Attualita

 

Ho chiesto a Sabrina, ex mia cara collega nella scuola primaria, di raccontarmi il trapianto di rene che ha coinvolto lei (come donatrice)  e suo marito Paolo (come ricevente) nel mese di agosto. Questo fatto  ha molto colpito tutti i Casolani, anche perché la notizia è trapelata pochi giorni prima dell’intervento, è rimasta riservata fino all’ultimo, ne erano a conoscenza solo i familiari ed alcuni amici intimi. 

Questo trapianto ha avuto risonanza anche sulla stampa regionale con articoli sul Resto del Carlino e La Repubblica per il fatto che la donazione è stata fatta da un vivente, in questo caso la moglie.

Avevo pensato di riportare l’intervista, ma poi, per come si è svolta, preferisco un racconto.

Ora, 23 settembre, Sabrina sta progettando il rientro a scuola, ne ha tanta voglia , ha ripreso le forze e si sente pronta a “riabbracciare” i suoi alunni, con le dovute protezioni naturalmente! Non dimentichiamo infatti che  hanno vissuto il momento delicato del trapianto nel momento molto delicato per tutti del Covid 19!!

Paolo è invece a fare gli esami di routine a Bologna, la sua convalescenza sarà un po’ più lunga perché il ricevente dell’organo ha il problema del rigetto da tenere sotto controllo.

Comunque la funzionalità dell’organo sembra andare bene. Quando Sabrina ha lasciato l’ospedale per tornare a casa è passata a salutare suo marito ben protetta e coperta come un’ astronauta, l’aveva visto l’ultima volta prima dell’intervento quando a lei stavano per togliere il rene e Paolo aspettava in una saletta attigua di poterlo ricevere, come un bel salvagente lanciato per salvare la vita.

A dire il vero Paolo non ha mai corso il pericolo di perdere la vita per quell’unico rene che aveva smesso di filtrare a dovere il suo sangue. Da quasi tre anni, con una macchina da dialisi sistemata a casa, riusciva a mantenersi in salute, ma quella macchina, chiamata amichevolmente prima Tilde poi Claire, era invadente, ingombrante ed esigente nella loro vita: pretendeva di passare con loro 8 ore ogni notte! Doveva seguirli in ferie: mare o montagna che fosse, pretendeva che gli appuntamenti venissero rigorosamente rispettati!

Un supplizio ormai, erano riconoscenti sì verso questa ancora di salvezza, ma bloccati da una necessaria artificiale pulizia quotidiana del sangue: la stanchezza era sempre più palpabile in Paolo, ma anche in Sabrina, la vita era abbastanza costretta dalle esigenze della macchina. Sabrina mi racconta con qualche sospirone come sono giunti circa due anni fa a cercare qualche altra possibile soluzione.

La soluzione più definitiva e la più “ liberatrice” era il trapianto, ormai

Un’ operazione di routine per il sant’Orsola Malpighi di Bologna.

Lista d’attesa….tempo che scorrre…….macchina sempre più invadente…..ma ci sarà un’altra possibilità per accellerare i tempi?

-Donazione da un vivente, da un familiare, dopo avere verificato la compatibilità!-

Paolo rifiuta subito l’ipotesi suggerita dai medici, nessuno dei suoi familiari, cioè il figlio e la moglie, devono esporsi ad un dono cosi impegnativo. Lui non ci pensa neanche!

Allora….fermi tutti i progetti….ferma la situazione….ferma la speranza di ritornare ad una vita più normale ….ma Sabrina non ci sta!

Lei, escludendo, d’accordo con Paolo, la donazione da parte di Edo, il figlio, vuole provare a vedere se c’è mai compatibilità con lei.

Iniziano a muoversi, Sabrina decisa, Paolo reticente.

Il cinema Senio di Casola, gestito fino all’anno scorso da un’Associazione presieduta da Luigi Barzaglia, si trova  ora in una situazione di “vuoto”, in quanto la convenzione con il Comune del paese è scaduta e si sta cercando di capire se potrà continuare ad essere attivo.

“Abbiamo registrato una nuova Associazione che prende il nome di “Nuovo Cinema Senio” – spiega Alberto Fiorentini, Presidente dell’organizzazione – per fare in modo che il cinema di Casola continui con le sue attività e non sia costretto a chiudere. L’Associazione è composta da diversi ragazzi del paese, ma, a causa del Coronavirus, il cinema si trova in una fase di stallo.”

“Il nostro augurio per  l’anno prossimo, pensando che il Covid non ci sia più e che la situazione sia risolta, - continua Alberto – è che il cinema sia attivo a partire dalla fine del 2021.”

Gestire una sala cinematografica in una realtà piccola come quella di Casola non è affatto semplice, tuttavia provare ad attuare strategie che soddisfino gli interessi dei cittadini è importante e necessario per cercare di mantenerla in vita.

“I film che vanno per la maggiore sono quelli per famiglie e per bambini/ragazzi, come ad esempio i film di supereroi . Questo tipo di programmazione di solito ha un riscontro molto positivo. – afferma Alberto - Quello che però serve è una maggiore partecipazione: inizialmente l’Associazione era composta da una quindicina di persone, ma adesso siamo rimasti in tre. L’intento, quindi,  è quello di coniugare la programmazione cinematografica all’utilizzo del cinema per fini artistici. Come associazione c’è la volontà per fare in modo che il cinema continui a dare un servizio di intrattenimento per famiglie e giovani.”

Ciò che l’Associazione “Nuovo Cinema Senio” vorrebbe fare è istituire un calendario che coinvolga e soddisfi  anche le altre associazioni presenti a Casola, per far sì che la sala cinematografica non venga utilizzata solo per proiettare film, ma che possa essere utile anche per le iniziative delle altre associazioni casolane.

