Il giro della Breta è vietato
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- Scritto da Paola Giacometti
- Categoria: Attualita
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Oggi, 12 aprile 2020: Pasqua
La Pasqua ai tempi dell’epidemia
Ho aperto l’uovo di Pasqua , ma non vi ho trovato ciò che desideravo…!
Se potessi trovare nell’uovo di Pasqua…!!!
Voi, quale desiderio avreste voluto fosse esaudito?
Io un lasciapassare! Un Pass…!
Sì...un piccolo desiderio: un lasciapassare, “un pass per fare il giro della Breta”.
Risibile desiderio, insignificante e così piccolo.
Mi trattengo dall’uscire. Non voglio contagiare nessuno, non mi sogno di accorciare le distanze, il metro è sacro. Ma mi dispiace non poter camminare, non poter vedere le strade percorse, i negozi frequentati, le piazze attraversate, gli occhi devono poter incontrare altri sguardi… e mi dispiace non poter camminare nel classico percorso di noi Casolani, amanti dei passi del giro della Breta.
“Ma come, non potete voi casolani percorrere i circa 4 chilometri che costituiscono la lunghezza di questa passeggiata?”
Ebbene no, in tempi di CoronaVirus, anche questo è un desiderio impossibile, come tanti altri ( e ben più seri, sia ben chiaro, lo so).
Noi 40 casalinghe, 50 giovani, 20 badanti, 30 pensionati, 20 ragazzini, 25 convalescenti stiamo aspettando il Pass!
Questo giro della Breta è così legato alla quotidianità di molti Casolani che, in tanti, in fila presso i negozi, in attesa di entrare si lamentano: “Almeno si potesse fare il giro della Breta!Questa quarantena sarebbe più sopportabile!”
Sì, capisco che non ci si può allontanare oltre i 100 metri da casa, ma il giro della Breta è terapeutico!
La scuola al tempo del Coronavirus
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- Scritto da Paola Pozzi
- Categoria: Parole allo specchio
È una “tranquilla” mattina di aprile.
Appena sveglia apro Whatsapp e ci trovo già una cinquantina di messaggi sulla chat “supporto digitale”.
«Cancellate subito Zoom! È pericoloso!»
Zoom è un esemplare della misteriosa fauna di piattaforme che imperano in quest’epoca di scuola didattica a distanza.
Già, perché all’epoca del Coronavirus non bisogna solo inventarsi di una nuova vita all’interno delle mura domestiche, ma applicare tutte quelle nuove metodologie digitali per cercare di mantenere una qualche parvenza di normalità nel mondo della scuola.
Dobbiamo stare chiusi in casa? Apriamo Google e di lì su può andare dove si vuole. Anche a casa dei propri scolari che sbadigliando si presentano in pigiama col baffo color cioccolato e lo zucchero a velo sul mento.
Gli studenti più grandi hanno gli appuntamenti con i loro prof e la giornata è scandita da orari, interrogazioni, lezioni e correzioni, tutto digitale. Si ritrovano tutti lì in quello schermo e dopo due mesi di “prigione” è un modo per non perdersi e restare insieme. Ci sono gli stessi volti, gli stessi prof e si cerca di dare un senso di speranza per non spezzare il filo che li lega, soprattutto per non lasciare nulla di intentato. Ma questa scuola è tutta un’altra cosa.
L’energia di condividere spazi comuni, il bisogno di confrontarsi, il modo di interagire, l’energia che fluisce dai rapporti umani, sono la vere mancanze. Ci si barcamena, ci si sorride attraverso la piattezza di quello schermo che per fortuna ci tiene uniti, in qualche modo.
Di sicuro le nuove generazioni sono quasi sempre attrezzate a livello tecnologico e riescono a districarsi nella giungla di internet. Invece io, che ormai sono un dinosauro, spesso mi sento inadeguata e mi muovo a tentoni nel mondo della scuola digitale.
Clicca lì, scarica il link, crea un Padlet… attenta agli hacker (ma loro, scusate, fanno lo smart working?).
«Allora Paola, adesso entra in Google.»
«Fatto.»
«Ora scrivi WWW…»
«Dove? Ah sì… ecco, e adesso?»
«Adesso guarda sulla destra, c’è una freccina, la vedi? Spingi sulla freccia.»
