- Ma come si fa a diventare “priore”?
Era la fine del gennaio 2005 e stavo parlando con una delle organizzatrici della festa di S. Antonio dello scorso anno. Eravamo per strada e non so come fosse nata questa conversazione. Ricordo solo che per q
Ma il tempo vola, si sa, e in un battibaleno, finite le feste natalizie, siamo stati convocati dall’”Arci” il quale, da dietro la sua imponente scrivania, ci ha messo al corrente di tutto quello di cui ci si deve occupare per organizzare la fatidica festa di S. Antonio.
Si tratta di una miriade di “operazioni” che, all’inizio, fanno girare un po’ la testa perché non bisogna dimenticarsi assolutamente nulla, e non è facile perché son davvero tante le cose da fare! Non ci credete?
Prima cosa: fare il giro di tutti i negozi, ristoranti, fabbriche, ecc. per portare la “lieta novella”, cioè dare l’avviso della festa e invitarli a preparare il loro dono per la lotteria, fare la spesa per preparare quelle due o tre “quintalate” di sfrappole e di bruschette, nonché il necessario per fare qualche ettolitro di vin brulè e di cioccolata in tazza, ancora: avvisare e coordinare il lavoro di tutte quelle sante donne che collaborarono per tutte le sante feste, e poi comprare il vino nero (buono!) e i palloncini, avvisare la banda per l’intrattenimento musicale, fare i cartelloni, organizzare la logistica per approntare la cucina nelle sale della canonica e…dulcis in fundo: ritirare i premi della lotteria!
Una bella mole di lavoro da sbrigare, non trovate? Tutte queste notizie ebbero subito l’effetto di far partire qualche accidente rivolto alla sottoscritta..”Azidenti a c’la volta…” Ma, per fortuna, il gruppo rimase compatto, nonostante l’impatto iniziale e poi…ci rimboccammo le maniche.
L’Arci, con la sua consueta imperturbabilità, ci consegnò il registro (Oddio:un registro anche qui? E mi Signor, anzi: E mi Sant’Antoni!).
Si tratta di una sorta di “mansionario” dove sono dettagliatamente scritte tutte le istruzioni da seguire per preparare una festa come Sant’Antonio comanda, nonché le ricette, l’elenco dei negozi e i preziosi consigli scritti di pugno dagli ex-priori.
Non so cosa ne pensi il Beato Antonio di tutto questo “parapiglia”, anche perché credo fosse un tipo solitario, visto che si era dato all’eremitaggio per coltivare in pace la sua fede. Eppure credo che in fondo non gli dispiaccia sapere che, in suo onore, ci sia ogni anno un po’ di fermento per le vie del paese e nelle limitrofe parrocchie. Comunque sia, ora lui è lassù, Beato e tranquillo, mentre quaggiù c’era un bel via-vai di faccende, un su e giù di pentole, tegami e “marmittoni” da caserma, sporte e cassette, scatole e sacchi e via dicendo…
Devo dire, a onor del vero, che tutte le varie attività sono state magistralmente dirette dall’Arci che, dall’alto della sua quarantennale esperienza, ci ha condotto in dirittura finale tenendoci per mano e dandoci la fiducia necessaria a far nascere quel po’ di autostima che ti fa pensare “Forse me la caverò”.
Periodicamente ci convocava nel suo studio per fare il punto della situazione e quasi sempre aggiungeva alla lista altre mansioni da sbrigare, con quel mezzo sorriso che sembrava dire : - Credevi fosse finita eh?
Oppure: _ Ve l’avevo poi già detto l’altra volta!
Comunque sia, nel giro di una decina di giorni siamo riusciti a organizzare tutto ed è stato, devo dire, davvero divertente. Questo aspetto ha veramente alleviato le fatiche e qualche “intoppo” ci ha dato l’occasione per farci due risate. La sera in cui dovevamo preparare le sfrappole, ad esempio, è stata memorabile. Avevamo comprato tutti gli ingredienti come “da nota” del registro, tutte le donne erano state convocate alle otto in punto dalla Misericordia. Nella mia macchina c’era di tutto: cassette di olio da friggere, sacchi di farina, uova e panetti di burro grandi come mattoni. Non so perché ma, all’ultimo momento, abbiamo deciso di cambiare ricetta e …Le donne armate di grembiali e con braccia che avevano impastato anche l’acciaio erano in difficoltà: l’impasto non si amalgamava e qualcuna dava segni di impazienza. Le uova erano esaurite, sicché alle 10 di sera siamo andati a bussare a casa dei parenti con il grembiale a mò di saccoccia. Anche l’olio era insufficiente ma per fortuna mia cugina ne teneva 20 litri di scorta nel bagagliaio della sua auto(conoscete qualcun altro che gira con l’olio di semi di girasole nel baule della macchina?)