 

Enrica Dalla Vecchia

 

Io Maradona non lo ricordo bene. No, non bene. Adesso è facile. Prima ricordare bene non era così ovvio.

Ma ricordo che sembrava bizzarro, l'estate dei Mondiali in Italia, che l'Argentina avesse perso con il Camerun la prima partita della manifestazione.

Molto entusiasmo, nelle campagne di collina come nella piazza del paese, per la sconfitta del talento contro l'impegno. Del prevedibile, contro l'imprevedibile. Ricordo. Molto bene.

Dunque, nella mente di bambini e degli esseri maturi, un tributo inconscio alla sostanza e al caos. Sostanza e caos. Strano, conflittuale forse; ma tutto sommato credibile.

"Hai visto, Maradona ha perso?"

"Hai saputo dell'Argentina?"

"E alla fine non è riuscito a segnare…"

Io pure, che guardavo mio padre caricare pesche susine, che era l'ultimo giorno di scuola credo, che mi confondevo per l'estate in arrivo, io, pure, ne rimasi lieto. Lieto, spensierato e lieto.

Ero lieto perchè uno che non poteva perdere, aveva d'improvviso perso. E perchè i deboli, succede quindi, possono battere i forti.

Bhe, se questa necessità di gioire dell' imprevisto, di sorridere all'incapace che batte il capace, ha un senso, lo ha perchè probabilmente, Maradona, era archetipo di qualcosa di indecifrabile, ma che aveva a che fare con il "non sono belle le cose troppo scontate". Oppure: "A noi uomini piace ciò che non ci aspettiamo". E ancora: "A noi, esseri umani, piace quando un poco mette in difficoltà un tanto". Dunque, se il fato ha creato una sorte dove il poco e il tanto sono in eterno conflitto, questa sorte sarà ammirata, o, almeno, sarà studiata.

Poi sarà amata. Odiata. Amata. Odiata. E amata ancora. In tempi e in spazi diversi, con caos e passione. Sarà il nostro eroe, nemico, condottiero, avversario.

E infatti in quell'estate Maradona non era il buono. Quel pomeriggio del '90 contro il Camerun, Maradona era il cattivo. Era il cattivo, in quella partita con l'Inghilterra, per quegli inglesi che ancora oggi, nei pub, fanno cambiare canale. Era il cattivo, quando pranzava con l'allibratore di Bagnoli, per chi combatteva gli stilemi mafiosi. Era il cattivo.

Ma poi, poi non vuol dire. Poi le cose sono, e basta, e se regali matematicamente più sorrisi che lacrime, l'umano e l'animale, il vegetale non so, tende ad affezionarsi. E cattivo e buono diventano due termini di poco valore, utili solo se guardi Il Trono di Spade o se credi ancora alle finzioni della politica.

Sostanza o talento quindi? Caos o prevedibilità? No, in questo caso, il caso "Maradona", tutto. Tutto insieme. Come, ora che ci penso attento, in quasi tutti quelli che conosco e ho conosciuto.

Quest'anno per i Casolani il rischio di non avere a disposizione un servizio importante come la piscina, è stato concreto. Nonostante le tante avversità che tutti ben conosciamo e un bando partito in ritardo, la Nuova Co.Gi Sport di Faenza, ha preso in gestione l'impianto di Casola Valsenio. La cooperativa gestisce già le piscine di Faenza, Solarolo, Russi e Castel Bolognese. Il Presidente Roberto Carboni ha risposto ad alcune delle nostre domande.

 

Salve Carboni,

ora che la piscina di Casola Valsenio ha chiuso i cancelli fino alla prossima estate, come valuta la stagione da poco conclusa?

 E' stata una stagione complicata: abbiamo dovuto aprire in corsa e con poco tempo a disposizione, si è comunque deciso di erogare il servizio per andare incontro alle esigenze dei Casolani. Aprire a metà luglio con 10 giorni di preavviso è stato complesso ma ce l'abbiamo fatta e possiamo dirci soddisfatti del risultato e della risposta da parte della cittadinanza. Abbiamo seguito tutte le regole sanitarie, e l'ormai nota limitazione dei 100 posti. Probabilmente non siamo riusciti a rendere tutti contenti, mi riferisco in particolare  a chi si è visto negato l'accesso all'impianto per via del raggiungimento della capienza massima, ma le regole erano quelle, abbiamo fatto quello che si poteva fare. Ora non ci resta che guardare con positività al prossimo anno.

 

A proposito dell'anno prossimo, può darci qualche anticipazione?

Proprio in questi giorni è partita la manifestazione di interesse per il pub collegato alla piscina, vedremo se nel mese di ottobre qualcuno parteciperà, almeno cinque o sei persone con cui ho parlato si sono dette interessate, ma un conto sono le parole un conto è partecipare effettivamente. Siamo consci della potenzialità di quella struttura, e crediamo che possa tornare ad essere un importante punto di aggregazione, sopratutto nel periodo che va da maggio a settembre. Sappiamo quanto è mancato questo spazio soprattutto ai ragazzi più giovani, ma non solo. Comunque sia a  prescindere, garantiremo l'apertura del bar, in che modo e in che maniera lo vedremo. Per quanto invece riguarda la piscina inizieremo a lavorare il prima possibile per mettere in piedi una proposta che possa essere il più variegata possibile: corsi di nuoto, fitness acquatico, lezioni di acquagym e tante altre attività che già si svolgono nei nostri impianti sparsi per il territorio. Oltre a questo saranno previsti i lavori di messa a norma della piscina, ci saranno il secondo e il terzo stralcio, il secondo è in mano al comune, e ipoteticamente ad aprile questi saranno terminati, e la capienza massima fissata a 100 persone sarà solo un ricordo, contiamo di poter arrivare a 230 persone, che credo essere un numero più che giusto per il tipo d'impianto che Casola offre.