«Aspetta che non la vedo… eccola!»
Margherita, la mia collega “digitale” (che fu mia scolara nell’epoca del Cenozoico), mi segue in videochiamata con infinita pazienza e mi guida, passo passo, nel sentiero virtuale per accerede, click dopo click, alle app, ai siti, ai Padlet, a Meet ecc ecc.
Intanto io mi segno i nomi, scrivo le sequenze, annoto le password (maledette) che sono infinite e devono essere cambiate molto spesso.
Ora potete immaginare la fatica di muoversi in questo labirinto pieno di trappole. Sì, perché se anche sei seduto comodamente in casa tua, col pc davanti, credi che non ti possa succedere niente di male… e invece a me basta un battito di ciglia che lo schermo cambia pagina o i caratteri diventano cubitali… aiuto!
«Lorenzooo!»
È sempre reperibile mio figlio (anche perché è bloccato in casa pure lui), è il mio tecnico pronto ad intervenire quelle volte (sempre) in cui mi trovo bloccata davanti al computer.
Primo premio SCACCIANOIA a Tommaso Lodi
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- Scritto da LoSpekkietto
- Categoria: Attualita
Salutare i propri cari in tempi di lockdown
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- Scritto da Sonia Galliani
- Categoria: Attualita
E’ nella natura delle vita che i figli sopravvivano ai genitori e che quindi arrivi il triste giorno in cui tenendogli la mano gli si stia vicino nell’ora del trapasso. Certo…più tardi possibile e magari dopo aver vissuto al loro fianco e averli visti invecchiare serenamente.
Non è invece nell’ordine delle cose dover salutare i propri cari adesso ..al tempo del lockdown da coronavirus. Ed è quello che è successo a me e alla mia famiglia…come a tante altre migliaia di famiglie, che per coronavirus o no (come nel caso di mio padre), hanno visto morire i loro cari. O meglio non li hanno proprio visti e han vissuto questo dolore in una modalità nuova e lontana dalle nostre consuetudini.
Mio padre infermo da anni “ ha fatto un crollo” ,come si usa dire, nei primi due mesi dell’anno e a fine febbraio la sua condizione fisica era notevolmente compromessa da un quadro definito dalle sue molteplici patologie (diremmo noi…un sacco di acciacchi più o meno gravi). Dopo aver perso la capacità di reggersi sulle gambe e di trascinarsi dal letto alla sedia, lo abbiamo visto incapace di reagire, allettato e sofferente senza sintomi particolari. Lo abbiamo assistito fino a quando non ci è stato più possibile, anche considerando la sua notevole stazza. Dolorosamente abbiamo deciso il ricovero presso una struttura protetta, che comunque lo ha ospitato per sole tre ore in quanto lo stesso giorno in cui è entrato, una febbre alta ha condotto il personale della struttura a decidere di portarlo al pronto soccorso.
E da lì è iniziato il doloroso percorso che dopo venti giorni lo ha portato al decesso. E’ stato surreale quando pochi giorni dopo il ricovero mi son presentata al reparto e mi han detto che non sarei più potuta entrare e che non lo avrei più potuto vedere per motivi di sicurezza sanitaria. Mi son trovata a implorare un’infermiera di concedermi un minuto per poterlo salutare e tranquillizzare , perché lui, ancora cosciente anche se confuso, sapeva che sarei andata ad aiutarlo per il pranzo, e io non volevo pensasse di essere stato abbandonato . Quella santa donna, che mi ha detto di chiamarsi Aurora e che ringrazio ancora, mi ha concesso un minuto per salutarlo ,durante il quale ho tentato di spiegargli il perché non mi avrebbe più vista e gli ho promesso che appena possibile ci saremmo rivisti. In cuor mio sapevo che quella promessa avrei anche potuto non mantenerla a breve termine….
Poi ho fatto il viaggio più triste che potessi immaginare verso casa….da sola a quarantena già iniziata (era in 16 marzo) sapendo che avrei portato a mia madre a mio fratello questa notizia pesante anche solo da pensare.
Intervista al Dottor Claudio Visani
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- Scritto da Nicola Rinaldi Ceroni
- Categoria: Cronaca
Claudio, innanzitutto ti ringrazio per aver trovato il tempo di rispondere a queste domande.
