Playlist: autunno 2020 - ARRIVALAUTUNNO
- Dettagli
- Scritto da Riccardo Albonetti
- Categoria: Attualita
Pubblichiamo su Lo Spekkietto la nuova PLAYLIST
compilata Manuel Andreotti
1 - Purple Disco Machine, Sophie and the Giants - Hypnotized - 2020: uno spot SKY che ti entra prepotentemente in testa, grazie a Jude Law e alle rinate sonorità Dance di questo irresistibile pezzo.
2 - Defones - Genesis - 2020: disco attesissimo, non delude minimamete (come del resto per tutta la loro carriera). Produzione e sound devastante!
3- Lady Gaga - 911 - 2020: sfido CHIUNQUE nello stare assolutamente immobili durante l'ascolto a volume spropositato di questa canzone. Produzione che più "TOP" di così non si può.
4 - Corey Taylor - Silverfish - 2020: il vocalist di Slipknot e Stone Sour che omaggia palesemente gli Alice in Chains. Voce spettacolare che vi accompagnerà in questo inizio autunnale.
5 - The Cure - Pictures of You - 1989: pioggia incessante fuori, divano, plaid, bicchiere di vino rosso e "Disintegration" che circola nell'aria. Bentornato Autunno!
6 - Mr. Bungle - Eracist - 2020: dopo 21 anni, Mike Patton, Trey Spruance, Travor Dunn più i nuovi arrivi Scott Ian e Dave Lombardo. Quanto ci siete mancati!
7 - The Sisters of Mercy - Temple of Love - 1983: in una playlist autunnale possono mancare i T.S.O.M.? Per chi non li conoscesse, cercate sul "Tubo" e potrete apprezzare quella che si definiva Dark Wave. Semplicemente spettacolari!
8 - Him - Your Sweet 666 - 1997: come sopra, ma la naturale evoluzione dovuta dal decennio successivo, con inserti più "Metal" e l'arrivo del gotico.
9 - Death SS - Terror - 1977: la Storia del Metal tricolore! Fatevi una cultura, cercate le tenebre e riscoprite questa gemma criptica. L'oltretomba in Musica.
10 - Duran Duran - The Chaffeur - 1982: molto probabilmente, il mio pezzo dei Duran Duran. La Cazone autunnale per eccellenza. LEGGENDA.
LA GITA A MARRADI
- Dettagli
- Scritto da Claudio Menni
- Categoria: Parole allo specchio
Mia madre non so come si accorse che io e mia sorella avevamo i piedi piatti.
Un mattino di febbraio ci svegliò prima del solito e camminammo di fretta fino alla corriera. Noi con i cappottini che ci avevano passato i nostri cugini più grandi, la cuffia in testa, le gambe nude. Lei, annodato sotto il mento, per ripararsi dall'aria e come unica sommessa eleganza, un velo in testa.
Appena rinnovati quei paltò, mia sorella esclamò:
-È sporco!- indicando la manica del mio.
La mamma si chinò e provando a togliere la macchia con le unghie, fece occhiolino a Giovanna e disse:
-Nessuno se ne accorgerà.
Prima di allora non avevo mai visto l'alba sorgere dietro le creste delle colline, né mai visto così da vicino, grande come una balena, la corriera azzurra inghiottire alla svelta operai e studenti rauchi e imbacuccati.
Saliti anche noi, ci accomodammo proprio dietro l'autista. Io vicino al finestrino e Giovanna in grembo a mia madre. Tutto vibrava a causa del motore acceso. L'uomo afferrò con la sinistra il volante color avorio, grande come la ruota di un carro, e con la destra mosse una leva piccola. Quindi impugnò il pomello del cambio, spingendolo avanti per inserire la marcia.
Quando la corriera si mosse, sentii lo stomaco mancarmi, ma fu solo un attimo. Quindi una sensazione di leggerezza mi pervase mentre l'autista cambiava in breve sequenza e girava il volante come fosse il timone di una nave. Con gli occhi persi nel paesaggio che mutava intanto che si faceva giorno, i contorni neri divenivano le cose che erano: case, alberi e campi; e dietro ai fanali gialli, in senso contrario sulla strada, ora si riconoscevano i modelli delle automobili. Una Fiat 850. Una 500. Un'Alfa Romeo. E molte altre che non riconobbi.
Arrivati a Faenza mia madre ci afferrò ben strette le mani e attraversammo la strada. Percorrendo marciapiedi e vie, mi sentivo sempre più oppresso: la città mi appariva di un grigio doloroso e monotono; peggio della scuola, e pensai dentro di me che mai e poi mai avrei voluto abitarci.
Il campanello squillò forte dall'interno del palazzo, sebbene mia madre lo avesse premuto solo per un attimo.
