Blank Under the Map

I saatelliti delle serie Sentinel sono in grado di fotografare e mostrarci ogni angolo del pianeta e i suoi cambiamenti ogni tre giorni. Vista sotto questa prospettiva, la Terra potrebbe sembrare un posto immerso in un eterno presente, privo di angoli bui. Un posto dove ormai parrebbe impossibile trovare luoghi blank on the map: spazi vuoti sulle carte, capaci di affascinare e raccontare nuove storie proprio perché ancora ignoti. Fortunatamente per la nostra fantasia e umanità, gli speleologi sanno che l’ignoto e l’esplorazione sono un qualcosa ancora oggi vivo e reale. Qualcosa di cui per ora non vediamo la fine. Le chiazze bianche si sono solo spostate divenendo blank under the map, al riparo dall’occhio indiscreto di Sentinel. Seguendo le strade segrete dell’aria e dell’acqua la geografia della Terra è ancora una via da esplorare e percorrere con il proprio corpo. Se poi l’acqua che si decide di seguire è tanta, si possono avere belle sorprese. Come speleologo sono cresciuto leggendo e sognando sui racconti delle esplorazioni di Minye, Nare e delle altre incredibili grotte della Nuova Guinea. Luoghi dove roccia, acqua e vuoto si sono alleati: decisi a rendere difficile la vita agli esploratori. La speleologia tropicale non è tutta uguale. Dopo oltre vent'anni passati ad organizzare spedizioni a cavallo dell'equatore, con gli amici del nostro gruppo ci siamo domandati se non fosse arrivato il momento di andare a caccia di qualcosa di diverso. Non solo chilometri di grandi gallerie fossili, ma anche qualcosa dove l'acqua fosse la vera padrona dei luoghi. La domanda che ci poniamo è semplice: dove si trova il fiume sotterraneo con la maggiore portata? E sopratutto è mai stato esplorato? Nel 2012 sotto il coordinamento del gruppo Acheloos Geo Exploring, nasce così il progetto Call for river, proprio con obbiettivo la documentazione e l’esplorazione dei fiumi sotterranei con il maggiore regime idrico esistenti sul pianeta.

 

Call for river...

Tra carte topografiche, immagini satellitari e calcolo dei bacini idrogeologici scopriamo così come inaspettatamente molti dei maggiori corsi d'acqua sotterranei del pianeta siano ancora inesplorati e in molti casi mai documentati. Il grosso si concentra nell'area del Sud Est Asiatico e dell'Oceania e indubbiamente sull'isola della Nuova Guinea sembrano esserci obbiettivi realmente grandiosi. Nel 2016, una survey nella Bird’s Head, penisola settentrionale di West Papua, parte indonesiana dell'isola, ci convince oltre ogni dubbio. Obbiettivo i grandi trafori idrogeologici e i sistemi carsici che il fiume Aouk-Kladuk ha creato lungo la sua vallata. Con una lunghezza di oltre 250 chilometri su un bacino di oltre 4000 km², si tratta di uno dei principali corsi d’acqua nella Bird’s head peninsula. Originato dal versante meridionale della catena dei monti Tamrau, scorre verso sud-ovest attraversando la grande area carsica del plateau di Ayamaru fino a sfociare nel mare di Seram. La posizione del suo bacino a ridosso della catena montuosa, fa si che intercetti un altissimo regime pluviometrico, che nella parte alta supera i sei metri annui di precipitazioni, portando il corso d’acqua ad avere alla foce una portata stimata nell’ordine di oltre 300 metri cubi al secondo. Proprio la verifica sul campo e l’inizio delle esplorazioni, ci ha confermato che l’Aouk-Kladuk, potrebbe essere quello che stavamo cercando. Lungo la sua vallata il fiume ha infatti creato una serie di grotte e trafori che in alcuni tratti arrivano ad avere una portata media stimata in oltre 180 metri cubi al secondo. Un luogo fatto di acqua e di pietra che s’intreccia con la storia e la mitologia dei Mey Mare, la popolazione che abita le foreste di questa parte della piana di Ajamaru, ma anche con le storie degli antichi esploratori della Nuova Guinea. Odoardo Beccari, primo europeo che visitò l’interno della penisola nel 1873, esplorando la valle del fiume Wa Samson, arrivò a circa una dozzina di chilometri dal fiume Aouk. Ma nel suo ultimo viaggio nel 1875 si reco presso la sua foce, nel golfo di Samei da dove riconobbe e per primo descrisse la lunga dorsale di coni calcarei dove scorre il fiume. Alcuni decenni più tardi, nel 1914 il tenente Gustav Ilgen al comando di una pattuglia di esploratori olandesi riuscì invece a raggiungere e fotografare proprio l’imbocco di uno dei trafori. Nella carta che contribui a produrre, una piccola sigla segna per la prima volta l’esistenza di una parte del corso sotterraneo dell’Aouk. A oltre un secolo da quel primo e unico segno su una carta geografica, la nostra spedizione si propone di seguire il fiume lungo il suo corso, tentando l’esplorazione e la documentazione di questo incredibile patrimonio geologico. Perché anche oggi, nell’era dei satelliti, è ancora tempo per andare a caccia di luoghi e di nuove storie da raccontare.