 

I bagnanti hanno sicuramente notato come la piscina di Casola abbia adottato tutte le normative sanitarie: dal controllo della temperatura all'ingresso, all'obbligo di indossare la mascherina negli spogliatoi, quanto queste procedure hanno influito sul vostro lavoro?

Fabio Donatini firma una nuova regia, un documentario dal titolo San Donato Beach. Prodotto da Zarathustra Film, è stato presentato all'ultimo Torino Film Festival, riscuotendo un successo andato ben oltre le aspettative. Se volete vedere il trailer lo trovate qua: https://www.youtube.com/watch?v=p2m-y0h8PIE. Di seguito alcune considerazioni, anche personali, se invece volete capire di cosa parla trovate un sacco di recensioni in rete.

Sono certo che tutto sia iniziato nell’estate del 2003, estate dolce per alcuni versi (che non sto qui a dirvi) e famigerata per altri che invece vi dirò. Quell'anno iniziò quel caldo folle che prima non esisteva e che invece adesso è normale nei mesi estivi. Iniziò il due maggio 2003 (quindi tecnicamente non era nemmeno estate...) e non mollò il colpo fino a fine settembre. Sono certo che tutto sia iniziato allora perché io c’ero, io abitavo in San Donato quell’estate, avevo una nuova morosa (alla fine vi dirò anche perché fu un’estate dolce se vado avanti così...) e tre coinquilini: Albo, che dormiva con la testa nel terrazzino di 80 cm quadrati per combattere il caldo, Lori, con il quale ci disputavamo l’uso dell’unico sgangherato ventilatore di casa, e Fabio che adesso su quel caldo ci ha fatto un film.

Secondo me anche l’idea di questo film ha iniziato a frullargli in testa in quella torrida estate di 17 anni fa, una delle prime trascorse a San Donato. Si deve essere reso conto già allora che non rimane molta gente in agosto in quel giro di strade che sta subito al di là del ponte: via Amaseo, via Galeotti, piazza Mickiewicz... Un discount, un bar a fare da punto di riferimento e, come dice Patrizia all’inizio del film, un gran caldo.

Quando in un posto è molto caldo, o molto freddo, la gente tende ad andarsene. Pensate al deserto che di giorno è caldo caldo e di notte freddo freddo, non ci sono molte cose nel deserto. Quindi le poche cose che ci sono si notano, emergono, colpiscono l’occhio di chi lo osserva (e magari ci si ritrova dentro per caso, errore, necessita, o perché si è perso). Se va bene quello che si nota in lontananza è un’oasi. Nella maggior parte dei casi invece è un cactus. Che ha comunque una sua utilità, ci insegnano i western. Credo che sia successa la stessa cosa con questo film: Fabio, bloccato nel caldo agostano di San Donato, ha notato i cactus, le poche persone rimaste in quello stretto giro di vie. Persone, non personaggi, che normalmente si mimetizzano fra la folla ma che in quel deserto spiccavano come cactus. Con le loro spine e con una scorta d’acqua chiusa dentro di sé, invisibile per tutti quelli che non hanno la voglia, il tempo, la curiosità di farci due chiacchiere. Fabio, lo credo io poi dirà lui se è vero, ha semplicemente inciso quei cactus (poi la smetto con questa similitudine, promesso) per fare sgorgare le loro storie. Non li ha intervistati, è rimasto lì ad ascoltarli mentre parlavano e raccontavano. Il fatto che avesse con sé una telecamera e qualcuno che gli desse una mano a girare (“una troupe ridotta al minimo e attrezzatura leggera”, dicono le note inviatemi dall’ufficio stampa) era un dettaglio di fronte all'urgenza di potere raccontare, per la prima volta, le proprie sfortune, i propri rimpianti, le rare gioie e le scarse ma tenaci speranze.

Nel momento in cui scriviamo, ci troviamo in una situazione di forte incertezza e abbiamo oramai capito come è difficile organizzare eventi a lunga scadenza. Sappiamo però che la Festa di Primavera edizione 2020 è saltata, cosa che non accadeva dal secondo conflitto mondiale. Prima che la pandemia fermasse tutto però nell’ ambiente c’era un certo fermento, trapelavano notizie, si intuiva una gran voglia di fare per portare in piazza i carri allegorici. Tra i tanti rumors, le indiscrezioni che di norma filtrano dalla stanza in cui si riuniscono i rappresentanti delle società che  li costruiscono (Extra, Sisma e Nuova Società Peschiera 1984) e i discorsi delle persone, ne circolava una particolarmente interessante: il fatto che sarebbe nata un’associazione ad hoc esclusivamente per occuparsi della Festa di Primavera in tutti i suoi aspetti.

Ne abbiamo parlato con il Presidente della Pro-Loco Bruno Boni nonché, da quanto abbiamo potuto capire, presidente della neonata associazione che si occuperà nei prossimi anni della Festa di Primavera.

Anzitutto una domanda semplice semplice. Il nome dell’associazione?

CARRI APS (Associazione di Promozione Sociale)

Da quale esigenza nasce l’idea di scorporare la Festa di Primavera dalla gestione della Pro-Loco e di creare un’entità a sé stante?

L’associazione nasce per la necessità di tutelare i volontari che ogni anno partecipano alla costruzione dei carri; ovviamente con la creazione di questa non si vuole andare a togliere l’organizzazione alla proloco ma dargli un supporto.

Chi fa parte di questa associazione?

-          “Pronto?…ohi Cava, cosa mi dici?”

-          “Massimo è diventato sindaco di Faenza e stasera suoneremo in piazza a Faenza!” –

Quando Cristiano Cavina mi ha chiamato, nel pomeriggio del giorno successivo alle elezioni, sinceramente, dentro di me ho pensato: “Lo sapevo già dal 1990 che Massimo avrebbe, prima o poi, ricoperto un ruolo politico importante e credo che sia solo l’inizio di un lungo percorso!”

