Siamo appena usciti da uno degli inverni più caldi e asciutti che si ricordino a memoria d’uomo.

Se non fosse stato per la pandemia le prime pagine della stampa si sarebbero già riempite di titoli sulla siccità.

Con gli studenti chiusi in casa e le piazze completamente vuote anche il movimento Fridays for future ha avuto scarsa visibilità nonostante il tentativo di realizzare uno sciopero digitale il 24 aprile.

Il Covid ha messo la sordina al tema dei mutamenti climatici ma si accavallano i segnali continui di anomalie del tempo meteorologico e farsene qualche appunto merita perché saremo chiamati ad affrontare situazioni già ora facilmente intuibili : non potremo farci trovare impreparati.

Due sono i dati che emergono dalla lettura dell’andamento climatico dall’autunno alla primavera cioè dall’ottobre scorso ad oggi ( 29 di aprile).

Da un lato la scarsità delle precipitazioni. E’ piovuto poco con valori mensili tutti sotto la media tranne per novembre quando sono caduti 233 mm di pioggia a fronte della media storica di Casola che è sui 110 mm.

Ottobre 22 mm , dicembre 109 mm, gennaio 21 mm, febbraio addirittura 7,6 ( media storica 70 mm), marzo 54. E’ piovuto poco e male. Il dato di marzo ad esempio pure se scarso di per sé, lo diventa ancor di più se si tiene presente che trenta di quei millimetri sono caduti in una settimana: praticamente ha sgocciolato un po’ tutti i giorni senza che l’acqua penetrasse in profondità.

Per adesso aprile (ogni giorno un barile?) è scarso tranne per un paio di giorni in cui sono piovuti 40 mm in totale.

Di neve praticamente nulla. Qualche centimetro appena: di nessun valore come utilità sul bilancio idrico.

E la domanda è proprio questa: come faremo a passare l’estate praticamente senza riserve idriche significative? Qualcuno mi smentirà ricordando il maggio dello scorso anno quando piovvero più di 400 mm di pioggia che, dopo un inverno simile a questo, appena leggermente migliore, reintegrarono di parecchio le falde acquifere. Ma a che prezzo? Vi ricordate: smottamenti, freddo, danni alle colture, praticamente chiusi in casa anche senza Covid.

L’altro dato da rimarcare per questo inverno sono state le temperature sempre molto al di sopra dello zero con un paio di rapidi ingressi di aria fredda quasi sempre da subito compensata dal ritorno dell’alta pressione di origine africana. L’ultima sciabolata di freddo è stata nella notte fra il 24 e il 25 marzo quando la temperatura è scesa nel fondovalle anche a -5° con gravi danni ai fruttiferi, albicocchi soprattutto. Una gelata per avvezione che ha messo in ginocchio mezza Romagna (stima dei danni 400 ml di euro, fonte Regione ER).

Conseguenze? Tante sull’ecosistema ma quella che a noi risulta più fastidiosa è che le popolazioni svernanti degli insetti dannosi, zanzare in testa, aumentano perché l’assenza del vero freddo non le decima.

Aggiungiamo la cimice asiatica, il moscerino della frutta e altre allegre creature che aiutano a devastare molte delle colture della campagna casolana ( non mi dimentico delle difficoltà degli apicoltori: nel prossimo numero li sentiremo di persona).

Per gli agricoltori si fa dura: la cimice asiatica nel 2019 ha procurato danni nel Nord Italia per quasi 600 milioni di euro con una perdita di redditività a ettaro di 8700 € nelle nettarine e di 8600 € a ettaro per le pere ( fonte CSO, centro servizi ortofrutticoli). La speranza è la lotta biologica, dopo che a gennaio l’UE ha messo al bando il clorpirifos l’unico insetticida efficace poiché imputato di procurare danni neurologici e sullo sviluppo sull’uomo, un po’ come si fece per la battaglia ( vinta) contro la vespa cinese del castagno.

Ma qui è molto più dura per le caratteristiche della specie nemica.

Chi vive in paese, oltre alla sistematicità dei trattamenti contro le zanzare, dovrà ricordarsi di non sprecare l’acqua. Casola come tanti paesi dell’appennino deve fare i conti con una situazione geologica e idrologica che non le consentono di utilizzare acqua senza dare delle priorità ai suoi utilizzi.

Mi spiego meglio: lavare l’automobile e irrigare i prati dei giardini sono utilizzi impropri e non più compatibili con i mutamenti climatici in corso.

 

Bisogna imparare ad abitare il limite e ricordarsi che la terra non la si può continuare a spremere impunemente.

 

Roberto Rinaldi Ceroni

Condividi questo articolo
FaceBook  Twitter