Che sia una figura di Santo antica è indubitabile. La sua prima biografia fu scritta dall’amico S.Atanasio, patriarca di Alessandria d’Egitto, attorno al 325 D.C., cioè l’anno del grande Concilio di Nicea che definì Maria Santissima, Madre di Dio.
A quel tempo, Antonio l’egiziano era già vecchio e da tempo conduceva una vita eremitica nel fondo del deserto.
Imperversavano le ultime persecuzioni contro i cristiani, ma accanto ai martiri fiorivano ora numerosi asceti che nella contemplazione e nella penitenza, vivevano una nuova fedeltà a Cristo. Antonio non fu il primo eremita, altri prima di lui avevano preso la via della solitudine. Antonio però fu il primo organizzatore di comunità monastiche per cui è ritenuto, a buon diritto, il padre dei Cenobiti, cioè dei monaci, e di qui il suo nome “abate”.
La sua scelta di solitudine dal mondo risale, secondo S. Atanasio, verso i 18 anni di età. Sentì, durante una Santa Messa, le parole di Gesù nel Vangelo: “Se vuoi essere perfetto, va, vendi quello che hai e dallo ai poveri, poi vieni e seguimi…”. Lui seguì il Signore vivendo nel deserto, lavorando per il proprio sostentamento e pregando incessantemente.
La solitudine non gli impedì di interessarsi alla Chiesa. Nel momento dei martiri e dei primi errori sulla Fede (ariani), non esitò a ritornare a Alessandria per sostenere il coraggio dei fedeli.Presto la fama della su santità gli attira molti discepoli. Fioriscono sul suo conto racconti di miracoli operati e di crudeli lotte contro il demonio che gli si presentava sotto svariate forme d’animali. Lotta contro la superbia (leone), contro l’ira (tigre) contro la lussuria (serpente). A lui i cristiani di Alessandria si rivolgevano specie per ottenere la guarigione di malati. Molte malattia infatti erano ritenute opera diretta del demonio. Con questa fama Sant’Antonio, anche dopo diversi secoli di storia fu sempre ritenuto il patrono dei malati. La devozione del santo si diffuse presto prima attraverso la Spagna la Francia e poi all’Europa intera. Moltissimi ospedali e ricoveri per poveri e pellegrini portano ancora oggi, come quello di Casola, il titolo di ospedale di Sant’Antonio. Per l’assistenza dei malati sorse addirittura un ordine di monaci ospedalieri detti “antoniani”. Questi si prodigarono in particolare in occasione di un’epidemia che si sviluppò in Francia e in tutta l’Europa verso il 1200. Era una vera peste e molti ne morivano.Si manifestava con larghe chiazze rossastre in tutto il corpo che si riempivano di piccole pustole acquose e davano la sensazione intollerabile di calore.
Agli inizi fu micidiale, poi in seguito, acquisiti gli anticorpi, risultò una dolorosa e lunga affezione della pelle e dei nervi che perdura anche oggi. È l’herpes zoster, più comunemente chiamato “fuoco di S.Antonio”. Anche oggi è duro da guarire, nonostante i nostri medicinali, allora nulla poteva alleviare il male eccetto un trattamento con grasso di maiale. Sembra tuttavia che il male fosse un contagio derivato dai suini. Probabilmente i maiali andavano soggetti all’herpes come poi gli uomini. Qualcosa di simile all’attuale peste aviaria dei polli. Ci si raccomandava allora alla protezione di S.Antonio che fornì perciò il nome volgare di quell’herpes dolorosa come scottatura. Al momento dell’evoluzione benigna del fuoco di S.Antonio, si usò rappresentare il Santo vestito da eremita, con tanto di campanella che serviva ad allontanare i curiosi dalle celle o grotte degli eremiti, e accovacciato ai suoi piedi, una porcellino che con il suo atteggiamento sottomesso, voleva ricordare la grazia o la vittoria, ottenuta per l’intercessione del Santo, sul male pauroso.
Con l’evolversi della storia e con il miglioramento dell’igiene il male diminuì enormemente e non fu più endemico. La statua o le stampe di S. Antonio non mancavano mai nelle chiese o nelle case di cristiani. Fu così che vedendo sempre il santo in compagnia del porcellino non si pensò più ai malati, ma qualcuno aggiunse alla figura qualche pecora, un bue, un cavallo e dei polli. Fu così che da patrono dei malati S. Antonio fu declassato a patrono degli animali. La figura del Santo diventò ancora più popolare nel mondo agricolo, diventò ipso facto il protettore dei contadini. Nelle nostre campagne non c’è chiesa priva della statua di S. Antonio col porcellino, un binomio immancabile tanto da far entrare nel linguaggio sboccato del nostro ambiente rurale il detto: “S. Antonio si innamorò di un porcello”. Rimane solo da dire qualcosa sul giorno della festa e vi invito di fare un salto di qualche secolo addietro il giorno 17 gennaio. Quel giorno, neve o non neve, tutti i contadini portavano sul piazzale della chiesa o un paio di buoi o qualche pecora o un maiale che era destinato presto alla macellazione. Ma il centro d’interesse era rappresentato dal maiale di S. Antonio, un maiale vero che da parecchi mesi lo si vedeva scorazzare per le strade. Era il maiale di tutti: si fermava davanti a tutte le porte e tutti gli facevano trovare avanzi di cibo: minestra, pane ecc…
Entrava anche nelle case come un cagnolino, portava sul dorso, come segno di riconoscimento, una croce dipinta in rosso. Il giorno della festa o qualche giorno dopo il 17 veniva macellato, ridotto in braciole o salsiccia per la gioia dei poveri del paese. Un pezzo di lardo o una vescica di grasso venivano conservate come rimedio contro il “fuoco”. Naturalmente un nuovo maialino veniva scelto per essere il successore di quello disfatto l’anno prima Questa scelta era affidata ad un paio di bravi priori, uno della campagna e uno del paese che provvedevano anche all’infornata del pane che nel giorno della festa sarebbe stato benedetto e distribuito a tutti.
Don Giancarlo Menetti