Fra noi giovani ragazzi degli anni ’90, a Casola, Massimo Isola è sempre stato un leader, un trascinatore, ed io ho sempre percepito il suo entusiasmo nell’inventare tutto ciò che, in quegli anni (profondamente diversi da oggi) mancava ai giovani in un piccolo paese dell’Appennino Romagnolo: praticamente quasi tutto.

In realtà, credo che la generazione del ’74, a Casola, sia stata speciale e non lo dico solo perché sono il primo nato in quell’anno funestato da crisi economica e terrorismo. Ne sono profondamente convinto perché ho avuto modo di stringere amicizie vere, con persone dotate di grandi virtù e capacità intellettive frutto anche delle importanti esperienze del passato, vissute dai nostri genitori.

Con Massimo ho condiviso gli anni in cui l’evoluzione fisica e mentale corre veloce. Un giorno ti svegli e ti senti profondamente legato ai tuoi giochi dell’infanzia, il giorno dopo sogni di guidare l’auto e scorrazzare senza patente sulle colline di notte, con i tuoi amici (fatto poi avveratosi in una calda notte d’agosto del ’91).

Ogni giorno sognavamo di fare qualcosa e diventare qualcuno. Prima il calcio, che ci ha legato indissolubilmente nei ricordi magici raccontati e magistralmente cristallizzati per sempre da Cristiano nel suo romanzo Un’ultima stagione da esordienti. Poi la musica, la cui scoperta fu un intenso percorso che partì dalle origini del rock fino ad arrivare al noise-punk e ai centri sociali, nel giro di 5 anni.

Nella nostra compagnia di amici (maschi-prevalente) nonostante fossimo tutti dotati di carattere e temperamento tutt’altro che scialbo, non vi erano grandi gerarchie.

Ho sempre pensato che ognuno di noi fosse in realtà un leader, a modo proprio. Questo si percepiva, silenziosamente, e veniva in un certo senso riconosciuto, senza doverne parlare. C’era chi dimostrava le proprie doti a scuola, chi nello sport, chi nella musica, chi nei rapporti umani e chi… con le ragazze! Il nostro denominatore comune era comunque il riconoscimento reciproco della personalità, del carattere talvolta sanguigno che contraddistingue tipicamente il romagnolo-montanaro.

La fame di sapere e sperimentare ha sempre caratterizzato Massimo, come confermato in età adulta nelle sue prime missioni politiche, in particolare come Assessore alla Cultura, proprio in quel di Faenza. Seppur seguendo dalla fredda vetrina dei social network il suo operato, in questi ultimi anni, ho sempre percepito nei suoi sguardi lo stesso entusiasmo che ci accompagnava nei lunghi pomeriggi estivi a comporre canzoni o ascoltare a luci spente i Pink Floyd, a tutto volume, così forte che coprivano le lamentele dei vicini. Un assolo di David Gilmour suonato in via Cenni (dove abitava Massimo, nella Casola alta) poteva essere percepito chiaramente fino in Piazza Sasdelli (dove abitavo io), tant’è che mia mamma una volta mi disse - “Ma non sarete mica voi che tenete la musica così alta, in paese?!”

Ogni giorno, per tutti noi, doveva diventare speciale per non cadere nella noia che a quell’età, quando hai poco, rischia di trascinarti in una dimensione apatica. Forse questo lo percepivamo involontariamente, istintivamente e quindi ci adoperavamo in qualsiasi modo e con qualsiasi mezzo per coltivare i nostri sogni, piccoli o grandi che fossero. Quello che ci mancava, lo creavamo noi.

Riceviamo da Teresa Rinaldi Ceroni questa lettera concernente  alcune problematiche che riguardano il nostro fiume e la pubblichiamo per renderla nota a chi di dovere
 

E’ dal settembre del 2017 che i proprietari delle abitazioni di via Cantone n.10, 12, 14 e 16 hanno portato a conoscenza della provincia di Ravenna il timore di frane sulle loro proprietà proprio sul fiume Senio, forse per perdite di acqua dei condotti idrici, delle piogge eccessive e di altro. Sulla frana del campo sportivo, avvenuta il 26/02/2015, siamo tutti a conoscenza. Quello che abbiamo evidenziato è un altro punto pericoloso che si trova nella corsia della strada provinciale oltre il km 22 verso il ponte, dove si nota un avvallamento del manto stradale, provocato da infiltrazioni di acqua e anche dal vuoto del terreno sottostante. Abbiamo fatto presente questo alla Provincia, chiarendo che nel passato, oltre il guard-rail, c’era un passaggio su cui il mezzadro conduceva i mezzi agricoli (anche il trattore) da un campo all’altro; poi il terreno è franato e si sta facendo un vuoto pericoloso. Il sindaco, attento a questa problematica, ha segnalato, in data 11/11/2019, alla Provincia di Ravenna il timore di cedimento lungo la scarpata a valle della strada. La Provincia ha inviato alcuni esperti, i quali, dopo un sopralluogo sul posto, hanno riscontrato che i movimenti in atto nella scarpata a valle della strada appaiono stabilizzati; allo stato attuale, non comportano problematiche di sicurezza per la circolazione stradale e hanno garantito controlli da parte del personale provinciale di sorveglianza.
Tutta la documentazione degli scritti è presente negli uffici competenti del comune di Casola Valsenio.
Perché, caro fiume Senio, ho fatto questa premessa?
Noi Casolani abbiamo piacere di conoscere come è la situazione del corso delle tue acque, dalla frana del campo sportivo fino al ponte del Cantone, dove si è creato un invaso che potrebbe determinare problemi al ponte stesso, cosa che ci preoccupa assai. A questo proposito, nel mese di giugno, insieme al geologo dell’Unione della Romagna Faentina, Alessandro Poggiali, è stata fatta una perlustrazione proprio in questo punto del fiume. Abbiamo percorso la stradina-sentiero che scende prima del ponte del Cantone (quasi chiusa dalla vegetazione e di proprietà di Rinaldi Ceroni Alessandro e Maria Teresa e di Anna Sartoni) e siamo arrivati sull’argine. La visione delle sponde e delle acque del Senio ci ha veramente colpiti. (Personalmente mi sono venuti in mente i felici momenti trascorsi con la mia famiglia, tre bimbi e il nipotino proprio in questo punto; si riusciva a fare il bagno e a giocare sui sassi). Che orribile visione! Ma non è questo il problema. Ci siamo avvicinati alle pile del ponte, ma molto non si è potuto vedere. Amareggiati e, come si suol dire, “con la coda fra le gambe”, siamo risaliti. Come comunicato da Alessandro Poggiali, grazie ad un’approfondita perlustrazione eseguita in canoa dal consigliere Andrea Benassi, lungo il tratto tra il ponte e la frana, sono state scattate alcune fotografie alla base del ponte, successivamente inviate alla Provincia. Questa ha comunicato che non risultano particolari problematiche sulle pile del fiume, riservandosi di eseguire un sopralluogo, ancora non avvenuto. Altro non è stato fatto dalla Provincia.
Beati loro che dormono sonni tranquilli, meno noi che abitiamo in questa zona!!!

