Martedì 11 giugno 2024 è stato proiettato ai Vecchi Magazzini il docu-film “Food For Profit”, realizzato dalla giornalista Giulia Innocenzi e da Pablo D’Ambrosi. La serata è stata organizzata dalla redazione de LoSpekkietto e il dibattito scaturito dopo la visione del documentario ha messo in campo diverse correnti di pensiero. Vorrei in questa sede dare spazio ad un punto di vista che non è emerso in sala durante la serata, ma che merita un approfondimento, per non rischiare di essere ancora interpretato da molti come “estremismo”, ossia quello del mondo vegetariano e vegano.

Da 11 anni seguo un’alimentazione vegetariana, quindi ci tengo a fare luce su questo tipo di scelta, la quale viene spesso vista con sospetto dalla maggioranza. Tali pregiudizi non sono altro che una conseguenza della scarsa conoscenza delle condizioni in cui vivono gli animali all’interno degli allevamenti intensivi e dei controversi interessi che guidano l’industria della carne, nonché delle motivazioni etiche che stanno alla base di questo tipo di scelta di vita. Spesso l’essere vegetariani o vegani viene additato come una “moda” o come qualcosa che in qualche modo può essere dannoso per la salute, e che quindi va assolutamente evitato. E poi perché rinunciare alla carne?? È così buona!
In questo, “Food For Profit”, così come altri documentari sull'argomento, possono essere illuminanti, in quanto possono mettere anche i più scettici di fronte alla realtà e far loro cogliere sfaccettature diverse sul tema, nuovi punti di vista sui quali riflettere.
Ma cosa vuol dire concretamente essere vegetariani ogni giorno? Partiamo dalle motivazioni principali che spingono una persona a decidere di non mangiare più la carne:

1. Per una questione etica
Questa è la motivazione che ha indirizzato me (e oserei dire, la maggioranza dei vegetariani) verso questa scelta. Ritengo che gli animali siano amici, non cibo. Quando ho deciso di smettere di mangiare carne l’ho fatto perché non volevo più che nessuno morisse per soddisfare il mio palato. La carne è buona, su questo siamo tutti d'accordo, noi vegetariani compresi. Spesso vengono criticate le alternative vegetali che ne ricordano il sapore: «Se sei vegetariano allora perché ti mangi l'hamburger di soia? Tanto vale che mangi quello vero!». Noi non neghiamo la bontà della carne, anzi. Ciò che rifiutiamo è la sofferenza e lo sfruttamento animale che sta dietro alla produzione di quella carne.
Negli allevamenti intensivi gli animali vivono in condizioni di sovraffollamento, spesso confinati in piccole gabbie, all’interno delle quali è impossibile muoversi. Da qui derivano difficoltà di deambulazione e patologie agli arti. Vengono inoltre sottoposti a mutilazioni senza anestesia (si pensi ad esempio al becco dei polli, alle corna delle mucche, alla coda e ai testicoli dei maiali). Negli allevamenti intensivi c’è mancanza di aria fresca e di luce naturale, pertanto gli animali vivono in condizioni di estremo stress e possono sviluppare comportamenti stereotipati, aggressivi o autolesionistici. Potrei elencare molte altre situazioni spiacevoli vissute dagli animali da allevamento, ma lascio a chi desidera approfondire questa tematica la possibilità di documentarsi attraverso i numerosissimi libri, articoli, documentari e video presenti.
È ovvio che non tutti gli allevamenti (fortunatamente) sono così, ci sono piccole aziende nelle quali il benessere animale viene garantito e rispettato. Ma purtroppo il consumatore medio, di fronte agli scaffali del supermercato, non sempre si pone il problema della provenienza di ciò che acquista, alimentando in questo modo grandi industrie guidate unicamente dal profitto.

