Toronto, anno 2017
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- Scritto da Riccardo Landi
- Categoria: Parole allo specchio
Con stanza all'angolo, dietro la luna. Lontano da quella sfera, su cui viviamo sotto falso nome.
Partirono in 20, sotto le ali protettive della Dea Transit, quella dell'Air. Attraversarono l'Atlantico evitando burrasche, tempeste, creature mostruose... Superarono l'ostacolo della mancanza delle cuffiette, e dello schermo tv... Cioè, dello schermo tv... ibernandosi per grossa parte del viaggio. Sbarcarono dopo ore, su territorio Canadese, alcuni con molta fatica. Lo stato di ibernazione raggiunto durante il volo, per alcuni aveva raggiunto livelli quasi irreversibili. A terra, una gran foglia di acero, rossa, ospitale, egualitaria, empatica.
Base a Mississauga. Una città sobborgo. Strade dritte, lunghissime. Che attraversano un gruppo di grattacieli altissimi, con tantissime finestre. Parcheggi enormi, un mega centro commerciale con tanti centri commerciali. Un orizzonte aperto, senza colline attorno. Un cielo che sembra più grande, del nostro. Una gran spianata dove sei piccolo piccolo. Due grattacieli simbolo, uno vicino all'altro, fatti a specchio, che riflettono la luce fuori. Sono chiamati le gambe di Marylin... pensando alla Monroe, con molta fantasia. Un giardino giapponese che pare buttato lì. Con scoiattoli liberi, pesci bianchi e arancioni, e tartarughe marine. Un gong, qualche simbolo giapponese. Chissà, forse un maldestro tentativo di salvare la fantasia, distruggendo certezze fatte di cemento armato.
E Toronto, che pare una città in grado di far scomparire quello che ci definisce. La visuale più bella, è quella che si vede dal lago. Da quella barchetta che s'allontana dalla riva, pare proprio disegnata; grigio acceso, il suo colore. Un insieme di grattacieli e palazzi moderni, freddi, distaccati. Pazzesca, l'arte di alcuni piccoli luoghi, capaci di creare un'intimità impensabile. Una birretta, un hamburger, uno sgabello, uno sguardo che s'incrocia... e quel qualcosa di misterioso che ci permette di conoscere, nei posti più impensabili, anche un po' di noi stessi.
Attenti al lupo?
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- Scritto da Aquila Solitaria
- Categoria: Cronaca
Casola e Montegallo, aggiorniamoci
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- Scritto da Riccardo Landi
- Categoria: Attualita
Incontriamo il nostro amico Pier, che sappiamo aver trascorso qualche giorno in una località del centro Italia, colpita dal terremoto. La località, è Montegallo.
-Ciao Pier, come stai?
Bene grazie.
-Tra i vari e numerosi comuni colpiti da questo terribile evento, come mai sei finito a Montegallo?
Perché l'ANCI Emilia Romagna, ha avuto la Regione Marche di competenza.
-Fino ad oggi, in quali periodi sei andato?
Dal 01 ottobre 2016 all'08 ottobre 2016 ed è stata la prima volta. In quella settimana ho cercato insieme ai miei colleghi di dare un contributo alla grave situazione dopo il terremoto. Successivamente, ci siamo tornati dal 06 agosto 2017 al 08 agosto 2017, in “ferie”, per andare a trovare le persone che abbiamo conosciuto e per vedere com'era Montegallo dopo circa 10 mesi.
-Com'era Montegallo? E com'è, ora?
A Montegallo, purtroppo, la situazione è più o meno immutata. Siamo in contatto con il Sindaco che ci tiene costantemente aggiornati. Ci comunica che, presumibilmente, entro poco tempo le prime casette, con il contributo della Regione Marche, dovrebbero essere consegnate (ci invia anche delle foto tramite WhatsApp per tenerci informati).
-A seguito del terremoto, come sei riuscito ad andare là?
Tramite l'Unione della Romagna Faentina e l'ANCI Emilia Romagna, che a suo tempo fecero richiesta di personale, sia amministrativo che tecnico.
-Cos'è che ti ha spinto ad accettare l'incarico?
Il terremoto è uno di quegli eventi che non si “controllano” e tutte le volte che purtroppo succedono mi colpiscono molto. Appena è stata chiesta la disponibilità ho aderito immediatamente.
-Le tue prime impressioni, al primo impatto?
UN ECCIDIO DIMENTICATO
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- Scritto da Giovanni Rinaldi Ceroni
- Categoria: Attualita
Al termine del ponte del Cantone, a sinistra sulla vecchia strada che portava alla chiesa di Pagnano, c’è un pilastrino in condizioni ormai precarie, eretto da Pio Monti a ricordo di tre casolani (uno era suo figlio), che qui furono fucilati dai tedeschi alla fine dell’ultima guerra.
I fatti avvennero nei primi giorni di novembre del 1944 e mentre un gruppo di militari tedeschi si era insediato al Cantone tre di loro furono mandati al Cantoncello.