Illuminate da un lampadario che scendeva proprio al centro dello spazio sopra di noi, le pareti della sala d'attesa erano altissime. Prima di essere visitati dall'ortopedico, né io né mia sorella avemmo il coraggio di interrompere il tempo dell'attesa con un movimento brusco del collo, il salto di uno sguardo o una parola. Le finestre troppo alte per guardare fuori, l'unico scorcio erano i muri degli altri palazzi. Entrammo assieme tutti e tre. Il dottore, di spalle, era di una statura minacciosa. Si girò. Aveva capelli e baffi scuri, le mani enormi e pelose, e mentre mia sorellina smetteva un improvviso pianto, io sospettavo di lui come di tutti gli adulti, esclusi i miei genitori. Ci misurò d'altezza. Ci fece camminare e stendere le braccia davanti e di lato. In canottiera e mutande, non mi piaceva davanti a mia sorella e mia madre, ci pesò. Ci prese il calco dei piedi in una cassetta di liquido bianco che dopo pochi secondi si indurì conservandone l'impronta perfetta. E questo, lo ammetto, mi lasciò del tutto sorpreso.
MEMORIA DI UNA RINGHIERA
- Dettagli
- Scritto da LoSpekkietto
- Categoria: Parole allo specchio
Un assolato giorno di luglio del lontano 1969
appoggiate a una ringhiera di montagna,una lunga fila....un po' sgangherata di Guide dai tratti ancora infantili ed acerbi, sorride all'occhio della macchina fotografica di Don Angelo.
Le ragazze indossano divise fatte in casa da mani amorevoli di mamme o nonne, dolci visi mai dimenticati.
Ai piedi scarponi di pelle, ma di buon comando,durissimi,comprati in stok a prezzi di saldo....numeri diversi... ma tutte lo stesso modello....
in testa un misero baschetto blù da operaio metalmeccanico.... surrogato del mitico cappellone scout troppo costoso per tasche sempre vuote....
Al collo un improbabile fazzolettone scozzese primo e ultimo esemplare ormai estinto della famiglia scout casolana.
Appoggiate a quella ringhiera ci sono cuori colmi di sogni e di speranze,di entusiasmi e di amori adolescenziali che vivono quel magico momento in cui è ancora breve il passato...e il futuro è una lunga strada ancora da percorrere insieme : amiche,complici,confidenti, quasi....sorelle …
Appoggiate a quella ringhiera in un assolato giorno di luglio, torneremo noi guide del reparto Stella Polare,noi che siamo sempre le stesse , anche con i visi segnati dalla vita,ed usciremo dai nascondigli del nostro cuore per trovarci ancora una volta insieme ….amiche...complici...sorelle...unite da quel filo invisibile che ha intrecciato
le nostre vite ...che si chiama scautismo.
PS: e quando saremo su quella ringhiera, Ida, ricordati di portarti le patatine.....!!!!
Tre anni fa, dopo ben 50 anni, noi Guide del Reparto AGI Stella Polare di Casola Valsenio, ci siamo ritrovate presso la chiese di Belvedere ospitate dal nostro storico assistente ecclesiastico Don Angelo Figna per quella che consideravamo una semplice rimpatriata.
E INVECE NO!
Il nostro gruppo, riscopertosi affatato più che mai,ha deciso di riprendere il cammino,
spinto proprio dalle parole del nostro Cappellano:
“la vostra amicizia è preziosa, non disperdetela, prendetevi cura le une delle altre e diffondete il bene che vi volete anche nelle persone che vi stanno accanto e nella vostra comunità “
E' ciò che stiamo cercando di fare e anche se il maledetto coronavirus ci ha fisicamente distanziate,siamo sempre e comunque connesse tramite la nostra cheat
“Stella Polare” ,pronte per ripartire insieme, spinte dal motto del fondatore dello scautismo B.Powel: “ESTOTE PARATI” (state Pronti)
Purtroppo lo scorso febbraio, dopo aver tanto lottato, una di noi ci ha lasciate, la nostra compagna e amica Teresa Nannini che ha condiviso fino all'ultimo la nostra chat (speriamo trovandone conforto) . A lei abbiamo dedicato un ricordo.
Cara Teresa,una delle ultime volte che ci siamo sentite mi hai detto...
“ Se non me la cavo...vi voglio tutte in chiesa.”
Ed eccoci qui, siamo tutte le tue amiche, sorelle, guide della Stella Polare con le quali hai condiviso nell'adolescenza tante avventure, tante esperienze, tanti campi scout nelle nostre amate dolomiti.
Don Angelo che ci ha guidate sui sentieri dello scautismo, è presente col pensiero e la preghiera e Don Euterio ti è stato vicino fino all'ultimo giorno.