2. Per una questione ambientale
È risaputo che gli allevamenti intensivi contribuiscono in maniera determinante alle emissioni di CO2. Secondo i dati della FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura), gli allevamenti causano il 14,5% delle emissioni di gas serra globali. Smettere di mangiare carne ha quindi un forte impatto a livello ambientale. E, che ci piaccia o no, tutti dovremmo evitare – o perlomeno ridurre in modo consistente – il consumo di prodotti animali, ne va della nostra stessa sopravvivenza. I cambiamenti climatici ci stanno ponendo di fronte ad una sfida epocale, che può essere affrontata innanzitutto a partire dalle scelte che compiamo a tavola.
Alcuni potrebbero qui sollevare un’obiezione: anche la produzione della soia ha un impatto significativo sull'ambiente. Questo è vero. Ma ricordiamoci che i principali consumatori di soia non sono i vegani, bensì gli animali rinchiusi all’interno degli allevamenti intensivi. Gli effetti negativi legati alla produzione della soia (come ad esempio l’utilizzo dei pesticidi) possono essere ridotti limitando il consumo di carne, e non tanto smettendo di mangiare tofu.
Per l’acqua vale lo stesso: secondo le Nazioni Unite la produzione animale intensiva è probabilmente la principale fonte d'inquinamento idrico. Pare infatti che per produrre un chilo di carne possano servire fino a 15’000 litri d'acqua.
Lifegate ha stimato che se tutto il mondo mangiasse vegetale per un giorno intero, ci sarebbe un risparmio di 22 milioni di tonnellate di CO2 e di 6,5 miliardi di metri cubi d’acqua. I nostri comportamenti alimentari sono quindi in grado di influenzare in maniera determinante il futuro del nostro pianeta.

3. Per una questione di salute
Il consumo di carne incide in maniera significativa sulla salute: intraprendendo un’alimentazione vegetale si riduce il rischio di sviluppare sovrappeso e obesità, il diabete di tipo 2, le malattie cardiovascolari, l’ipertensione arteriosa, la glicemia, il colesterolo e addirittura i tumori.
Va inoltre considerato un altro allarmante fenomeno, quello dell’antibiotico resistenza: negli allevamenti intensivi gli antibiotici vengono spesso utilizzati in modo eccessivo per promuovere la crescita degli animali e per prevenire le malattie. Questa pratica ha contribuito all’aumento preoccupante della resistenza agli antibiotici negli animali e negli esseri umani che si cibano di essi. L’Organizzazione Mondiale della Sanità classifica la resistenza agli antibiotici come una delle dieci principali minacce sanitarie globali per l’umanità, ed è facile comprenderne il motivo: quando i farmaci non avranno più alcun effetto su di noi, come faremo a difenderci da virus e infezioni?

 

Detto questo, un onnivoro potrebbe sollevare ora alcune obiezioni:

1. E le proteine?
Nel momento in cui si diventa vegetariani o vegani, tutti i parenti, gli amici e i conoscenti cominciano automaticamente a preoccuparsi del nostro stato di salute. Ci si preoccupa che un onnivoro assuma la giusta quantità di frutta e verdura? No. Ma la mancanza di proteine in una dieta vegetariana/vegana spaventa. Tuttavia, se la dieta in questione è BEN BILANCIATA, non manca niente: legumi, frutta secca, semi oleosi ma anche cereali (ad esempio il farro e l’avena) e verdure (ad esempio gli spinaci) sono ricchi di proteine, e basta assumerli quotidianamente per “compensare” l’assenza di alimenti di origine animale. Anche il tofu e il seitan apportano grandi quantità di proteine al nostro organismo. Questi due alimenti, spesso guardati con sospetto e scetticismo, sono in realtà molto sani e versatili. Il primo non è altro che un derivato della soia, prodotto in modo simile al formaggio: le proteine del latte di soia infatti vengono fatte coagulare mediante un caglio vegetale. Il secondo si ottiene invece estraendo il glutine dalla farina di grano tenero. Questi alimenti vegetali hanno inoltre un vantaggio rispetto a quelli di origine animale: sono poveri di grassi e ricchi fibre.
Umberto Veronesi sosteneva che «La carne non è indispensabile alla nostra alimentazione, nemmeno durante lo svezzamento: le proteine necessarie al nostro organismo, oltre che nella carne e nei cibi di origine animale, si trovano anche in molti vegetali, come i legumi. È dunque possibile trarre dal mondo vegetale una dieta ricca e variata capace di fornirci vitamine, proteine, zuccheri e grassi vegetali in modo completo e calibrato. Esistono poi prove scientifiche che questi alimenti, se consumati in quantità sufficiente, permettono anche di evitare alcune carenze e rinforzano la resistenza contro le malattie infettive. I vegetariani, in genere, hanno non soltanto una vita più lunga dei carnivori, ma evitano malattie croniche invalidanti».
Sappiamo che per gli chi pratica sport è particolarmente importante assumere adeguati livelli di proteine: con l'allenamento aumenta infatti il fabbisogno proteico, necessità che andrebbe soddisfatta attraverso un adeguamento della dieta, così da supportare in modo opportuno la crescita muscolare. Ma questo non vuol dire necessariamente mangiare solo proteine animali. Molti campioni dello sport sono infatti vegani, come ad esempio Lewis Hamilton, Serena Williams, Carl Lewis e Novak Djokovic.

