Che cosa è l’ “ambiente”?
L’ambiente non è una entità fatta solo di terreni, boschi, colline e montagne, ma è una entità fatta e fortemente determinata ed identificata anche e soprattutto da esseri umani e da comunità umane che abitano i luoghi e da essi traggono sostentamento.
Un sostentamento che, se nel tempo, a causa dei mutamenti sociali ed economici, si rivela insufficiente, porta al progressivo spopolamento di intere aree e al concentramento dell’habitat umano in altre zone che diventano fittamente abitate, a volte in modo eccessivo sino a giungere, in casi estremi, a livelli che di “umano” hanno ben poco.
Qual è dunque la strategia da usare per mantenere un giusto equilibrio e non perdere e dissipare il grande capitale di storie, di socialità, di esperienze e di umanità che ogni comunità -anche la più piccola- nei diversi luoghi porta con sé, e che caratterizza e costituisce l’ “ambiente” nel significato più vero e completo in cui va inteso questo termine?
Ovviamente, in primo luogo, cercare di sfruttare al meglio ed eventualmente implementare le risorse disponibili in un certo contesto e possibilmente metterne in campo anche altre realisticamente realizzabili e sfruttabili.
Voglio dire, tanto per intenderci, sintetizzando con crudo ma onesto e concreto realismo: non basta per sopravvivere guardarsi attorno e dire “ Oh che bello!” perché poi viene anche l’ora del “pranzo” e bisogna pur trovare da mangiare.
Vediamo ora di transitare queste considerazioni generali nell’ambito dei problemi della nostra realtà locale.
Un tempo lontano la nostra valle, così come altre vicino alla nostra, era un luogo remoto, appartato, impervio, pochissimo abitato, coperto da vegetazioni incolte. Furono soprattutto i frati Benedettini che, insediatisi nel nostro territorio poco prima all’anno mille, iniziarono poco a poco a coltivare i terreni, a colonizzare gli ambienti collinari e montani e a favorire cosi gli insediamenti umani che stanno alla base della nascita delle nostre comunità.
Il nostro paese, il nostro comune e quelli intorno a noi sono il frutto di questa evoluzione ed è questo insieme di “umano” e di “territorio” che da vita ed identità al nostro “ambiente” ed alla nostra storia.
Questo processo storico è stato anche magistralmente descritto dal prof. Luca Onofri nel saggio da lui curato “ La spada, la croce, il giglio” , cap. “Monaci, santi e pellegrini”, dedicato all’Appennino romagnolo nel Medioevo e in Età Moderna e pubblicato nel Marzo 2021. Ed. “Il Ponte Vecchio” , disponibile presso la nostra biblioteca Comunale.
La storia poi evolve, mutano le condizioni ed i contesti ed è in questi nuovi contesti che le comunità devono trovare inserimenti, pena la loro estinzione.
Così, ad esempio, è stato per il nostro comune a partire dagli anni del dopoguerra. Il panorama e lo sviluppo dell’ economia del nostro comune, dapprima basato quasi esclusivamente -o in misura assolutamente prevalente- sull’agricoltura e sulle attività artigianali connesse, ha dovuto fare i conti con il passaggio alla economia industriale che ha favorito lo sviluppo dei grossi centri e delle località di pianura accentrando in essi, via, via, lavoro e servizi. Ed è ciò che ha portato, e sta inesorabilmente continuando a portare allo spopolamento del nostro territorio e della nostra comunità e di quelle a noi affiancate. Uno spopolamento che se, non lo si riesce ad arginare, porterà inevitabilmente a ridurre le nostre piccole comunità di collina a “entità” insignificanti,
Per fortuna, nel panorama esistenziale della nostra comunità, proprio all’inizio di questo fenomeno, alla fine degli anni ’50 , si aprì per Casola e Riolo uno spiraglio ed uno sbocco economico/produttivo che permise di aggiungere alle realtà esistenti un supporto di attività industriale che nel tempo ha fornito un paletto ed un sostegno importante alla nostra economia, all’occupazione di mano d’opera locale e conseguentemente alla nostra sussistenza.
Ciò avvenne nel 1958 quando l’azienda di stato Anic Spa, con sede a Ravenna, aprì la Cava di Monte Tondo sulla Vena dei Gessi per trarne, a livelli industriali, materiale per l’edilizia.