Non tutte sono potute essere presenti, Morena ti ha lasciato questo messaggio:
“Le stelle quando cadono lasciano scie luminose. Se le vediamo è perchè guardiamo il cielo. Se guardiamo il cielo è perchè crediamo in qualcosa.
Ciao Teresa, io sabato non ci sarò... però ho visto la tua scia...”
Gianna era tua compagna nella squadriglia delle gazzelle e sotto il guidone insieme alle altre ragazzine urlavate...”La gazzella corre sempre più veloce “
Oggi Gianna scrive “Una Gazzella è stata troppo veloce..ma farà sempre parte del branco”
Teresa, sei stata sempre forte e combattiva,ora riposati fra le braccia del tuo Signore che è sempre Padre tenero e misericordioso....La strada è finita cara Teresa...sei arrivata alla meta e della Stella Polare sei la stella più luminosa.
Per tutto il gruppo NP
Il casolano STAGNAZZA celebrato a San Miniato
- Dettagli
- Scritto da Roberto Rinaldi Ceroni
- Categoria: Attualita
Nell’ambito della cinquantesima mostra-mercato nazionale del tartufo bianco di San Miniato una delegazione di casolani è stata invitata a consegnare il premio Stagnaza ospite della Pro Loco locale per ricordare un nostro compaesano che in quella comunità ha lasciato una traccia indelebile e un’eredità a dir poco preziosissima.
Mentre qui nel suo paese natale se ne è perso il ricordo, di Stagnazza, al secolo Stanislao Costa, nel comune di San Miniato, in particolare nella frazione di Balconevisi, dove risiedeva emigrato da Casola e dove aveva trovato moglie (Amelia Pieragnoli), la sua memoria è ancora molto viva.
Andiamo per ordine: chi era Stagnazza? Stanislao Costa , classe 1875, soprannominato Stagnazza (il perché non lo sappiamo ma l’assonanza potrebbe essere con un mestiere o suo o del padre allora molto diffuso cioè lo stagnino che girava i paese e le campagne per rattoppare il pentolame della cucina) apparteneva a quella schiera di braccianti che stagionalmente scavallavano il crinale verso la toscana alla ricerca di un’occupazione saltuaria.
Il centro storico del paese di San Miniato è situato sulle prime colline a ridosso dell’Arno in una posizione strategica fra le città di Firenze e Pisa. Dall’alto della torre che sovrasta il paese si osserva il corso dell’Arno che ora defluisce in sicurezza idraulica dopo aver accolto parte delle acque che scolano dall’appennino pistoiese. Un tempo però il fiume non aveva argini e dilagava ad ogni piena nella pianura circostante. La zona fu oggetto di bonifica già a partire dall’epoca medievale. Durante il Granducato di Toscana si pose mano alla bonifica di tutta l’area a valle di San Miniato con un’impostazione tecnico giuridica all’avanguardia per l’epoca nel panorama dell’intera penisola. Lo stato italiano riprese l’iniziativa degli Asburgo Lorena e cercò di portare a termine il processo di prosciugamento della valle inferiore dell’Arno che con le sue piene produceva miseria e devastazione ma anche pesanti lutti con le epidemie di malaria.
A cavallo fra ottocento e novecento i braccianti romagnoli potevano recarsi sui cantieri toscani o a piedi con un lungo e faticoso cammino attraverso il passo Ronchi di Berna del Carzolano poi verso Borgo San Lorenzo e Firenze oppure con la nuova ferrovia Faenza-Firenze inaugurata nell’aprile del 1893. Ma per il nostro Stagnazza, che arrotondava le magre sue finanze con i proventi della vendita del tartufo, l’opzione era una soltanto: a piedi. Già perché nelle ferrovie del Regno era severamente vietato il carico dei cani e ogni buon tartufaio che si rispetti gira sempre in compagnia del suo inseparabile compare a quattro zampe.
Arrivati a destinazione sicuramente i braccianti cercavano di trovare alloggio lontano dal fondovalle dove risiedevano invece i cantieri di lavoro per evitare la calura umida e i “ miasmi” che si credevano portatori delle febbri malariche ( la scoperta del plasmodio come causa e della zanzara come vettore avverrà solo nel 1898).
Chissà: forse Stagnazza avrà lasciato in custodia il cane presso un podere oppure lui stesso, terminato il duro turno al cantiere, alloggiava presso una famiglia in collina, fatto sta che scoprì come in quei boschi crescesse a meraviglia il tartufo bianco pregiato ( Tuber magnatum Pico). I contadini del posto sapevano di questi bei tuberi profumati ma non ne facevano commercio tanto che a goderne erano soltanto i maiali portati al pascolo nei boschi di querce. Per un tartufaio provetto come Stagnazza erede della scuola casolana dei cercatori di tartufo quel territorio si palesava come un vero e proprio Eldorado.
