Felici per la scelta di Massimo come vicesindaco di Faenza, abbiamo deciso di fargli qualche domanda che non fosse solo di stretta attualità politica, ma potesse anche cercare di scavare nel suo essere casolano al di là di residenze, abitazioni, ecc. Alle congratulazioni e agli in bocca al lupo che già abbiamo fatto a Massimo e che rinnoviamo, aggiungiamo ora il ringraziamento per la disponibilità dimostrata.
Amministrare la cosa pubblica, soprattutto in un ente locale, comporta responsabilità non indifferenti, perché si deve fare il bene dei propri concittadini, delle persone con cui convivi. La qualità della loro vita dipende in buona parte da tue decisioni. Se uno ci si ferma a pensare un po’ spaventa… In questo momento, a pochi giorni dalla nomina, prevale in te la soddisfazione per il risultato raggiunto o la preoccupazione per le responsabilità e le inevitabili difficoltà?
Se devo essere sincero le due cose convivono. Ho accettato questo incarico con la consapevolezza delle mie potenzialità e dei miei limiti, ma sono altrettanto convinto che metterò passione e impegno, elementi fondamentali per superare i limiti oggettivi dell’inesperienza. Abbiamo fatto una scelta forte, rinnovare i protagonisti della realtà amministrativa per dare risposte più avanzate alle sfide del nostro tempo, cercando di unire ricambio generazionale e innovazione nei contenuti. Sul piano generazionale abbiamo dato un segnale chiaro, ora dobbiamo vincere la sfida dei contenuti. Aggiornare i linguaggi e i punti di vista, portare la nostra generazione nel cuore della progettazione della Faenza del domani: questa è la portata della sfida, ovviamente sapendo che l’unico obiettivo da seguire è il bene pubblico.
Non vivi più a Casola da qualche anno, ma continui a frequentarla con costanza. Come vedi il tuo rapporto col paese nel futuro? Intendo da un punto di vista strettamente personale, è la curiosità di uno che come te non risiede più in paese, ma lo frequenta, vi mantiene affetti, interessi, lo ama ma lo guarda dall’esterno. Tempo fa con Lo Spekkietto facemmo una serie di interviste a casolani emigrati, scoprendo che il rapporto col paese natìo assumeva mille diverse sfaccettature.
Vivo a Faenza da dieci anni, mentre negli anni dell’Università sono stato a Bologna. E’ da un po’ che non frequento la vita quotidiana casolana, il vivere giorno dopo giorno dentro la comunità, costruendovi il mio orizzonte di vita. In questi anni però, ho mantenuto un rapporto forte con Casola, e sono convinto che riuscirò a mantenerlo. A Casola vivono tante persone alle quali sono legato, a Casola posso vivere la campagna, che per me ha un valore forte, intimo e reale, a Casola vivono anche tanti ricordi straordinari, che porto con me in ogni situazione. Non ci sono dubbi, Casola ha una forte personalità, un’anima direi, che ti si appiccica e con la quale ti devi confrontare.
Rimaniamo alla casolanità: calcio, scout, musica, scuola, il tempo libero e il divertimento… Sono alcune delle cose che hai condiviso con molti di noi della redazione e di cui non ci si stanca mai di raccontare nelle occasioni di incontro. Cristiano nei suoi libri le ha raccontate in forma quasi mitologica e questo aiuta a mantenerne il ricordo. Cosa di questo ti ha aiutato di più e in che modo? Cosa ricordi con più piacere?
Direi che Cristiano ha trasformato in epica un racconto profondo e indelebile che abbiamo scritto tutti insieme. Avere vissuto l’infanzia e l’adolescenza casolana per me è stato un privilegio. Le relazioni umane, le esperienze, le scoperte, hanno sempre avuto una dimensione personale e una comune, e le due cose sono cresciute insieme. Da qui un’idea di comunità potente, che ti rimane dentro. Ricordo tutte le cose che citi come momenti fondamentali e più passa il tempo, più mi sembrano capitoli di un unico racconto appassionante, al quale Cristiano ha dato la magia del grande narratore, ma penso che avesse un bel materiale grezzo sul quale lavorare. “
La vita di un ragazzino in un piccolo paese è molto diversa che in una città o cittadina come quella che ora contribuirai ad amministrare. Se è possibile dirlo, meglio a Casola perché tutto più a dimensione umana, o meglio in un luogo che offre a un giovane mille possibilità e scelte in più?
Intanto Faenza non è una metropoli, ma una città di provincia di meno di 60 mila abitanti, dove esiste un forte senso e spirito di comunità. Certo ci sono differenze. Il mio bimbo sta vivendo qui la sua infanzia e mi pare siano presenti sia le offerte più “urbane”, sia quegli elementi umani ai quale pensi e che abbiamo vissuto direttamente. Anche Faenza, come Casola mi sembra un luogo ideale dove crescere, dove scoprire le cose, dove avere relazioni dirette e vere con le altre persone, dove avere stimoli e opportunità, ma anche quella libertà che una grande città non ti concede e che noi abbiamo vissuto nella nostra gioventù.
Troviamo scritto in un blog che si occupa di cose faentine: “Stupisce anche la scelta di nominare Massimo Isola vicesindaco, poiché non è di Faenza ma di Casola Valsenio.” Sembra di sentire quando scendevamo a giocare a Faenza e ci davano dei montanari… Diffidenza snob o semplice convinzione che l’amministrazione locale possa essere meglio gestita da chi sempre ha vissuto quel luogo?
