Intervista a Marta Cantagalli
- Dettagli
- Scritto da Sara Acerbi
- Categoria: Attualita
Intervistiamo Marta Cantagalli, giovane sommelier casolana facente parte della delegazione AIS di Faenza (Associazione Italiana Sommelier) per farci raccontare le esperienze e le emozioni del suo lavoro e scoprire qualcosa in più sulle ricchezze della nostra terra.
PARLACI DI COME TUTTO HA AVUTO INIZIO, COME TI SEI AVVICINATA AL MONDO DEL VINO? C’È STATO UN MOMENTO PRECISO IN CUI LA PASSIONE SI È TRASFORMATA IN VOLONTÀ DI ESSERE TRASFORMATA IN MESTIERE?
Il mio avvicinamento al mondo del vino è stato atipico. Spesso capita che chi decida di intraprendere questo tipo di percorso provenga da una famiglia con una realtà vitivinicola alle spalle, abbia una qualche connessione con il mondo agricolo o una già assodata passione per il vino.
Io non avevo niente di tutto ciò, stavo quasi per finire il Liceo e gli stessi studi di attinenze con il vino ne avevano ben poche (ho un diploma socio-psico-pedagogico).
Ricordo bene il momento della “folgorazione”: era il 2011, stavo partecipando ad uno dei tanti Open Day organizzati dalle Università di Bologna e mi incantai davanti al programma di un corso di Laurea che non avevo mai sentito nominare: “Viticoltura ed Enologia”.
Durante la triennale ho poi preso parte ai corsi di I, II e III livello promossi dall’AIS (Associazione Italiana Sommelier), ed è stato proprio in quegli anni che ho deciso che avrei cercato un lavoro che mi potesse dare la possibilità di mettere in pratica quello che avevo studiato.
IN CHE COSA CONSISTE IN SOLDONI L’ATTIVITÀ DI UN SOMMELIER?
Il sommelier è una figura che non si limita, come spesso si è portati a pensare (complici anche tante gag televisive), al solo assaggio e degustazione di un vino snocciolando termini mirabolanti ai limiti dell’immaginazione.
È una persona che il vino lo racconta, lo comunica.
Come un bravo narratore, il sommelier ti prende per mano e ti conduce all’interno di un bellissimo viaggio in cui si parla di vigne, di fattori climatici, di profumi inebrianti e delle storie delle famiglie che quel vino lo hanno prodotto.
QUAL È L’ASPETTO CHE AMI DI PIÙ DEL TUO LAVORO?
Da alcuni anni lavoro in all’interno di un’Enoteca a Lugo di Romagna.
Un’enoteca è un luogo che, come dico spesso, rappresenta il “Paese dei Balocchi” per chiunque abbia un interesse verso il vino.
La mia situazione ideale, quella che in assoluto mi diverte e stimola di più, è trovarmi di fronte ad un cliente che mi dà qualche indicazione sul gusto che vorrebbe ritrovare nel suo vino oppure che mi indirizza su una zona di produzione specifica e lì inizio a guidarlo verso quelle che potrebbero essere le “papabili” bottiglie da acquistare e portarsi a casa.
Mi rendo conto di divertirmi davvero tanto in quei momenti perché ho modo di esprimermi al massimo!
CHE COSA TI ASPETTI DA UN VINO AL PRIMO ASSAGGIO?
Quando assaggio per la prima volta un vino che non conosco mi aspetto (o meglio, mi auguro!) che mi faccia emozionare. Capita spesso che mi venga chiesto quale sia il mio vino preferito... in realtà non ci sono vini preferiti per me, ma ricordo benissimo tutti i vini che mi hanno dato delle emozioni.
È tutta una questione di sensazioni, quel mix di gusti e profumi che va a toccare delle corde particolari e ti fa aprire i cosiddetti “cassetti della memoria”. Quelli sono i vini che mi rimarranno impressi per sempre.
INTERVISTA A GIANNI FARINA
- Dettagli
- Scritto da Riccardo Albonetti
- Categoria: Cultura
Facciamo finta (ma forse neanche troppo) che i nostri lettori non conoscano per nulla Gianni Farina se non per il fatto di essere il figlio di, l’amico di, quello che viveva ecc ecc.. Facciamo finta di doverlo presentare ai nostri lettori. Quindi la prima domanda che dovrei porre è:
Che mestiere fai?
