“Nella regione di Bologna, in Italia, s'incontranno piccole strisce inglobate nella dura roccia, però presentano comunque le stesse caratteristiche della pietra speculare. In Spagna si estrae da gran profondità per mezzo di pozzi e anche si trova in strati prossimi alla superfice della terra, incorporata nella roccia, dalla quale si estrae, strappandola o tagliandola...”

Plinio H.N. XXXVI, 161

Tra la metà del '500 ed il '700, diversi studiosi bolognesi: Aldrovandi, Ambrosini e Marsili, riprenderanno il passo di Plinio in numerose opere, distinguendo le diverse tipologie del gesso ed arrivando ad identificare nei colli di San Raffaele, l'attuale S. Ruffillo vicino a Bologna, uno dei probabili siti, cosi nel 1648 Ambrosini, basandosi sull'opera di Aldrovandi:
“ In primo luogo osserviamo selenite diafana di colore bianco estratta dal monte di S. Raffaele in territortio bolognese, nella quale si riconosceva una forrma ad arco celeste e facilmente si scindeva in lamine”
Se fino a questo punto potrebbe trattarsi solo di riferimento erudito all'opera antica, quello che stupisce è che sembra esserci una diretta continuità d'uso, almeno a livello locale del Lapis Specularis come sostituto del vetro, se lo stesso autore afferma:
“In Italia e in particolare a Bologna, ove si scava grande quantità di questa pietra è utilizzata durante l'inverno nei laboratori dei commercianti, infatti producono aperture in fogli, e lamine di questa selenite vi inseriscono, e così si difendono dall'ingiuria del freddo e distinguono anche la gente che passa”
Marsili in una nota sui gessi bolognesi del 1698, ci lascia una immagine proprio di questa vena e delle modalità estrattive con una didascalia che recita:
“...addimostra ill monte colla profonda spaccatura verticale e colle varie specie dei gessi”
e ancora:
“la seconda specie di gesso, che sta perpendicolre al centro è detta scagliola, che verosimilmente è la pietra speculare di Plinio tanto celebrata che a suoi tempi nasceva nel territorio bolognese”
Con il tempo e gli autori i termini per identificare le molte forme in cui si presenta il minerale si moltiplicano. Classificato e descritto in base all'uso come, gesso, selenite, scagliola, lapis specularis ecc. non stupisce che la pietra descritta da Plinio venga alla fine confusa con la generica 'selenite' da costruzione. Quella impiegata nella costruzione della mura di bologna o dei basamenti delle torri. Il caso della 'scagliola' per esempio è emblematico di questa confusione, indicando sia la tecnica di lavorazione artistica, che il gesso in polvere prodotto proprio macinando cristalli puri. Per estensione alcuni autori chiamano scagliola quello che Plinio avrebbe chiamato lapis specularis. Se chimicamente si tratta sempre di gesso, Plinio era stato chiaro nel distinguere quelle sottili strisce inglobate, in tutto simili alla pietra estratta in Spagna e la loro modalità d'uso, ma quello che sorprende è che anche gli autori moderni ne erano perfettamente consapevoli, il che testimonia un uso a livello locale nell'area bolognese almeno nel XVII° secolo. Alcuni sostengono che anche nel complesso dell'abbazia di Santo Stefano siano state usate per alcune finestre, lastre ricavate da grandi cristalli. Appaiono a questo punto sotto una diversa luce anche le testimonianze locali relative al nostro territorio, e all'uso locale di questa pietra, come sostituto del vetro, in alcuni casi fino alla seconda metà del '900. La faccenda quindi si complica, perchè se la grotta della Lucerna attesta una frequentazione e sfruttamento legato al periodo imperiale, nulla sappiamo per ora della datazione dei numerosi altri luoghi dove si evidenziano operazioni di estrazione e dell'arco di tempo in cui furono attivi. Come nel caso di un ampio sito che abbiamo appena scoperto ed identificato sempre su Monte Mauro. Qui l'attività estrattiva appare concentrata proprio in relazione alle molte vene di Lapis Specularis che emergono in superficie. Chi ha creato questo sito, sembra che abbia lavorato principalmente a cielo aperto, creando una serie di piccoli scassi e buche in corrispondenza delle vene, e solo in due casi ha creato delle cavità artificiali. Difficile dire per ora se si tratti di un saggio di scavo del periodo romano, o di una attività estrattiva successiva. Sicuramente si tratta di testimonianze antiche, l'area appare circoscritta e fortemente lavorata, tanto da prensentare sentieri scavati e parte di un muro perimetrale. In tutti i casi queste tracce si stanno moltiplicando contribuendo a gettare nuova luce sulla frequentazione della Vena. Molto probabilmente anche la rivisitazione di molte piccole grotte finora considerate 'naturali' riserverà interessanti sorprese.


Gruppo Speleologico Saknussem


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