Penso che la critica sia fondamentale per creare progetti vivaci e innovativa, la critica fa bene, quindi non mi preoccupa il fatto di essere criticato, anzi. Nel merito della casolanità direi due cose. La prima è formale: vivo a Faenza dal 2000, sono residente qui dal 2004 (ho anche pagato l’ICI!), qui ho fatto il Liceo Scientifico e dal 1996 frequento la redazione faentina di Settesere (prima come collaboratore, poi come membro del CDA della cooperativa editrice in rappresentanza di Faenza), qui ho comprato casa, qui mio figlio va a scuola, qui ho costruito il mio orizzonte famigliare ecc... quindi la critica in se non sta in piedi. La seconda è una riflessione sostanziale: se affrontiamo la grande sfida della cittadinanza partendo da questo impianto mentale non andiamo da nessuna parte. Dobbiamo costruire una società mobile, molto più mobile di quella attuale. Il problema è come tenere il ritmo delle società multietniche mondiali, dove gli scambi tra territori e persone sono velocissimi, e l’Italia pare sempre più lenta, a livello mentale prima che economico. Le società rigide, dove l’identità e la territorialità erano elementi monolitici sono andate in pensione nel Novecento (e forse prima). Il localismo è un sentimento forte e forse consolatorio, ma non ci aiuta ad interpretare il nostro mondo. Allo stesso tempo dobbiamo creare una nuova idea di cittadinanza per affrontare il rapporto con le migrazioni che caratterizzano il nostro tempo e caratterizzeranno il futuro. Sembrano riflessioni sui massimi sistemi, ma questo è il quadro dove si colloca una riflessione seria sulla cittadinanza. Poi la polemica politica è importante, ma sarebbe bene che stesse un attimo più avanti rispetto al dibattito e non uno indietro.
Ormai si fa fatica a inserirci nella categoria sociale “giovani”, ma la tua passione per la politica è nata in età giovanile. Cosa ti ha affascinato del mondo della politica, considerando ciò che sempre si dice del disinteresse giovanile per questi temi? E come si è intrecciata, e si intreccerà in futuro, con la passione per il giornalismo, che è comunque stata a lungo la tua professione, pur applicata spesso proprio al campo politico?
E’ davvero strano, se ci colleghiamo al discorso di prima vediamo come il nostro senso del tempo sia squilibrato rispetto alle nuove realtà dinamiche del mondo e non solo dell’occidente. Io ho 35, e in politica “faccio” il giovane. E’ la dimostrazione che siamo un paese lento, che fatica ad intrecciare le generazioni. I giovani dovrebbero avere 20/25 anni.. ma non è solo un problema della politica (che in provincia di Ravenna stiamo, nel nostro piccolo, affrontando), è così tutto il sistema che non riesce a valorizzare le competenze innovative, le nuove generazioni, i nuovi linguaggi.
Io a 19 anni, d’un tratto, ho deciso di fare il giornalista, e così dal 1994 ho collaborato con diverse testate. Poi è arrivata una crescente passione per la politica. Nel 2000 ho incontrato Andrea Manzella, senatore, costituzionalista e opinionista di Repubblica, ed è iniziata una nuova storia. Da allora ho intrecciato esperienze politiche, uffici stampa, pubbliche relazioni ed editoriali. Della politica mi hanno sempre affascinato i pensieri lunghi, le idee per cercare di cambiare lo stato delle cose, legate ad una idea di progresso. Ora dovrò pensare con forza alle questioni amministrative, una sfida che mi affascina. Il giornalismo e il dibattito editoriale rimarranno fondamentali, vedremo come frequentarli. Dopo la politica vorrei creare una casa editrice.
Un po’ di politica. Alla notizia della tua nomina, parlando con gli amici, la considerazione che è venuta spontanea era che questa poteva essere un’occasione anche per Casola, avere un casolano là dove vengono prese decisioni importanti che coinvolgono il paese, troppo spesso tagliato fuori causa la sua perifericità, fa pensare che si possa essere meglio tutelati. Il tema fra l’altro è di grande attualità, visto che uno degli argomenti più dibattuti è quello dell’allargamento dell’Unione dei Comuni, in cui il paese rischia di fare la fine del più debole dei vasi di coccio in mezzo a vasi di ferro, il più solido e impenetrabile dei quali sarebbe proprio il Comune di Faenza. Qual è la tua idea su questi temi?
Io credo nell’Unione dei Comuni. Mi pare la risposta adatta alle sfide del nostro tempo. Non credo siano in gioco le identità, ma dobbiamo capire come governare questi territori in questo preciso contesto. Dal punto di vista turistico come urbanistico, sanitario come economico, se non si costruisce una rete stretta, tutte le realtà avranno maggiori problemi. La metafora dei vasi mi pare superata. Dobbiamo ripensare il rapporto con il territorio, come dicevo prima, ed unire le eccellenze, perché da sole rischiano di rimanere schiacciate dai tagli agli Enti Locali e dai cambiamenti della società (che ci chiedono di aggiornare continuamente i nostri strumenti), peggiorando l’alta qualità della vita che fino ad ora ha animato queste terre.
Intervista a cura di Michele Righini