchina assieme ai propri figli, durante una passeggiata, e gli anziani possono riposarvi sopra o ritrovarvi il piacere della condivisione e del dialogo con gli amici nelle calde sere d’estate.

Una panchina insomma è un luogo di pace e tranquillità, non di scontro. Dalla nostra panchina, non possiamo assistere a episodi di violenza e sopraffazione.

E se ci capita di assistere ad azioni di questo genere, dobbiamo alzarci, non possiamo stare seduti. Nello sport, sta seduto in panchina chi è pronto ad intervenire nel caso in cui ci sia bisogno del suo aiuto. E lo stesso dobbiamo fare noi: tutti dobbiamo farci carico del problema della violenza e tutti dobbiamo essere pronti ad alzarci in piedi quando i diritti di un’altra persona vengono calpestati.

E la panchina deve essere un simbolo che ci ricordi costantemente questo impegno."