A Stagnazza si affiancarono altri raccoglitori e, di seguito, commercianti intraprendenti che della attività di ricerca , raccolta e commercio del tartufo ne fecero una vera professione. Si deve ad un altro cercatore di Tartufi di Balconevisi, Arturo Gallerini , soprannominato il “Bego” il ritrovamento del tartufo bianco più grande del mondo, nel 1954 ( pesava 2,5 Kg e fu regalato al Presidente degli Stati Uniti) .
A San Miniato non si sono dimenticati di Stagnazza ed in occasione dell’ annuale “Mostra Mercato Nazionale” che si svolge ogni anno negli ultimi tre week end di Novembre si ricorda anche la figura di quel nostro antico compaesano che diede origine a questa prospera attività.
Intervista a Marta Cantagalli
- Dettagli
- Scritto da Sara Acerbi
- Categoria: Attualita
Intervistiamo Marta Cantagalli, giovane sommelier casolana facente parte della delegazione AIS di Faenza (Associazione Italiana Sommelier) per farci raccontare le esperienze e le emozioni del suo lavoro e scoprire qualcosa in più sulle ricchezze della nostra terra.
PARLACI DI COME TUTTO HA AVUTO INIZIO, COME TI SEI AVVICINATA AL MONDO DEL VINO? C’È STATO UN MOMENTO PRECISO IN CUI LA PASSIONE SI È TRASFORMATA IN VOLONTÀ DI ESSERE TRASFORMATA IN MESTIERE?
Il mio avvicinamento al mondo del vino è stato atipico. Spesso capita che chi decida di intraprendere questo tipo di percorso provenga da una famiglia con una realtà vitivinicola alle spalle, abbia una qualche connessione con il mondo agricolo o una già assodata passione per il vino.
Io non avevo niente di tutto ciò, stavo quasi per finire il Liceo e gli stessi studi di attinenze con il vino ne avevano ben poche (ho un diploma socio-psico-pedagogico).
Ricordo bene il momento della “folgorazione”: era il 2011, stavo partecipando ad uno dei tanti Open Day organizzati dalle Università di Bologna e mi incantai davanti al programma di un corso di Laurea che non avevo mai sentito nominare: “Viticoltura ed Enologia”.
Durante la triennale ho poi preso parte ai corsi di I, II e III livello promossi dall’AIS (Associazione Italiana Sommelier), ed è stato proprio in quegli anni che ho deciso che avrei cercato un lavoro che mi potesse dare la possibilità di mettere in pratica quello che avevo studiato.
IN CHE COSA CONSISTE IN SOLDONI L’ATTIVITÀ DI UN SOMMELIER?
Il sommelier è una figura che non si limita, come spesso si è portati a pensare (complici anche tante gag televisive), al solo assaggio e degustazione di un vino snocciolando termini mirabolanti ai limiti dell’immaginazione.
È una persona che il vino lo racconta, lo comunica.
Come un bravo narratore, il sommelier ti prende per mano e ti conduce all’interno di un bellissimo viaggio in cui si parla di vigne, di fattori climatici, di profumi inebrianti e delle storie delle famiglie che quel vino lo hanno prodotto.
QUAL È L’ASPETTO CHE AMI DI PIÙ DEL TUO LAVORO?
Da alcuni anni lavoro in all’interno di un’Enoteca a Lugo di Romagna.
Un’enoteca è un luogo che, come dico spesso, rappresenta il “Paese dei Balocchi” per chiunque abbia un interesse verso il vino.
La mia situazione ideale, quella che in assoluto mi diverte e stimola di più, è trovarmi di fronte ad un cliente che mi dà qualche indicazione sul gusto che vorrebbe ritrovare nel suo vino oppure che mi indirizza su una zona di produzione specifica e lì inizio a guidarlo verso quelle che potrebbero essere le “papabili” bottiglie da acquistare e portarsi a casa.
Mi rendo conto di divertirmi davvero tanto in quei momenti perché ho modo di esprimermi al massimo!
CHE COSA TI ASPETTI DA UN VINO AL PRIMO ASSAGGIO?
Quando assaggio per la prima volta un vino che non conosco mi aspetto (o meglio, mi auguro!) che mi faccia emozionare. Capita spesso che mi venga chiesto quale sia il mio vino preferito... in realtà non ci sono vini preferiti per me, ma ricordo benissimo tutti i vini che mi hanno dato delle emozioni.
È tutta una questione di sensazioni, quel mix di gusti e profumi che va a toccare delle corde particolari e ti fa aprire i cosiddetti “cassetti della memoria”. Quelli sono i vini che mi rimarranno impressi per sempre.
Pagina 10 di 58