Accenni di storia
Dopo i primi vent’anni la cava è poi stata gestita da altre realtà fra le quali la società BPB Italia ed acquisita infine dal gruppo Saint Gobain che dal 2009 è diventata Saint-Gobain PPC Italia. Dal 2012 i materiali estratti sono destinati a prodotti a base di gesso prevalentemente utilizzati per l’edilizia residenziale e produttiva.
Nella seconda metà degli anni ’80 , all’inizio della piana di Valsenio fu poi realizzato lo stabilimento, oggi denominato Gyproc, fortemente legato alla cava di Monte Tondo per la fornitura della materia prima per la produzione di materiali a base di gesso, in particolare cartongesso di cui in Italia è uno dei maggiori produttori (18,5 milioni di metri quadri di lastre in cartongesso e 17 mila tonnellate di intonaci a base gesso). Oggi il sito produttivo impiega direttamente circa 90 persone e coinvolge un indotto di oltre 50 fornitori esterni.
Nel frattempo si è poi aggiunta alla locale realtà produttiva la ditta Vetriceramici , ( non vogliamo dimenticare neanche la ultraquarantennale presenza della Ferromax, ora conclusasi) e diverse aziende artigianali che hanno fornito e stanno fornendo un indispensabile supporto alla economia del nostro territorio .
Inevitabilmente tutto ciò ha prodotto anche cambiamenti “ambientali”, sia per quanto riguardo l’aspetto economico/sociale, sia per ciò che concerne alcuni aspetti del territorio, fenomeni inevitabili che accompagnano ogni mutamento evolutivo.
La Cava di Monte Tondo
Ciò che più ci interessa mettere a fuoco oggi è la problematica ambientale e paesaggistica, con gli annessi aspetti economici e sociali, che si sta innestando intorno alla Cava di gesso di Monte Tondo, rimasto l’unico polo estrattivo regionale sulla Vena dei Gessi e da cui si rifornisce per la propria attività lo stabilimento Giproc di cui abbiamo prima fatto menzione.
E’ ovvio che l’attività estrattiva in una zona parziale ed abbastanza concentrata della vena ha comportato nel tempo una erosione ben visibile negli strati “gessosi” e questo aspetto paesaggistico ed ambientalistico è un prezzo che si è dovuto pagare per sostenere l’evoluzione di un altro aspetto anche questo di grande valore ambientalistico ovvero quello della nostra economia.
Così, come accade dovunque si posi la mano dell’uomo per orientare e determinare e sostenere la propria evoluzione, gli aspetti degli habitat preesistenti vengono modificati: sia che si trasformi un pascolo o un bosco incolto in un terreno coltivato, sia che si costruisca un castello o una città, sia che si trasformi un tratturo od un sentiero in una strada asfaltata, sia che si cerchi di ottimizzare e regimare meglio l’acqua di un fiume, di un torrente o di un rio tramite una chiusa ed un acquedotto e cos’, via dicendo, per tanti altri settori.
Il problema qual è? Soprattutto in questi tempi in cui la sensibilità verso gli aspetti naturalistici cattura l’attenzione (magari anche solo a fior di pelle) di una parte consistente della pubblica opinione? Il problema è ovviamente quello di trovare giusti compromessi che producano soluzioni soddisfacenti al “minor costo” di impatto paesaggistico e naturalistico possibile.
Trasmigrando queste considerazioni al caso della Cava di Monte Tondo ci si pone una domanda: dobbiamo forse ritenere che l’impatto visivo e paesaggistico determinato dagli scavi - in una porzione, tutto sommato contenuta e concentrata della vena - sia risultato così grave da sconfessare tutti i benefici economici , occupazionali e di conseguenza sociali che questa attività ha procurato alla nostra comunità? Francamente penso di no!
Penso che i vantaggi derivati alla nostra comunità dall’attività di questo comparto industriale siano più che accettabili e compensativi, anche perché, parallelamente alle attività estrattive, sono state poi messe in opera ripristini ambientali e morfologici che hanno in parte attenuato l’impatto dell’aspetto “disturbante” degli scavi.
Ma perché oggi stiamo ragionando su queste considerazioni? Lo facciamo perché riguardano un argomento di attualità in quanto le autorizzazioni in essere e relative alla attività estrattiva della cava previste dal PIAE (Piano Interregionale delle Attività Estrattive) dell’Emilia Romagna sono in scadenza e devono essere rinnovate e su questo tema si sta sviluppando un dibattito fra pareri e posizioni contrastanti.