Intervistiamo il nostro Sindaco Giorgio Sagrini per avere alcune delucidazioni sul dibattito intorno alla cava di Monte Tondo, situazione che almeno nell’opinione pubblica casolana si sta caricando di preoccupazioni. Ci teniamo intanto a chiarire che l’intento di questa intervista è di informare i cittadini per fare un punto della situazione preciso. In futuro avremo modo di intervistare le parti in causa, ma al momento abbiamo bisogno di avere punti fermi da cui partire per un ragionamento.

Se non abbiamo letto male e se le informazioni che circolano non sono errate, il punto di rottura sta nella richiesta da parte della Saint Gobain dell’ampliamento della capacità estrattiva nella cava di Monte Tondo. È corretto?

E’ necessario, precisare in premessa che siamo nella fase di verifica e aggiornamento del Piano Infraregionale delle Attività Estrattive. Verifica che, come stabilito dalla L.R.17/1991, Disciplina delle attività estrattive, deve avvenire ogni 5 anni …ed è stato nel corso del 2017 che la Provincia ha provveduto ad eseguire la verifica quinquennale del PIAE (Piano Infraregionale della Attività Estrattive), con validità fino al 2023. La stessa L.R.17/1991 stabilisce inoltre che il PIAE sia sottoposto a verifica generale almeno ogni 10 anni e che alle relative procedure si dia avvio almeno 2 anni prima della scadenza. La Provincia di Ravenna nei tempi sopra indicati ha avviato l’iter per la Variante Generale al PIAE, che dovrà corrispondere ai contenuti ed ai criteri previsti dalla L. R. n° 17/1991.

Obiettivo della Variante Generale al PIAE sarà quello di prevedere il soddisfacimento dei fabbisogni di materiali (argilla, ghiaia, sabbia e gesso) al 2031, garantendo la sostenibilità ambientale delle previsioni.

Ciò premesso e per venire alla domanda, la proprietà della Cava – il Gruppo Saint-Gobain - non ha ad oggi presentato formalmente nessuna richiesta di ampliamento. Ha bensì sottoposto all’attenzione delle Amministrazioni coinvolte, sulla base degli elementi a sua disposizione, una propria analisi che evidenzia diversi ambiti d’incongruità con le previsioni dello studio, risalente ai primi anni duemila, sulle modalità di coltivazione ottimali applicabili al polo estrattivo del gesso, e ha posto l’esigenza di determinare tempi e condizioni della prosecuzione dell’attività estrattiva in funzione delle esigenze produttive e occupazionali dello stabilimento casolano, delle possibili innovazioni dei processi industriali che possano salvaguardare e tutelare il lavoro e il reddito degli addetti diretti e dell’indotto, e per programmare le azioni di tutela, di ripristino e anche di utilizzo a fini turistici e museali della cava.

Da quanto emerge dai documenti ad inizio anni Duemila era stato posto un limite per l’estrazione del gesso. A che punto ci troviamo?

Il sig. Mohame El Harchi, ex Capitano della Marina Marocchina, ora residente a Casola, che abbiamo già visto tante volte partecipare alle manifestazioni commemorative, ci ha scritto una lettera in cui esprime gratitudine per l’accoglienza ricevuta alle Terme di Riolo. Riteniamo che questa lettera sia anche espressione di una più generale riconoscenza per la cordialità riscontrata nelle nostre terre e nel nostro paese. Pubblichiamo dunque volentieri lo scritto di El Harchi

“Stiamo parlando di noi: Mohamed El Harchi e mia moglie Aisha Sabri, marocchini residenti a Casola Valsenio. Durante il mese di Luglio 2020 al centro termale di Riolo Terme che il nostro medico di base, Dott,sa Elena ci ha consigliato.

Una volta arrivati al centro, il medico termale ci ha prescritto una dozzina di cure per ciascuno (fango+vasca) con l’autorizzazione di bere 2 bicchieri di acqua Breta , un’acqua terapeutica che compriamo quotidianamente.

Al dipartimento “fango” siamo stati sempre ben accolti e ben serviti in tutte le nostre sedute dalla responsabile Lara che ci accompagnava nelle nostre sale, sempre sorridente e con grande educazione e disponibilità a tal punto che ci sono rimaste due parole che lei diceva abitualmente: Permesso e Prego e per questo ho deciso di scrivere una parola in termine del riconoscimento della sua gratitudine.