2. E il pesce no?
Molte persone, quando si parla di alimentazione vegetariana, tendono a fare una distinzione tra carne e pesce: «Il pesce però lo mangi!?». Anche i pesci, così come i maiali, le mucche, i polli e tutti gli altri animali considerati “da carne”, sono esseri senzienti e intelligenti. Anch’essi sono dotati di un sistema nervoso centrale e, di conseguenza, provano dolore. Qualche anno fa è stata vietata l’orribile pratica di cuocere vivi crostacei come astici e aragoste, gettandoli nell’acqua bollente delle pentole dei ristoranti, ma pensiamo a tutti gli altri animali marini uccisi per asfissia o sbattuti a terra.
Anche nel caso dei pesci, c’è poi da considerare la questione ambientale: alcuni metodi di pesca, come quella a strascico, danneggiano i fondali. La pesca commerciale spesso causa la distruzione di interi ecosistemi e rappresenta un rischio per la biodiversità marina.
Infine, se è vero che il pesce apporta Omega3, fosforo e altri importanti nutrienti, è vero anche che mangiare pesce oggi non è più così salutare come siamo portati a pensare: i nostri mari sono sempre più inquinati, e l’utilizzo della plastica sta avendo un impatto diretto su questo tipo di inquinamento: i rifiuti plastici, infatti, vanno lentamente incontro a un processo di frammentazione, formando le cosiddette “microplastiche”. Gli animali marini ingeriscono queste microscopiche particelle di materiale plastico, le quali sono corredate da agenti chimici altamente tossici, che entrano così a far parte della catena alimentare e vengono ingeriti anche da chi si nutre di pesce.

3. Mangiare vegetariano/vegano è costoso
Un’altra obiezione che un onnivoro potrebbe sollevare è quella economica. In realtà, il costo dei prodotti processati (come ad esempio hamburger o affettati vegetali) non è così distante da quello di una normale bistecca o di una vaschetta di affettato che possiamo trovare sugli scaffali di un supermercato. Comunque sia, questi prodotti non sono necessari ad una dieta vegetariana o vegana, quindi non è obbligatorio acquistarli: questo tipo di alimentazione non si basa infatti su alimenti confezionati e pronti, quanto piuttosto su cereali, legumi, verdura e frutta, i quali dovrebbero costituire la base di OGNI alimentazione! Il costo della spesa settimanale diventa in questo modo uguale se non inferiore a quello di chi segue un’alimentazione onnivora.