 

0°57'25”S 132°20'18”E Waykut: unconventional Speleo

Il primo impatto con il grande fiume e le sue grotte è sempre traumatico. Quando lo scorso anno abbiamo iniziato le esplorazioni, alla fine ci siamo salutati sull'onda di un Banjir: più che una piena, un vero e proprio tsunami di fiume. Nonostante tutta la nostra buona volontà, qui di stagioni secche proprio non se ne parla: diciamo che semplicemente non esistono. Cosi anche questa volta i giorni passano esplorando gallerie tra una piena e l'altra. Questa volta quando va bene si gioca con trenta o quaranta metri cubi d'acqua al secondo, quando decide di piovere e va male... beh in quel caso è meglio uscire molto rapidamente. Giocare con così tanta acqua in grotta è strano. C'è un limite sottile che separa il molto divertente dal molto pericoloso. Un limite fatto di velocità dell'acqua, turbolenze, trappole e tronchi. Una speleologia diversa dal solito, dove è tutto un mischiare tecniche e attrezzi. Cosi accanto a caschi e attrezzi da grotta, compaiono corde galleggianti, giubbetti di salvataggio, moschettoni a sgancio rapido, arpioni, taglisagole e perfino una variante delle piccozze da ghiaccio: costruita apposta per risalire controcorrente. Dimenticavo: ovviamente gli immancabili Packraft, i kayak gonfiabili per navigare gallerie e rapide sotterranee! Il tutto per provare a dimenticarci che il fiume e la sua voce fanno veramente paura. D'altronde il luogo esige sicuramente rispetto: Waykut, il luogo delle eclissi, ovvero l'enorme portale dove il fiume scompare, ma anche dove si avviano i morti: la madri e i padri che diventeranno antenati. Antenati dei Mey Mare, ovvero del popolo che abita da tempi immemorabili queste foreste. Aouk è la loro voce. Ma visto che è il fiume dopo il suo viaggio nel sottosuolo ha scavato anche una via per uscire nuovamente alla luce, il luogo da cui ricompare è al contrario uno spazio di nascita e vita. Quan: l'immagine stessa della donna pronta per partorire. Nei racconti del nostro amico Samuel, morte e rinascita si uniscono nel corso sotterraneo del fiume Aouk. Morte e rinascita: devo dire che questi pensieri mi passano nella mente mentre scendo la lunga calata di oltre 150 metri che ci permette di atterrare direttamente davanti al portale. Non è tanto l'altezza a mettere pensiero, quanto la roccia a cui sono attaccato. Calcarenite del Miocene, ovvero un calcare corallino pieno di conchiglie e sabbia. Marc quando l'ha vista ha detto di non aver mai trovato una roccia peggiore per fare armi e piantare chiodi. Siamo stati tutti perfettamente d'accordo. Mentre scendo, guardo perplesso le grosse viti da 12mm di diametro che abbiamo fissato. Thomas è stato più di mezz'ora appeso alla ricerca di un pezzo di roccia solida in cui avvitarle. Il suo ultimo messaggio via radio prima di scendere è stato un laconico “Ok! Ne ho trovato un pezzetto solido grande come una mano!”. Nonostante tutto, alcuni giorni dopo, stringendo in mano la fine dell'ultima corda a disposizione, dobbiamo accettare a malincuore che anche questa volta il fiume è stato più forte di noi. E' buffo essere in mezzo ad una galleria larga quasi quaranta metri, alta oltre settanta e non poter proseguire. Andare avanti a nuoto o in Kayak, non sarebbe certo un problema. Ma in questo tratto, con le sponde completamente e verticali e la fortissima corrente, senza un traverso di sicurezza non ci sarebbe modo di tornare indietro. In tre settimane con l'esplorazione di circa sei chilometri di enormi gallerie abbiamo cominciato a dare una forma ai trafori del fiume Aouk. Una river cave veramente unica, che con i suoi circa 50 metri cubi di portata media, si pone sullo stesso ordine di grandezza della Xe Bang Fai in Laos o del sistema Gebihe in Cina, ovvero tra le due tre più grandi dell'intero pianeta. Ovviamente è solo un arrivederci e la partita con Waykut è solo rinviata al prossimo anno.