Se mi è rischiesta una riposta precisa dico che sono regista, drammaturgo, light and sound designer. Se posso essere sintetico rispondo che faccio teatro. Ho fondato il gruppo Menoventi nel 2005 insieme agli attori Consuelo Battiston (di Fiume Veneto - un paesino friulano che aluni casolani conoscono bene: nel ‘96 ospitò un raduno degli speleologi) e Alessandro Miele (di Pompei, che ora ha lasciato la compagnia per fondare un suo gruppo a Lecce), ma a volte lavoro per progetti non direttamente connessi a Menoventi.
Lasciamo perdere le domande del tipo “ma è un mestiere?”, “ma ci campi?”, e vari altri ma che nascono da questo tipo di risposta. Un aspetto che reputo sempre interessante per un’intervista è conoscere come sono nate le passioni dei miei interlocutori A volte si tratta di un suggerimento dato da un amico, a volte da uno spunto a scuola o da una situazione che si presenta inaspettata. Nel più classico degli schemi una passione nata in famiglia. Nel tuo caso?
È frutto della somma di tanti piccoli passi, non riuscirei a individuare un momento X. Riesco però a ritrovare alcuni momento salienti. Il teatro mi ha sedotto subito dopo le medie, grazie a una coraggiosa e intensa esperienza che alcuni gruppi romagnoli - allora quasi sconosciuti e ora ai vertici del panorama europeo - realizzarono tra Casola e Tredozio. Tra questi c’era il Teatrino Clandestino, la formazione della nostra compaesana Fiorenza Menni, che mi fece anche scoprire il Festival di Santarcangelo, una rivelazione mozzafiato per un quindicenne. In seguito, alle superiori, frequentai diversi laboratori e feci le prime esperienze sul palco, ma le contingenze economiche mi suggerirono di incamminarmi su strade meno incerte: ho fatto il cameriere, metalmeccanico, elettricista… è stato un percorso decisamente atipico per mio attuale settore, popolato per lo più da persone di un’altra estrazione sociale. Nel 2001 anni ho saputo di un ottimo corso di formazione per attori, proprio a Santarcagnelo, e ho deciso di tentare: mi sono licenziato (era necessaria l’iscrizione all’ufficio di collocamento) senza sapere se avrei superato la selezione e mi è andata bene. Finito quel percorso ho ripreso la vita del cameriere, ma parallelamente non ho più mollato il teatro, fino a quando nel 2005 ho debuttato come regista con il gruppo menoventi. Lo spettacolo è andato molto bene e nel giro di tre anni ho smesso di fare altri lavori per mantenermi. Ovviamente tiro ancora molto la cinghia, il tetro non è la televisione.
Poi sappiamo che il sacro fuoco dell’arte non è sufficiente e diventano necessarie la volontà, la tenacia, la voglia di imparare e di migliorarsi, il bisogno di un maestro. Sbaglio?
Sul maestro posso aggiungere che ho incontrato almeno 4/5 persone che mi hanno cambiato la vita; mi hanno trasmesso curiosità, dedizione, uno sguardo più lucido sulla temibile struttura sociale che il genere umano ha generato. Grinta e argomenti, quindi, ma anche la necessità di avviare una ricerca formale onesta.
E la Fortuna?
Voci dal Reparto
- Dettagli
- Scritto da Lucia
- Categoria: Scout
“Guardo fuori dalla finestra
Il cielo è di un azzurro quasi cristallino,
il sole alto nel cielo illumina e scalda tutto attorno a sé
la natura si risveglia
forse complice anche la primavera.
Appoggio la tazzina di caffè sul comodino
Apro l’armadio
Tiro fuori la camicia
pulita e stirata
forse anche troppo
quasi non la riconosco
la indosso, arrotolando le maniche fino al gomito
poi metto il fazzolettone
fedele compagno di molte avventure
ha ancora i segni dell’ultimo campo invernale
prima di chiudere l’armadio
l’occhio mi cade sui pantaloni di velluto
non sono necessari
penso
poi ci ripenso
metto anche quelli
perché l’uniforme è l’uniforme
e le cose bisogna farle per bene
oggi devo girare un video da mandare al Reparto”
ESTOTE PARATI! Ovvero siate pronti, siate preparati. Questo è il motto del Reparto.
Noi non eravamo preparati a tutto questo, però non ci siamo scoraggiati e abbiamo cercato soluzioni alternative per riuscire a portare avanti le nostre attività con i ragazzi.
Via telematica 😊
E' uscito Lo Specchio n.256 - Lo Spekkietto n.72
- Dettagli
- Scritto da LoSpekkietto
- Categoria: Cronaca
Anche a CASOLA, un caldo inverno
- Dettagli
- Scritto da Roberto Rinaldi Ceroni
- Categoria: Attualita
Siamo appena usciti da uno degli inverni più caldi e asciutti che si ricordino a memoria d’uomo.