4. "Vegetariani ancora ancora, ma vegani proprio no! Quelli sono estremisti!"
Quante volte ho sentito questa obiezione! Ma siamo davvero sicuri che i vegani siano estremisti? Andiamo a vedere cosa succede nell'industria delle uova e del latte.
Per quanto riguarda la produzione di uova, ci sono due principali elementi da tenere in considerazione: prima di tutto, le condizioni in cui vivono le galline ovaiole all’interno dei grandi allevamenti. Le galline allevate in gabbia in Italia sono circa 20 milioni. Secondo i requisiti di legge è sufficiente che le galline abbiano a loro disposizione un’area di 750 cm² (poco più di un foglio A4), spazio che, com’è facile intuire, non permette loro di muoversi liberamente e va contro le loro necessità etologiche. Ma diffidiamo anche dalla dicitura “galline allevate a terra” presente sulla confezione di molte uova: questo non significa che i 26 milioni di galline che vivono in questo genere di allevamento abbiano la possibilità di scorrazzare felici in un grande prato, come vogliono farci credere le pubblicità trasmesse in televisione. Vuol dire semplicemente che tali galline non sono chiuse all’interno di gabbie, bensì messe a terra in grandi capannoni, dove però vivono stipate le une contro le altre, spesso in scarse condizioni igieniche e in assenza di luce naturale. In Italia, nel corso dell’ultimo decennio, si è registrata una costante diminuzione del numero delle galline ovaiole allevate in gabbia. L’introduzione dell’etichettatura obbligatoria delle uova, con chiara indicazione del metodo di allevamento adottato, ha avuto un ruolo fondamentale in questo fenomeno, permettendo ai consumatori di effettuare scelte consapevoli. Impariamo quindi a leggere bene le etichette prima di acquistare questi prodotti, privilegiando i codici 0 e 1 (0 = Uova da agricoltura biologica; 1 = Uova da allevamento all’aperto; 2 = Uova da allevamento a terra; 3 = Uova da allevamento in gabbia).
In secondo luogo, va considerato il crudele destino a cui vanno incontro i polli non destinati alla produzione di uova. Ogni anno, in Italia, oltre 30 milioni di pulcini maschi vengono uccisi all’interno dell’industria delle uova, poiché considerati come veri e propri scarti. Per generare profitto, servono solo galline femmine, per questo i pulcini maschi vengono triturati vivi o soffocati poche ore dopo la nascita.
Non è da meno la produzione del latte: spesso fecondati artificialmente, questi animali diventano delle vere e proprie macchine da riproduzione. Dopo la nascita, i piccoli vengono immediatamente separati dalle loro madri, le quali vengono sfruttate per produrre latte in maniera massiccia. Se in natura una mucca che allatta il suo vitello produce circa 4 litri di latte al giorno (che rappresentano il fabbisogno necessario al cucciolo per crescere e svilupparsi), in allevamento produce una media di 28 litri di latte al giorno (durante il picco di lattazione può arrivare addirittura a produrne tra i 40 e i 60). Questo provoca spesso dolorosissime mastiti. I piccoli vengono destinati al macello, così come le madri dopo circa 5 anni di sfruttamento – e altrettante gravidanze – quando in natura avrebbero un’aspettativa di vita quattro volte superiore.
Ora, siete ancora così convinti che i vegani siano degli estremisti?

