È passato tempo a sufficienza per poter riflettere ad alta voce sul concerto di Ligabue del 10 settembre, quello che sarebbe dovuto entrare nella storia e che invece forse si è rivelato solo un immenso e ridicolo flop. Ligabue ha voluto esagerare, ha voluto strafare e come Apollo in Roky IV dove appunto i pugile italoamericano consiglia all’amico di non strafare, di non rischiare contro il colosso Ivan Drago, va inevitabilmente al tappeto e ci lascia addirittura la pelle, in questo caso Ligabue non ci ha lasciato la pelle (il suo disco è subito andato al n°1) ma ci è andato vicino, un baraccone così grande forse lo riesce a sostenere solo Vasco Rossi il cui pubblico addomesticato e lobotomizzato alza le mani, canta e piange, grida, si abbraccia e stringe gli accendini sempre e comunque (ma questo è un altro argomento).
Fatto sta che Ligabue ha toppato, credo che dopo tutto, anche dopo milioni di dischi venduti, anche dopo turnè trionfali, Ligabue sia rimasto un uomo da bottiglione di Lambrusco, ciambella e storie di vita vissuta e se devia da quel percorso, da quel modo di essere cade direttamente nella buca.
E quindi l’audio che non arriva nel modo giusto ti fa imbestialire come un pazzo e ti fa mandarlo a ca**re anche se non vuoi, il fuori sincrono audio-immagine ti fa sembrare un ospite di Carramba che sorpresa in diretta dall’Argentina, il volume basso ti fa alzare al cielo il dito più esplicito della tua mano e la tua bocca spara fuori tutto quello che ti viene in mente. La folla è inferocita, non si tiene più e quando arriva il nostro (noi siamo appostati di fronte al palco vintage) non può che ricoprirlo con una bordata di fischi.
Il concerto dopo viaggia bene, ma l’amaro in bocca rimane, quella delusione che in fondo ti rovina quell’atmosfera che pensavi potesse essere perfetta anche perchè un’occasione così forse non si ripeterà più, Barza con cappello all’indietro pronto per cantare tutti e due i primi album, colonna sonora della nostra adolescenza.
La scaletta era da urlo, i pezzi c’erano tutti (o quasi), ma quella mezz’ora abbondante di amarezza non poteva essere cancellata così, con un colpo di spugna. Quindi un consiglio allo Zio, meno putta**te da rockstar e più rock’n’roll al lambrusco.
(e rimettiti il corpetto!!!!!)
Riccardo Albonetti
E quindi l’audio che non arriva nel modo giusto ti fa imbestialire come un pazzo e ti fa mandarlo a ca**re anche se non vuoi, il fuori sincrono audio-immagine ti fa sembrare un ospite di Carramba che sorpresa in diretta dall’Argentina, il volume basso ti fa alzare al cielo il dito più esplicito della tua mano e la tua bocca spara fuori tutto quello che ti viene in mente. La folla è inferocita, non si tiene più e quando arriva il nostro (noi siamo appostati di fronte al palco vintage) non può che ricoprirlo con una bordata di fischi.
Il concerto dopo viaggia bene, ma l’amaro in bocca rimane, quella delusione che in fondo ti rovina quell’atmosfera che pensavi potesse essere perfetta anche perchè un’occasione così forse non si ripeterà più, Barza con cappello all’indietro pronto per cantare tutti e due i primi album, colonna sonora della nostra adolescenza.
La scaletta era da urlo, i pezzi c’erano tutti (o quasi), ma quella mezz’ora abbondante di amarezza non poteva essere cancellata così, con un colpo di spugna. Quindi un consiglio allo Zio, meno putta**te da rockstar e più rock’n’roll al lambrusco.
(e rimettiti il corpetto!!!!!)
Riccardo Albonetti