Se non fosse stato per la pandemia le prime pagine della stampa si sarebbero già riempite di titoli sulla siccità.
Con gli studenti chiusi in casa e le piazze completamente vuote anche il movimento Fridays for future ha avuto scarsa visibilità nonostante il tentativo di realizzare uno sciopero digitale il 24 aprile.
Il Covid ha messo la sordina al tema dei mutamenti climatici ma si accavallano i segnali continui di anomalie del tempo meteorologico e farsene qualche appunto merita perché saremo chiamati ad affrontare situazioni già ora facilmente intuibili : non potremo farci trovare impreparati.
Due sono i dati che emergono dalla lettura dell’andamento climatico dall’autunno alla primavera cioè dall’ottobre scorso ad oggi ( 29 di aprile).
Da un lato la scarsità delle precipitazioni. E’ piovuto poco con valori mensili tutti sotto la media tranne per novembre quando sono caduti 233 mm di pioggia a fronte della media storica di Casola che è sui 110 mm.
Ottobre 22 mm , dicembre 109 mm, gennaio 21 mm, febbraio addirittura 7,6 ( media storica 70 mm), marzo 54. E’ piovuto poco e male. Il dato di marzo ad esempio pure se scarso di per sé, lo diventa ancor di più se si tiene presente che trenta di quei millimetri sono caduti in una settimana: praticamente ha sgocciolato un po’ tutti i giorni senza che l’acqua penetrasse in profondità.
Per adesso aprile (ogni giorno un barile?) è scarso tranne per un paio di giorni in cui sono piovuti 40 mm in totale.
Di neve praticamente nulla. Qualche centimetro appena: di nessun valore come utilità sul bilancio idrico.
E la domanda è proprio questa: come faremo a passare l’estate praticamente senza riserve idriche significative? Qualcuno mi smentirà ricordando il maggio dello scorso anno quando piovvero più di 400 mm di pioggia che, dopo un inverno simile a questo, appena leggermente migliore, reintegrarono di parecchio le falde acquifere. Ma a che prezzo? Vi ricordate: smottamenti, freddo, danni alle colture, praticamente chiusi in casa anche senza Covid.
L’altro dato da rimarcare per questo inverno sono state le temperature sempre molto al di sopra dello zero con un paio di rapidi ingressi di aria fredda quasi sempre da subito compensata dal ritorno dell’alta pressione di origine africana. L’ultima sciabolata di freddo è stata nella notte fra il 24 e il 25 marzo quando la temperatura è scesa nel fondovalle anche a -5° con gravi danni ai fruttiferi, albicocchi soprattutto. Una gelata per avvezione che ha messo in ginocchio mezza Romagna (stima dei danni 400 ml di euro, fonte Regione ER).
Conseguenze? Tante sull’ecosistema ma quella che a noi risulta più fastidiosa è che le popolazioni svernanti degli insetti dannosi, zanzare in testa, aumentano perché l’assenza del vero freddo non le decima.
Aggiungiamo la cimice asiatica, il moscerino della frutta e altre allegre creature che aiutano a devastare molte delle colture della campagna casolana ( non mi dimentico delle difficoltà degli apicoltori: nel prossimo numero li sentiremo di persona).
Per gli agricoltori si fa dura: la cimice asiatica nel 2019 ha procurato danni nel Nord Italia per quasi 600 milioni di euro con una perdita di redditività a ettaro di 8700 € nelle nettarine e di 8600 € a ettaro per le pere ( fonte CSO, centro servizi ortofrutticoli). La speranza è la lotta biologica, dopo che a gennaio l’UE ha messo al bando il clorpirifos l’unico insetticida efficace poiché imputato di procurare danni neurologici e sullo sviluppo sull’uomo, un po’ come si fece per la battaglia ( vinta) contro la vespa cinese del castagno.
Ma qui è molto più dura per le caratteristiche della specie nemica.
Chi vive in paese, oltre alla sistematicità dei trattamenti contro le zanzare, dovrà ricordarsi di non sprecare l’acqua. Casola come tanti paesi dell’appennino deve fare i conti con una situazione geologica e idrologica che non le consentono di utilizzare acqua senza dare delle priorità ai suoi utilizzi.
Mi spiego meglio: lavare l’automobile e irrigare i prati dei giardini sono utilizzi impropri e non più compatibili con i mutamenti climatici in corso.
Bisogna imparare ad abitare il limite e ricordarsi che la terra non la si può continuare a spremere impunemente.
Roberto Rinaldi Ceroni
Pagina 16 di 64