Una questione culturale
Per comprendere a pieno il fenomeno del vegetarianismo/veganismo, dobbiamo però considerare anche altri fattori, ossia quelli sociali e culturali. I cani sono animali da affezione in Italia, e vengono considerati dalla maggioranza delle persone come i migliori amici dell’uomo. Ci scandalizziamo quindi quando sentiamo parlare delle atrocità commesse in occasione del Festival di Yulin, in Cina: riteniamo inaccettabile che qualcuno possa mangiare carne di cane. Ma riteniamo assolutamente normale mangiare carne di vitello, quando invece in India i bovini sono considerati animali sacri: gli Indù associano infatti le vacche ad alcune divinità, e sono state varate anche alcune leggi per tutelare questi animali e limitare il consumo della loro carne.
Nel libro "Perché amiamo i cani, mangiamo i maiali e indossiamo le mucche", l’autrice Melanie Joy, psicologa americana, analizza i meccanismi sociali e culturali che sono alla base del mangiar carne: «In gran parte del mondo industrializzato mangiamo animali non per necessità, bensì perché scegliamo di farlo. Non ne abbiamo bisogno per sopravvivere e neppure per mantenerci in salute. Mangiamo gli animali semplicemente perché è quello che abbiamo sempre fatto e perché ci piace il loro sapore».
Sappiamo quanto sia pericolosa la scusa del “si è sempre fatto così”: si rischiano in questo modo di perpetrare soprusi e ingiustizie nei confronti di etnie o specie diverse dalla nostra. La storia insegna – o per lo meno dovrebbe farlo. Solo perché una cosa si è sempre fatta così, o solo perché essa viene seguita dalla maggioranza, non significa che essa sia giusta: «Siamo inclini a considerare il modo tradizionale di vivere come un riflesso dei valori universali. Eppure, ciò che noi consideriamo normale non è, in realtà, niente più che credenze e comportamenti della maggioranza. […] Così ciò che chiamiamo “convenzionale” è, semplicemente, un altro modo di descrivere un’ideologia talmente diffusa – talmente radicata – che le sue assunzioni e pratiche sono considerate semplicemente come buon senso. Viene considerato un fatto anziché un’opinione, le sue pratiche un dato di fatto e non una scelta».
Secondo la Joy, quando scegliamo di mangiare carne, nonostante la consapevolezza di ciò che accade all’interno degli allevamenti, è perché entrano in gioco le «Tre N della giustficazione: mangiare animali è normale, naturale e necessario. Le Tre N sono state tirate in ballo per giustificare praticamente tutti i sistemi di sfruttamento. […] Sono talmente radicate nella nostra coscienza sociale da guidare le nostre azioni in maniera automatica. Le abbiamo interiorizzate a tal punto che spesso viviamo in accordo con i loro principi come se fossero verità universali anziché opinioni largamente diffuse.» Le Tre N agiscono a livello inconscio, alleviando «il disagio morale che altrimenti potremmo provare mangiando animali. Se abbiamo una scusa valida per i nostri comportamenti, ci sentiamo meno colpevoli».
Quando questo meccanismo si inceppa, ecco che cominciamo a porci delle domande e ci mettiamo di fronte alla nostra coscienza. È lì che decidiamo di interrompere la catena del “si è sempre fatto così” e proviamo a invertire la rotta, eliminando la carne dalla nostra tavola. Il saggio della Joy è illuminante, in quanto ci fa comprendere quale importante ruolo abbia la cultura condivisa all’interno di una società nel plasmare quelle che sono le nostre credenze e, di conseguenza, le nostre azioni.
Sono molti i personaggi famosi che hanno scelto un’alimentazione vegetariana/vegana: Joaquin Phoenix, Pamela Anderson, Natalie Portman, Moby, Tobey Maguire, Paul McCartney, Margherita Hack, Leonardo Da Vinci, Lev Tolstoi, Tom Hardy, Leonardo Di Caprio, e tanti altri. Qualcuno potrebbe a questo punto pensare che si tratti davvero di una moda, seguita principalmente dai grandi nomi della musica e di Holliwood. In realtà tutti loro si fanno portavoce, grazie alla loro visibilità, delle istanze di chi troppo spesso resta nell’ombra. Il loro impegno sociale si concretizza spesso in campagne pubblicitarie e raccolte fondi a favore di associazioni che si occupano della tutela dei diritti degli animali. Insomma, “si sporcano le mani” e ci mettono la faccia, con la speranza di scardinare certe credenze radicate nella cultura di massa. E le cose, un po’ alla volta, stanno cambiando.

Rispettare gli animali, non solo a tavola
Al di là delle scelte alimentari, il rispetto per gli animali si concretizza anche in altri comportamenti che ciascuno di noi può mettere in atto quotidianamente. Pensiamo ad esempio all’abbigliamento: l’industria delle scarpe e delle borse in pelle contribuisce allo sfruttamento e all’uccisione di migliaia di animali. Esistono oggi alternative validissime a livello qualitativo, esteticamente molto simili alla vera pelle, ma ricavate in modo più sostenibile, ad esempio utilizzando scarti alimentari (come le bucce di mela) o dando una nuova vita ai rifiuti in plastica. Molti grandi marchi hanno inserito nella loro produzione una linea veg, vista la sempre maggiore richiesta del mercato: si pensi ad esempio alle famosissime Birkenstock, presenti anche nella versione di microfibra e sughero. Lo stesso vale per piumini o cuscini: perché continuare ad acquistare prodotti in piuma d’oca, quando si può scegliere un’alternativa più etica?
Un altro grande capitolo si apre con la cosmetica: sappiamo che nell’ambito medico la sperimentazione sugli animali è purtroppo ancora necessaria, ma possiamo ridurla o eliminarla in tutti quegli ambiti che non riguardano la tutela della salute: quando acquistiamo una crema per il viso, dei prodotti per il make up o un bagnoschiuma, accertiamoci che siano presenti sulla confezione le certificazioni “Vegan ok”, “Cruelty free” e/o “Peta approved”.