Per dirimere la questione la Regione ha, a suo tempo, commissionato uno studio a Servin Scrl e Studio Silva Srl allo scopo di valutare le componenti ambientali, paesaggistiche e e socio-culturali relative ad un possibile proseguimento dell’attività estrattiva. Lo studio è stato presentato alla Regione che poi lo ha pubblicato.
Diciamo subito che non si può certo, con un semplice articolo del nostro giornale, approfondire l’esame di un elaborato complesso quale risulta essere il corposo faldone presentato dai tecnici incaricati alle Regione al termine della loro indagine. Cio che possiamo avanzare sono alcune osservazioni e commenti riassuntivi sugli esiti finali.
Diciamo subito che lo studio (che ricordiamo non è vincolante e tanto meno deliberativo), al termine delle dissertazioni, presenta 4 possibili scenari futuri che di seguito riassumiamo.
- Scenario A - (alternativa zero) – Completamento dell’attività estrattiva alla fine dell’autorizzazione in corso, ovvero Ottobre 2022 (salvo proroga al 2023).
- Scenario B - Ipotesi di prosecuzione della attività estrattiva all’interno dello scenario 4 dello studio di ARPA dell’anno 2021.
- Scenario C - Sfruttamento totale della porzione di giacimento gessoso non ancora coltivato e possibilità di estendere gli scavi esterni al PIAE ipotizzati a suo tempo per ottimizzare il raccordo morfologico con il crinale della Vena del Gesso
- Scenario D - Deriva da una proposta avanzata da Saint Gobain Italia Spa che prevede un ampliamento dell’attuale limite del PIAE restando comunque all’ interno dell’area preparco e fuori dal parco così da permettere, con determinati accorgimenti, di proseguire l’attività estrattiva per un numero di anni idoneo a sostenere e progettare adeguatamente ed in modo sostenibile l’attività futura.
Dunque qual è il futuro?
Scartato lo scenario A, che i più accesi ecologisti vorrebbero adottare, la Regione parrebbe volersi orientare verso l’adozione dello scenario B che tuttavia avrebbe una prospettiva futura di soli 10-15 anni di prosecuzione controllata dell’attività estrattiva, con l’auspicio di trovare soluzioni (tutte da inventare) per accompagnare gli addetti ora impiegati all’uscita dal lavoro.
Si tratta dunque di uno scenario senza prospettive serie e concrete per il futuro a lungo termine dell’attività produttiva. Francamente ci pare che questo scenario abbia più che altro l’aspetto deprimente di un piano per la conduzione al pensionamento e la dismissione della manodopera oggi impiegata. Come può progredire e svilupparsi una attività produttiva, come può una impresa investire sul proprio futuro se la prospettiva di vita ha un orizzonte limitato a 10/15 anni?
Sulla concretezza di questo scenario esistono poi perplessità anche in ordine alla correttezza e validità di alcuni importanti dati su cui lo studio si è basato. Dati che la Saint Gobain giudica essere soggettivi e non oggettivi. Ad esempio quelli relativi ai volumi residui di gesso che restano ancora da estrarre nell’area attualmente occupata. Volumi che secondo la Saint Gobain sarebbero in realtà nettamente inferiori a quelli riportati nello studio presentato alla Regione.
Lo scenario C, descritto sopra succintamente, parrebbe al momento non convincere nessuno per una serie di presupposti che alcuni ritengono troppo macchinosi e suscitano di conseguenza forti perplessità.
Lo scenario D basato su studi e proposte presentate a suo tempo della Saint Gobain prevede un piano di estrazione su un arco temporale di almeno 20 anni, e possibilmente oltre, rimanendo all’interno dell’area “pre parco” e la preservazione in toto della grotta conosciuta come “Abisso di Mezzano”. L’area del parco rimane al di fuori ma è necessario che il prossimo PIAE preveda una espansione della attività estrattiva esterna alla zona parco, seppure con tutta una serie di recuperi ambientali e di modalità di scavo e di lavorazione che permettano di contenere al massimo l’impatto paesaggistico e territoriale. A questo si aggiungerebbe l’implementazione dell’attività di recupero degli scarti della lavorazione e dell’impiego del carton gesso che già adesso viene praticata. A Casola pertanto si potrebbe realizzare un polo di interesse nazionale per la raccolta e la lavorazione di materiali gessosi dismessi da cui reperire materia prima per la produzione dei pannelli o di prodotti derivati dal gesso. Ciò permetterebbe di poter ridurre il consumo del gesso ottenuto dagli scavi.