Non possiamo dire che brava e complimenti da parte di una coppia marocchina che ha visitato il dipartimento “fango” e la ringraziamo per la sua grande gentilezza, la buona impressione che presenta al centro termale e per tutto quello che ha fatto per noi al fine di rendere il nostro soggiorno termale nelle migliori condizioni.

Infine è stata davvero un’occasione benefica per scoprire Riolo Terme la città dell’acqua, incantevole località che presenta un ricco patrimonio storico con le sue terme che racchiudono questi preziosi tesori naturali di questo bellissimo paese che adoro.

Mohamed El Harchi

Ex Capitano della Marina Marocchina.

Pubblichiamo su Lo Spekkietto la nuova PLAYLIST
compilata Manuel Andreotti

1 - Purple Disco Machine, Sophie and the Giants - Hypnotized - 2020: uno spot SKY che ti entra prepotentemente in testa, grazie a Jude Law e alle rinate sonorità Dance di questo irresistibile pezzo.
2 - Defones - Genesis - 2020: disco attesissimo, non delude minimamete (come del resto per tutta la loro carriera). Produzione e sound devastante!
3- Lady Gaga - 911 - 2020: sfido CHIUNQUE nello stare assolutamente immobili durante l'ascolto a volume spropositato di questa canzone. Produzione che più "TOP" di così non si può.
4 - Corey Taylor - Silverfish - 2020: il vocalist di Slipknot e Stone Sour che omaggia palesemente gli Alice in Chains. Voce spettacolare che vi accompagnerà in questo inizio autunnale.
5 - The Cure - Pictures of You - 1989: pioggia incessante fuori, divano, plaid, bicchiere di vino rosso e "Disintegration" che circola nell'aria. Bentornato Autunno!
6 - Mr. Bungle - Eracist - 2020: dopo 21 anni, Mike Patton, Trey Spruance, Travor Dunn più i nuovi arrivi Scott Ian e Dave Lombardo. Quanto ci siete mancati!
7 - The Sisters of Mercy - Temple of Love - 1983: in una playlist autunnale possono mancare i T.S.O.M.? Per chi non li conoscesse, cercate sul "Tubo" e potrete apprezzare quella che si definiva Dark Wave. Semplicemente spettacolari!
8 - Him - Your Sweet 666 - 1997: come sopra, ma la naturale evoluzione dovuta dal decennio successivo, con inserti più "Metal" e l'arrivo del gotico.
9 - Death SS - Terror - 1977: la Storia del Metal tricolore! Fatevi una cultura, cercate le tenebre e riscoprite questa gemma criptica. L'oltretomba in Musica.
10 - Duran Duran - The Chaffeur - 1982: molto probabilmente, il mio pezzo dei Duran Duran. La Cazone autunnale per eccellenza. LEGGENDA.


BUON DIVERTIMENTO

Nell’ambito della cinquantesima mostra-mercato nazionale del tartufo bianco di San Miniato una delegazione di casolani è stata invitata a consegnare il premio Stagnaza ospite della Pro Loco locale per ricordare un nostro compaesano che in quella comunità ha lasciato una traccia indelebile e un’eredità a dir poco preziosissima.

Mentre qui nel suo paese natale se ne è perso il ricordo, di Stagnazza, al secolo Stanislao Costa, nel comune di San Miniato, in particolare nella frazione di Balconevisi, dove risiedeva emigrato da Casola e dove aveva trovato moglie (Amelia Pieragnoli), la sua memoria è ancora molto viva.

Andiamo per ordine: chi era Stagnazza? Stanislao Costa , classe 1875, soprannominato Stagnazza (il perché non lo sappiamo ma l’assonanza potrebbe essere con un mestiere o suo o del padre allora molto diffuso cioè lo stagnino che girava i paese e le campagne per rattoppare il pentolame della cucina) apparteneva a quella schiera di braccianti che stagionalmente scavallavano il crinale verso la toscana alla ricerca di un’occupazione saltuaria.

Il centro storico del paese di San Miniato è situato sulle prime colline a ridosso dell’Arno in una posizione strategica fra le città di Firenze e Pisa. Dall’alto della torre che sovrasta il paese si osserva il corso dell’Arno che ora defluisce in sicurezza idraulica dopo aver accolto parte delle acque che scolano dall’appennino pistoiese. Un tempo però il fiume non aveva argini e dilagava ad ogni piena nella pianura circostante. La zona fu oggetto di bonifica già a partire dall’epoca medievale. Durante il Granducato di Toscana si pose mano alla bonifica di tutta l’area a valle di San Miniato con un’impostazione tecnico giuridica all’avanguardia per l’epoca nel panorama dell’intera penisola. Lo stato italiano riprese l’iniziativa degli Asburgo Lorena e cercò di portare a termine il processo di prosciugamento della valle inferiore dell’Arno che con le sue piene produceva miseria e devastazione ma anche pesanti lutti con le epidemie di malaria.

A cavallo fra ottocento e novecento i braccianti romagnoli potevano recarsi sui cantieri toscani o a piedi con un lungo e faticoso cammino attraverso il passo Ronchi di Berna del Carzolano poi verso Borgo San Lorenzo e Firenze oppure con la nuova ferrovia Faenza-Firenze inaugurata nell’aprile del 1893. Ma per il nostro Stagnazza, che arrotondava le magre sue finanze con i proventi della vendita del tartufo, l’opzione era una soltanto: a piedi. Già perché nelle ferrovie del Regno era severamente vietato il carico dei cani e ogni buon tartufaio che si rispetti gira sempre in compagnia del suo inseparabile compare a quattro zampe.