Bruna Monti che all’epoca aveva 17 anni, fatta oggetto di attenzioni da parte dei tre soldati, fu mandata al Molinaccio dove già si erano rifugiati oltre al fratello Augusto anche altri contadini del Cantone.
Purtroppo verso sera furono avvertiti dell’arrivo di alcuni tedeschi che risalivano il Senio.
Spaventati, perché Augusto e Alfredo del Cantone avrebbero dovuto trovarsi al fronte, fu deciso di nasconderli in cantina cercando di coprire la porta con una coperta.
Quando arrivarono i tedeschi sembrava non avessero cattive intenzioni ma si accorsero della porta coperta. Entrando scoprirono Alfredo e Augusto che scambiati per partigiani, vennero subito arrestati.
Nel percorso lungo il fiume incrociarono casualmente anche Gabrì della Breta che non riuscendo ad essere convincente sul motivo della sua presenza lì, venne a sua volta arrestato.
Portati tutti tre sulla vecchia strada di Pagnano furono fucilati sul bordo della riva e spinti nel burrone sottostante.
Eddie Vedder - Firenze 2017
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- Scritto da Riccardo Landi
- Categoria: Attualita
Facciamo, se capisci cosa intendo, facciamo in modo che chi un giorno saprà quello che è successo abbia difficoltà a trattenere la meraviglia.
Perchè quello che è successo è qualcosa di bello, raro e irripetibile. Lunga vita a San Giovanni!!!
Siamo arrivati a Firenze, metà mattino, in treno, a Santa Maria Novella. Ci siamo sparsi per i vari hotel, stanze, camere. Per tutto l'arco della giornata, abbiamo accantonato l'esigenza emotiva del concerto. E ci siamo lasciati prendere per mano da Firenze. Una città che, tra le altre caratteristiche, ha quella dote di raccontare il particolare rendendolo universale. Un angolo, un palazzo, una chiesa, un ponte, una via, una piazza, una parete, un bicchiere di vino, un sandalo.
Poi arrivano gli altri, qualche quadretto di pizza, due chiacchiere. Il caldo dell'asfalto, scivola sotto ai nostri piedi. Stiamo raggiungendo la zona del concerto. Firenze Rocks, località ippodromo del Visarno. Un ambiente aperto, circondato da un bel parco. C'è la pista dei cavalli. Attraversata quella, sbarchiamo in un prato di polvere ed erba secca. Un tappeto arido e senza alberi. Dalla parte di una curva, un palco, come tanti. L'attesa, è uno riscoprire la specificità del linguaggio del festival. Che non è fatta solo di musica, stand panini e birra, postazioni radio, merchandising. Lì, c'è tutta una serie di persone, di rumori, di silenzi, di colori, unite da un qualcosa che sconfina al di fuori di ogni logica terrestre. Nel mio caso, un impaccio totale nei rapporti sociali e una frana nelle chiacchiere inutili. Che non c'entra niente, ma accomuna. Ora che è diventato complicato andare anche ad un concerto, ci siamo permessi il lusso di essere davanti. Settore appena sotto il palco. Quello in cui ti danno un braccialetto che ti permette di entrare ed uscire, ogni volta che si vuole. Sì, non è male. Noi, eravamo di fronte, tra palco e zona mixer. Svaniti tutti gli altri, nella giostra della scaletta, rimane da aspettare la fine delle celebrazioni del Santo patrono della città. Le luci, si fanno più soffuse. Ora il palco è più intimo, si comincia a percepire nel cuore, l'essenziale. Pare di essere in una chiesa di Firenze, dentro la quale entra il cielo. Il più delle volte, si sceglie volontariamente di non incontrarsi. Questa sera siamo qua, insieme. E' il primo concerto in Italia, da solista, di Eddie Vedder. Una voce che diffusamente sprigiona energia, capace di eclissare ogni altra necessità. Un musicista, un membro dei Pearl Jam. Gruppo che ha segnato molti, di quelli che oggi girano attorno ai 40. Un uomo, che trascina sulle spalle sentimenti grandi e che cerca di avere opinioni oneste. Ogni tanto c'incrociamo, questa canzone è della colonna sonora di Into the Wild. Questa è dei Pearl Jam. Questa è di Neil Young. Quest'altra è di Cat Stevens. Questa, è quella che faceva da colonna sonora del film Once. Questa, è Imagine di J. Lennon. Spero che tu stia bene. Canzone dopo canzone, ti ritrovi a tirar via uno strato in più di te stesso, arrivando sempre più nel profondo. Scoprendoti fragile, disperato, solo. E nello stesso tempo sicuro, ancorato in quell'abbraccio, sotto ad una stella cadente. Come se quella scia, ti prendesse per mano e ti accompagnasse fuori dall'oscurità. Alla salute!
Qualcuno è ancora lì. Sul palco, c'è un grande tappeto. Sopra, amplificatori e casse. Quattro chitarre, due classiche, delicate e due elettriche, più aggressive. C'è l'asta con il microfono. C'è uno sgabello con un paio di bottigliette di acqua. C'è una sedia, vuota. Dicono che la musica può farti accedere a spazi sacri, forse questo, è uno di quelli.
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