A tal proposito va anche sottolineato, a proposito di ecologia e di prodotti sostenibili, che il gesso è uno dei materiali più ecologici, innovativi e riciclabili fra tutti i materiali per l’edilizia ed è anche quello ottenibile con il minor impiego di energia calorica.
Il problema di fondo di tutte queste considerazioni è soprattutto, o almeno dovrebbe essere questo: Le considerazioni di tipo paesaggistico e morfologico non possono sopravanzare e non tenere in serio e dovuto conto le ragioni di tipo sociale ed economico che insistono sul tema più ampio della salvaguardia “ambientale” (considerato questo termine nella sua accezione più ampia e completa e cioè popolazione e territorio) della nostra valle.
Va precisato anche, nella prospettiva della promozione della Vena a patrimonio mondiale dell’Unesco, che la cava (che è comunque esterna all’area del parco) non è incompatibile con detto patrimonio. Vale la pena di notare che all’interno di vari territori, considerati patrimonio dell’Unesco, vi sono siti estrattivi o minerari.
E d’altra parte come si potrebbe ignorare nella corretta (e non pregiudizialmente ideologizzata e distorta) valorizzazione della memoria storica di un certo “ambiente” la presenza di una realtà che ha dato e continua a dare un importante sostentamento alla economia e dunque alla sussistenza delle comunità di tale territorio?
Va anche poi sottolineato che, considerata l’ ampiezza della vena (lunga all’incirca 15 km) la cava (unica presente) occupa un’area tutto sommato molto ridotta.
Tutti d’accordo nel Consiglio Comunale di Casola Valsenio, maggioranza ed opposizione
Sull’importanza del dare concretizzazione al proseguimento dell’attività della cava di Monte Tondo e dell’attività della Saint Gobain Giproc recentemente si è espresso anche tutto il Consiglio Comunale di Casola Valsenio, votando all’unanimità una mozione di indirizzo proposta dal Sindaco Giorgio Sagrini che espone con chiarezza la necessità che a determinare il futuro dell’attività della cava siano assunti come parametri principali e irrinunciabili l’impatto sociale , economico ed occupazionale e non solo i parametri naturalistici.
In seguito il Sindaco Giorgio Sagrini, in un altro intervento, in risposta alle argomentazioni provenienti da esponenti politici ambientalisti regionali (nella fattispecie la consigliera Silvia Zamboni) ha anche espresso il proprio disappunto e la propria indignazione per la sottovalutazione e la totale mancanza di interesse e di considerazione che vengono riservati alle ricadute delle conseguenze occupazionali, socio economiche delle scelte che si andranno a compiere su tempi e modi di prosecuzione dell’attività estrattiva del gesso nella Cava di Monte Tondo.
Il sindaco conviene che la preoccupazione per la tenuta del fragile contesto ambientale naturalistico è legittima, ma lo è altrettanto – e per il sindaco ancor più – la preoccupazione per la tenuta di un fragile contesto sociale-economico quale è quello dei territori montani e delle zone interne.
L’esponente di Europa Verde, Silvia Zamboni, ha obiettato affermando che in seno al dibattito, dopo la risposta dell’assessora Priol, ha espresso l’apprezzamento per il fatto che tre assessori sono al lavoro a garanzia degli aspetti sia ambientali che occupazionali.
Staremo a vedere !!!
Al termine di questo articolo mi preme di precisare che abbiamo voluto fornire solo un panorama riassuntivo delle problematiche e tematiche in corso. Non abbiamo potuto scendere nei particolari e nelle valutazioni dei dati tecnici sia per ragioni di spazio e di tempo (e già così l’articolo e anche di per se molto lungo) sia per la mancanza di competenze tecnico scientifiche specifiche. Abbiamo comunque cercato di informarci per fornire un quadro che possa essere un minimo organico al dibattito che si sta sviluppando e penso di poter dire, per quando mi è dato di constatare, che i Casolani siano molto affezionati alla Vena dei Gessi anche per il fatto che, grazie alla Cava di Monte Tondo, queste rocce forniscono al paese un valido e concreto sostegno economico ad una comunità che ha bisogno di “ossigeno” visto che si sta assotigliando sempre più.
Alessandro Righini