Arrivati a destinazione sicuramente i braccianti cercavano di trovare alloggio lontano dal fondovalle dove risiedevano invece i cantieri di lavoro per evitare la calura umida e i “ miasmi” che si credevano portatori delle febbri malariche ( la scoperta del plasmodio come causa e della zanzara come vettore avverrà solo nel 1898).

Chissà: forse Stagnazza avrà lasciato in custodia il cane presso un podere oppure lui stesso, terminato il duro turno al cantiere, alloggiava presso una famiglia in collina, fatto sta che scoprì come in quei boschi crescesse a meraviglia il tartufo bianco pregiato ( Tuber magnatum Pico). I contadini del posto sapevano di questi bei tuberi profumati ma non ne facevano commercio tanto che a goderne erano soltanto i maiali portati al pascolo nei boschi di querce. Per un tartufaio provetto come Stagnazza erede della scuola casolana dei cercatori di tartufo quel territorio si palesava come un vero e proprio Eldorado.

A Stagnazza si affiancarono altri raccoglitori e, di seguito, commercianti intraprendenti che della attività di ricerca , raccolta e commercio del tartufo  ne fecero una vera professione. Si deve ad un altro cercatore di Tartufi di Balconevisi, Arturo Gallerini , soprannominato il “Bego” il ritrovamento del tartufo bianco più grande del mondo, nel 1954 ( pesava 2,5 Kg e fu regalato al Presidente degli Stati Uniti) .

A San Miniato non si sono dimenticati di Stagnazza ed in occasione dell’ annuale “Mostra Mercato Nazionale” che si svolge ogni anno negli ultimi tre week end di Novembre si ricorda anche la figura di quel nostro antico compaesano che diede origine a questa prospera attività.

Intervistiamo Marta Cantagalli, giovane sommelier casolana facente parte della delegazione AIS di Faenza (Associazione Italiana Sommelier) per farci raccontare le esperienze e le emozioni del suo lavoro e scoprire qualcosa in più sulle ricchezze della nostra terra.

PARLACI DI COME TUTTO HA AVUTO INIZIO, COME TI SEI AVVICINATA AL MONDO DEL VINO? C’È STATO UN MOMENTO PRECISO IN CUI LA PASSIONE SI È TRASFORMATA IN VOLONTÀ DI ESSERE TRASFORMATA IN MESTIERE?

Il mio avvicinamento al mondo del vino è stato atipico. Spesso capita che chi decida di intraprendere questo tipo di percorso provenga da una famiglia con una realtà vitivinicola alle spalle, abbia una qualche connessione con il mondo agricolo o una già assodata passione per il vino.

Io non avevo niente di tutto ciò, stavo quasi per finire il Liceo e gli stessi studi di attinenze con il vino ne avevano ben poche (ho un diploma socio-psico-pedagogico).

Ricordo bene il momento della “folgorazione”: era il 2011, stavo partecipando ad uno dei tanti Open Day organizzati dalle Università di Bologna e mi incantai davanti al programma di un corso di Laurea che non avevo mai sentito nominare: “Viticoltura ed Enologia”.

Durante la triennale ho poi preso parte ai corsi di I, II e III livello promossi dall’AIS (Associazione Italiana Sommelier), ed è stato proprio in quegli anni che ho deciso che avrei cercato un lavoro che mi potesse dare la possibilità di mettere in pratica quello che avevo studiato.

IN CHE COSA CONSISTE IN SOLDONI L’ATTIVITÀ DI UN SOMMELIER?

Il sommelier è una figura che non si limita, come spesso si è portati a pensare (complici anche tante gag televisive), al solo assaggio e degustazione di un vino snocciolando termini mirabolanti ai limiti dell’immaginazione.

È una persona che il vino lo racconta, lo comunica.

Come un bravo narratore, il sommelier ti prende per mano e ti conduce all’interno di un bellissimo viaggio in cui si parla di vigne, di fattori climatici, di profumi inebrianti e delle storie delle famiglie che quel vino lo hanno prodotto.

QUAL È L’ASPETTO CHE AMI DI PIÙ DEL TUO LAVORO?

Da alcuni anni lavoro in all’interno di un’Enoteca a Lugo di Romagna.

Un’enoteca è un luogo che, come dico spesso, rappresenta il “Paese dei Balocchi” per chiunque abbia un interesse verso il vino.

La mia situazione ideale, quella che in assoluto mi diverte e stimola di più, è trovarmi di fronte ad un cliente che mi dà qualche indicazione sul gusto che vorrebbe ritrovare nel suo vino oppure che mi indirizza su una zona di produzione specifica e lì inizio a guidarlo verso quelle che potrebbero essere le “papabili” bottiglie da acquistare e portarsi a casa.

Mi rendo conto di divertirmi davvero tanto in quei momenti perché ho modo di esprimermi al massimo!

CHE COSA TI ASPETTI DA UN VINO AL PRIMO ASSAGGIO?

Quando assaggio per la prima volta un vino che non conosco mi aspetto (o meglio, mi auguro!) che mi faccia emozionare. Capita spesso che mi venga chiesto quale sia il mio vino preferito... in realtà non ci sono vini preferiti per me, ma ricordo benissimo tutti i vini che mi hanno dato delle emozioni.

È tutta una questione di sensazioni, quel mix di gusti e profumi che va a toccare delle corde particolari e ti fa aprire i cosiddetti “cassetti della memoria”. Quelli sono i vini che mi rimarranno impressi per sempre.

 

Siamo appena usciti da uno degli inverni più caldi e asciutti che si ricordino a memoria d’uomo.

Se non fosse stato per la pandemia le prime pagine della stampa si sarebbero già riempite di titoli sulla siccità.

Con gli studenti chiusi in casa e le piazze completamente vuote anche il movimento Fridays for future ha avuto scarsa visibilità nonostante il tentativo di realizzare uno sciopero digitale il 24 aprile.