Come poter diventare (un po' più) vegetariano?
Vorresti diventare vegetariano ma fai fatica a cambiare le tue abitudini alimentari? Innanzitutto, parti facendo il meglio che puoi: se proprio non riesci a eliminare del tutto la carne, almeno prova a ridurne le quantità. Come’è che si dice? Tante piccole gocce formano un oceano. In secondo luogo, puoi fare riferimento a nutrizionisti e creator digitali che parlano di cucina veg: i social in questo possono essere dei grandi alleati! Segui le pagine di Silvia Goggi, Cucina Botanica, Mrs. Veggy, Cucina Verza, La Dispensa Vegana… troverai un sacco di consigli e ricette facili e veloci da poter sperimentare! Puoi anche aderire ad alcune iniziative come SettimanaVeg o Veganuary: l’organizzazione Essere Animali propone ogni anno queste due “sfide”: puoi metterti alla prova e seguire un’alimentazione vegetale per una settimana o un mese. Sul sito è possibile accedere a risorse online gratuite come esempi di menù giornalieri e settimanali, ricette, consigli degli esperti e contenuti per approfondire la tematica. Provare non costa nulla, no?
Non serve rinunciare al gusto per essere vegetariani o vegani! Basti pensare che molte ricette della tradizione sono già adatte a questo tipo di alimentazione! Qualche esempio? Panzanella, pappa al pomodoro, spaghetti aglio olio e peperoncino, gnocchi, ribollita, pasta e fagioli, polenta ai funghi, farinata, pizza… e mi fermo qui perché altrimenti l’elenco sarebbe troppo lungo! Tanti altri piatti possono essere invece rivisitati in chiave vegetale, ad esempio sostituendo il latte vaccino con una bevanda vegetale, o realizzando ad esempio un ragù di soia o di lenticchie anziché uno classico di carne. Si possono in questo modo scoprire cibi nuovi (come ad esempio il tofu e il seitan) e sperimentare con spezie e salse (ad esempio quella di soia). Mangiare vegetariano è davvero più facile di quanto si pensi!
Certo, può capitare di trovarsi più in difficoltà nel momento in cui si mangia fuori casa. Moltissimi ristoranti ultimamente hanno inserito nei propri menù opzioni veg, e sono tantissimi gli chef e i pasticceri che negli ultimi anni hanno fatto della cucina vegetariana o vegana un proprio cavallo di battaglia, realizzano piatti gustosi che non hanno nulla da invidiare a quelli contenenti carne. Capita a volte di vedersi serviti piatti che suscitano l'invidia degli onnivori (mi è capitato di sentire amici pronunciare frasi del tipo «La prossima volta ordino quello anche io!») così come di trovarsi di fronte a ristoratori totalmente impreparati che propongono piatti banali e a tratti imbarazzanti. Ma non bisogna demordere: se c'è la richiesta, i ristoranti saranno stimolati ad inserire anche alternative veg nei propri menù!
E, altra cosa importante, non bisogna temere il giudizio degli altri: io stessa, all’inizio, davo eccessiva importanza a quello che amici e familiari pensavano in merito alla mia scelta. Ma quando le persone che ci circondano capiscono che per noi questa è una scelta importante, vi assicuro che fanno di tutto per farci sentire inclusi. Ho amici fantastici che cucinano per me interi menù vegetariani o che, prenotando in un ristorante, si assicurano che io possa mangiare qualcosa di gustoso, e non semplicemente un’insalata.

Concludo dicendo che qualsiasi siano le nostre scelte alimentari, la cosa importante è sempre porsi delle domande, informarsi, ed essere consapevoli di cosa (e soprattutto CHI) mettiamo sulla nostra tavola. Spero che questo articolo possa servire a orientare la riflessione, sia di chi sta pensando di intraprendere questo percorso, sia di chi non lo farà mai – ma magari leggendo le ragioni alla base di questa scelta avrà meno pregiudizi in merito.

Benedetta Landi

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