So che sei ancora impegnato come volontario nell’ospedale di Imola, reparto Covid19, com’ è successo che, pensionato da tre anni, ti sei ritrovato a lavorare lì?
E’ stato difficile decidere di accettare?
No, non è stato difficile, non mi sono tirato indietro quando nel 2017, già in pensione da 6 mesi, mi è stato chiesto un aiuto per carenza di organico, ora a maggior ragione, vista l’emergenza sanitaria in atto, e il disperato bisogno di anestesisti rianimatori, che sono le figure strategiche nella cura dei malati Covid, mi sono sentito immediatamente di dover dare la mia disponibilità, ne ho parlato con la mia famiglia che, anche se con un po’ di paura, ha appoggiato questa decisione, conoscendomi, loro sapevano che non sarei potuto stare a guardare in questa situazione.
Come sono stati l’impatto,la preparazione, le istruzioni che hai ricevuto per entrare ad operare in questa situazione di emergenza?
Dopo aver lavorato tanti anni in rianimazione, l’emergenza ti entra nel DNA, di conseguenza non c’è stato un impatto traumatico con questa nuova situazione, ma è cambiato l’approccio, prima correvi sull’emergenza, adesso, prima di correre, devi proteggerti e per farlo devi seguire una procedura meticolosa, quasi maniacale per indossare i presidi di protezione, la stessa procedura, va poi seguita al momento della svestizione, un passaggio sbagliato in entrambe queste fasi può determinare un contagio.
Nell’ospedale dove lavori ci sono tutte le precauzioni e presidi per la sicurezza del personale sanitario?
Nell’Ospedale di Imola non mancano i presidi di protezione, mi rattrista molto quando sento che tanti colleghi, di altre strutture, abbiano dovuto lavorare con scarse misure di protezione, a rischio della loro stessa vita.
Dal tuo osservatorio del reparto di terapia intensiva come qualificheresti questo virus?
In tanti anni di lavoro mi sono trovato spessissimo ad affrontare situazioni difficili e complesse, ma avevo sempre chiaro in me le cose da fare, adesso ci troviamo ad affrontare un problema che esula da tutti gli schemi fisiopatologici conosciuti. Ogni giorno scopriamo qualcosa di nuovo su questa patologia e tutti i giorni “aggiustiamo il tiro“ su come affrontare questa nuova e devastante malattia.
I pazienti?
I pazienti che tratto generalmente sono quelli più gravi, quindi hanno bisogno di un supporto ventilatorio invasivo, nel senso che sono intubati e connessi ad un respiratore automatico, conseguentemente sono sedati.
In un primo momento, i pazienti più gravi, fanno un percorso (tentativo) di ventilazione non invasiva, che quando fallisce ti impone l’intubazione, questo è il momento peggiore, perchè vedi una persona angosciata, spaventata e tu la devi rassicurare, spiegandole cosa ti appresti a fare, e quando ti senti dire “ dottore mi aiuti“, provi a far uscire dalla maschera che hai sul viso un sorriso e gli dici “tranquillo ci sono io adesso che ti faccio respirare meglio“, mentre inietti i farmaci,che lo faranno dormire, sai che da quel momento hai a disposizione secondi e non minuti per procedere all’intubazione rapida, in questi istanti, il monitor che rileva i parametri vitali del paziente suona come impazzito, mentre tu procedi in tutta fretta a questa manovra salvavita, poi smette di suonare, guardi i parametri vitali del paziente, fanno un po’ meno schifo di prima,pensi speranzoso, forse…. ce la può fare.
Che “aria” si respira nel reparto?
Ci rendiamo conto che stiamo vivendo una strana realtà, ma siamo anche consapevoli che quello che stiamo facendo è la cosa migliore da farsi, inoltre non mancano le manifestazioni di riconoscenza da parte della cittadinanza, ogni giorno ci vengono recapitate dalle varie pizzerie, ristoranti, pasticcerie, supermercati…vari generi alimentari, sono piccole cose che ti fanno sentire la vicinanza della gente e ti scaldano il cuore, l’altro giorno poi è stato davvero emozionante il saluto delle forze dell’ordine, diverse pattuglie sono venute sotto le nostre finestre, omaggiandoci stando tutti sull’attenti e con le sirene spiegate.
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