Per non tirarla troppo per le lunghe, nel giro di due ore abbiamo sfornato 8 kg di sfrappole da leccarsi i baffi e siamo tornati a casa con quell’odore di patata fritta che ci ha aleggiato intorno per giorni, anche dopo la doccia.
Pensavo che la ricerca dei premi della lotteria comportasse qualche imbarazzo o disturbo per gli esercenti, invece sono stati veramente squisiti ed è stato piacevole constatare che tutti partecipano volentieri.
Lavorare direttamente per la festa mi ha fatto sentire quello che si avverte nel profondo quando si costruisce qualcosa. Perché anche tenere viva una tradizione così antica è costruire qualcosa. Non è tanto la festa in sé, è quello che c’è dietro: le nostre radici, la nostra storia.
Ho pensato a tutti quei volontari che da anni mettono a disposizione il loro tempo libero per offrirci occasioni di festa, e ho capito. Ho capito come nasce quella sorta di sano orgoglio che ti fa dire dentro “io c’ero”, e si fa promotore di quel fantastico cameratismo che si instaura fra quelli che lavorano con un obiettivo comune: è in quel magico momento che ciascuno fa emergere il meglio di sé.
E poi…il contatto con gli altri!...Con la gente!
Siamo sempre così imbrigliati da orari e impegni che dimentichiamo spesso il piacere di stare insieme piacevolmente.
Queste diventano allora occasioni preziose per stare in compagnia di persone che vedi per strada ma neanche conosci e hai modo così di “riscoprirle” in questi momenti di festa. Vi sembrerà banale, ma anche il distribuire il pane benedetto e le ciambelle fuori dalla porta della chiesa, mi ha fatto assaporare quel gusto antico e sempre nuovo che dà il condividere momenti belli insieme. Un sorriso, una parola. Un vin brulè bollente bevuto mentre dal cielo cade una fine granita di ghiaccio, danno a gennaio un volto giocoso, che rallegra il grigio dell’inverno.
La cucina improvvisata nell’ex teatrino, con i pentoloni che esalavano vapori di cannella e di noce moscata, o il delizioso profumo della cioccolata di “Ciata” davano una sferzata di ottimismo che è un ottimo ingrediente per vivere meglio.
E mentre le donne sfornavano calde bruschette e la banda suonava, mentre venivano sorteggiati i premi e i cani tiravano il guinzaglio e il prete benediceva gli animali, tutto mi faceva stare bene perché mi sentivo parte di un tempo che non era solo mio, ma era di tutti e sentivo il cuore più leggero.
No, in questo articolo non ci sta dentro tutto… come potrei raccontarvi le spassose barzellette di Don Leo, durante il pranzo, la febbrile ricerca di un premio che chissà dov’è andato a finire e l’andare e venire dall’Arci, che mi ha riportato indietro di tanti anni, quando ero ancora ragazzina e orbitavo sempre fra i gradini della canonica e il suo studio. Lì è rimasto tutto immutato con gli stessi quadri, il vecchio divano anni ’70, le foto allineate sul mobile e il camino con gli identici candelabri e i ritratti dei santi posti ai lati…Ritrovare luoghi che ci hanno visti crescere, che abitavamo quando ci sentivamo addosso tutto il tempo possibile e non sapevamo chi eravamo, né cosa avremmo fatto nella vita, ma c’erano infiniti sentieri che avremmo potuto intraprendere…
Quando rivivi questi posti dopo che tanta vita è trascorsa e tanta acqua è passata sotto il ponte della Soglia è un po’ come ritrovare un pezzo di noi, quello più prezioso, più intrepido, quello più fresco perché ha il sapore della giovinezza.
Insomma… come concludere? Io, quasi, quasi, per il prossimo anno... il priore mica lo cerco…

Paola Pozzi


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