 

Kladuk_Ilgen sink

L'Aouk è un fiume che ha tante storie da raccontare, cosi strada facendo decide di cambiare nome è diventare Kladuk. Ormai è enorme, ha oltre 2800 chilometri quadrati di bacino su cui piove sempre: raramente il suo colore non è scuro e limaccioso. Siamo più vicini al mare che alle montagne, ma lui ancora non si è levato il vizio di scomparire sottoterra. Questo è il nostro secondo obbiettivo. Un traforo potenzialmente assurdo percorso da un fiume con una portata stabile di 130-180 metri cubi di acqua al secondo. Le immagini satellitari ci mostrano chiaramente il punto dove il fiume scompare e quello dove ricompare in una enorme rapida di acque bianche. Nel mezzo alcune grandi chiazze nere hanno tutta l'aria di enormi pozzi dove provare a scendere. Quando arriviamo davanti al grande lago dove s'inghiotte, riconosciamo la foto fatta oltre un secolo fa dal tenente Gustav Ilgen, mentre esplorava questa parte della Nuova Guinea. Come allora una enorme catasta di legna ricopre come una lastra di ghiaccio lo specchio d'acqua. Sembra di camminare su terreno solido, ma sotto di noi scorre il fiume. Sul fondo la parete e una bocca larga e bassa. Ci avviciniamo con circospezione, un grande antro prosegue all'interno fino a quella che sembra una parete, un sifone. Qui non si può ne nuotare ne camminare e anche il resto serve a poco, non ci resta che tentare la risorgente a valle. Se a monte il Kladuk scompariva quasi silenzioso nel grande lago, qui dove esce ruggisce con tutta la sua forza. Più che rapide sono vere e proprie onde e anche se è praticamente in magra saranno oltre cento i metri cubi che sputa verso di noi. Purtroppo anche da questo lato l'acqua esce sotto la parete e non ci resta che contemplare la più grande risorgente carsica del pianeta. Nel vicino villaggio di Saluk, conoscono bene il loro fiume e la sua abitudine a nascondersi nel sottosuolo. Cosi il loro Re ci accompagna presso una di quelle macchie scure a metà strada. Dall'alto il ruggito è inconfondibile, sotto questo Tiankeng scorre il Kladuk. Tra foresta e pareti, una lingua d'acqua torna a giorno per settanta metri traversandolo da un lato all'altro. Lo spettacolo è grandioso. Purtroppo anche qui due sifoni ci sbarrano la strada. Abbiamo ancora pochi giorni a disposizione; mentre risalgo penso che avendo più tempo, forse cercando meglio potremmo avere più fortuna. Eppure, allo stesso tempo sono contento di aver vissuto questo luogo incredibile. Pensandoci bene, mi sembra ovvio e giusto che il fiume sotterraneo più grande del pianeta abbia deciso di conservare intatto il suo buio e il mistero. Almeno fino alla prossima spedizione...

 

Andrea Benassi

 

 

Partecipanti: Andrea Benassi (Società Speleologica Saknussem), Ivan Vicenzi (Gruppo Speleologico Sacile), Thomas Pasquini (Gruppo Speleologico Piemontese); Katia Zampatti (Gruppo Speleologico Brescia), ; Riccardo Pozzo (Gruppo Speleologico Biellese); Tommaso Biondi, Marc Faverjon e Paolo Turrini.

Un ringraziamento agli sponsors che con il loro appoggio e fiducia hanno reso possibile la spedizione: Petzl; Rodcle Equipment; Korda’s; CT Climbing technology; Kikko Lamp; Repetto Sport; Enomad; AlpackaRaft; Società Geografica Italiana; Società Speleologica Italiana; Museo di Storia Naturale di Firenze; Museo di Sgtoria Naturale di Verona; Unione dei Comuni della Romagna Faentina; Parco regionale della Vena del Gesso; Parco regionale delle Dolomiti Friulane.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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