Il Covid ha messo la sordina al tema dei mutamenti climatici ma si accavallano i segnali continui di anomalie del tempo meteorologico e farsene qualche appunto merita perché saremo chiamati ad affrontare situazioni già ora facilmente intuibili : non potremo farci trovare impreparati.

Due sono i dati che emergono dalla lettura dell’andamento climatico dall’autunno alla primavera cioè dall’ottobre scorso ad oggi ( 29 di aprile).

Da un lato la scarsità delle precipitazioni. E’ piovuto poco con valori mensili tutti sotto la media tranne per novembre quando sono caduti 233 mm di pioggia a fronte della media storica di Casola che è sui 110 mm.

Ottobre 22 mm , dicembre 109 mm, gennaio 21 mm, febbraio addirittura 7,6 ( media storica 70 mm), marzo 54. E’ piovuto poco e male. Il dato di marzo ad esempio pure se scarso di per sé, lo diventa ancor di più se si tiene presente che trenta di quei millimetri sono caduti in una settimana: praticamente ha sgocciolato un po’ tutti i giorni senza che l’acqua penetrasse in profondità.

Per adesso aprile (ogni giorno un barile?) è scarso tranne per un paio di giorni in cui sono piovuti 40 mm in totale.

Di neve praticamente nulla. Qualche centimetro appena: di nessun valore come utilità sul bilancio idrico.

E la domanda è proprio questa: come faremo a passare l’estate praticamente senza riserve idriche significative? Qualcuno mi smentirà ricordando il maggio dello scorso anno quando piovvero più di 400 mm di pioggia che, dopo un inverno simile a questo, appena leggermente migliore, reintegrarono di parecchio le falde acquifere. Ma a che prezzo? Vi ricordate: smottamenti, freddo, danni alle colture, praticamente chiusi in casa anche senza Covid.

L’altro dato da rimarcare per questo inverno sono state le temperature sempre molto al di sopra dello zero con un paio di rapidi ingressi di aria fredda quasi sempre da subito compensata dal ritorno dell’alta pressione di origine africana. L’ultima sciabolata di freddo è stata nella notte fra il 24 e il 25 marzo quando la temperatura è scesa nel fondovalle anche a -5° con gravi danni ai fruttiferi, albicocchi soprattutto. Una gelata per avvezione che ha messo in ginocchio mezza Romagna (stima dei danni 400 ml di euro, fonte Regione ER).

Conseguenze? Tante sull’ecosistema ma quella che a noi risulta più fastidiosa è che le popolazioni svernanti degli insetti dannosi, zanzare in testa, aumentano perché l’assenza del vero freddo non le decima.

Aggiungiamo la cimice asiatica, il moscerino della frutta e altre allegre creature che aiutano a devastare molte delle colture della campagna casolana ( non mi dimentico delle difficoltà degli apicoltori: nel prossimo numero li sentiremo di persona).

Per gli agricoltori si fa dura: la cimice asiatica nel 2019 ha procurato danni nel Nord Italia per quasi 600 milioni di euro con una perdita di redditività a ettaro di 8700 € nelle nettarine e di 8600 € a ettaro per le pere ( fonte CSO, centro servizi ortofrutticoli). La speranza è la lotta biologica, dopo che a gennaio l’UE ha messo al bando il clorpirifos l’unico insetticida efficace poiché imputato di procurare danni neurologici e sullo sviluppo sull’uomo, un po’ come si fece per la battaglia ( vinta) contro la vespa cinese del castagno.

Ma qui è molto più dura per le caratteristiche della specie nemica.

Chi vive in paese, oltre alla sistematicità dei trattamenti contro le zanzare, dovrà ricordarsi di non sprecare l’acqua. Casola come tanti paesi dell’appennino deve fare i conti con una situazione geologica e idrologica che non le consentono di utilizzare acqua senza dare delle priorità ai suoi utilizzi.

Mi spiego meglio: lavare l’automobile e irrigare i prati dei giardini sono utilizzi impropri e non più compatibili con i mutamenti climatici in corso.

 

Bisogna imparare ad abitare il limite e ricordarsi che la terra non la si può continuare a spremere impunemente.

 

Roberto Rinaldi Ceroni

Per quel po’ che sono riuscito a girare per Casola (poco, ovviamente, se non per la spesa alla Cofra, in qualche negozio o in farmacia) ancora non mi è capitato di vedere gettati a terra guanti di plastica o mascherine ( a dir il vero qualche guanto davanti alla Cofra svolazzava…).

Il problema però c’è e diventerà un problema non da poco.

Plasmix, lattice, poliestere, polipropilene: una caterva di materiali “sporchi” che finiranno col deturpare in modo per lo più irreversibile l’ecosistema se non saranno smaltiti adeguatamente soprattutto se finiranno nel reticolo idrografico, quindi nei mari.

Abbiamo intervistato al riguardo il dott. Massimiliano Gherardi tecnico di Ecoser, azienda autorizzata allo smaltimento di tante tipologie di rifiuti che opera anche sul nostro territorio con un impianto di raccolta a Riolo.

“Al momento l’unica strada percorribile per guanti e mascherine già utilizzate è quella dell’incenerimento tramite termovalorizzatori. La nostra azienda ha tuttavia avanzato agli organi competenti dell’ARPAE e della Regione E-R una proposta di studio per il recupero di questi materiali previa sterilizzazione completa che i Paesi del Nord Europa già attuano. Su questi materiali passate 72 ore la carica infettiva del virus si azzera completamente il che corrisponde al tempo massimo previsto di sosta di questi rifiuti nei nostri impianti. Stiamo quindi studiando con le aziende del settore che si occupano di riciclaggio una filiera dedicata per poter dare nuova vita a questa notevole mole di rifiuti che purtroppo per un bel po’ di tempo ci accompagnerà.

A cura di Roberto Rinaldi Ceroni