E’ fondamentale rispettare tutte le opinioni, soprattutto quando si affrontano certi argomenti così delicati. L’etica sociale è quella disciplina che si propone di individuare ed argomentare i valori che stanno alla base del comportamento umano, inteso come agire giusto, moralmente corretto. Non esiste una sola etica cui fare riferimento, ma soprattutto (qualora sia fondata, ragionata e costruttiva) una prospettiva che possa prevalere sulle altre.

A mio parere nella discussione che si è andata delineando, ognuno ha reso pubblica la propria posizione su di una base prettamente dottrinale e ideologica, dimenticando il soggetto della diatriba, che non è solamente il feto, ma anche la madre. Troppo spesso infatti la maternità viene descritta come un lieto evento, ricolmo di gioie e soddisfazioni, lasciandone invece occultato il lato buio e doloroso. Ci sono madri fragili, smarrite, sole, che non vengono sostenute in maniera adeguata durante la gravidanza. Hanno l’animo e il corpo attraversati da paure, sensi di colpa, vergogna. Occorre secondo me, qualche volta, avvicinarsi alle storie spesso drammatiche, di madri abbandonate alla sentenza inespugnabile di politicanti incoscienti.

A tal proposito vorrei rendervi partecipi di una toccante lettera pubblicata sull’inserto D di Repubblica uscito in edicola lo scorso sabato 24 marzo e reperibile all’indirizzo webhttps://www.dweb.repubblica.it/dweb/2007/03/24/rubriche/rubriche/042con54142.html

Una lettrice scrive: 'Ho scelto di non far nascere la mia bambina, la bimba che desideravo tanto, ma che era affetta da una cardiopatia grave. Ho sbagliato? Ditemelo voi sapientoni...'

di Concita De Gregorio

Una lettera. Il titolo è: 'Ecco perché ho scelto di non far nascere la mia bambina'. Leggetela anche voi. 'Non so perché la mamma di Firenze abbia scelto di non far nascere il suo bambino. Non lo so e non lo voglio sapere. Credo che nessuno possa saperlo, né tantomeno possa immaginare il dolore che prova. Sono situazioni talmente personali che qualsiasi commento è riduttivo se non offensivo. Ho letto tanto nei giorni scorsi. Illustri opinionisti si sono espressi come se davvero sapessero ciò di cui parlavano. 'Mi dispiace deluderli. Le frasi fatte, i paragoni assurdi, le morali facili, sono banali e vergognosi. Non so perché la mamma di Firenze abbia scelto di non far nascere il suo bambino. Non lo voglio sapere. So però perché ho scelto di non far nascere la mia bambina. Una bimba che desideravo, che era viva nella mia pancia. Una 'cardiopatia molto grave'. Incompatibile con la vita. Questa la diagnosi a 21 settimane di gestazione. 'Incompatibile con la vita', quattro parole che in un secondo ti impongono una decisione. E in fretta. C'è una possibilità su 100 che sopravviva. Dovrà però essere sottoposta a interventi chirurgici di dubbio, improbabile successo. Se interrompi la gravidanza entro 24 settimane, la bambina non soffrirà. I feti prima di quella data non hanno la percezione del dolore. Lo dicono i medici, perché non credergli, lo dicono con la medesima sicurezza e calma con cui hanno detto 'incompatibile con la vita'. 'E allora la decisione arriva dal cuore. Mio, della mia bambina, del suo babbo. Diventare un angiolino. Un neonato quando viene alla luce ha bisogno di due sole cose: il calore dell'abbraccio della sua mamma e il latte. Sono piccolini, poche decine di centimetri per pochi chili, proprio per essere avvolti meglio dall'odore, dal calore della mamma. Smettono di piangere, così. Sono assolutamente indifesi, non c'è più l'acqua, il silenzio ovattato, il cibo che arriva da solo. Se io e la mia bambina avessimo vissuto cent'anni fa, l'avrei messa al mondo, qualcuno l'avrebbe avvolta in un panno pulito e me l'avrebbe data. L'avrei tenuta tra le braccia, e lì, misteriosamente ma serenamente, sarebbe morta. 'Oggi no. Oggi la mia bambina sarebbe nata, i nostri sguardi non si sarebbero neppure incrociati, non avremmo nemmeno sentito l'odore l'una dell'altra. Lei non avrebbe mai sentito il calore della mia pelle o il sapore del mio latte. Braccia sconosciute l'avrebbero presa d'urgenza e portata in camera operatoria, dove altre mani fredde, con guanti di protezione, l'avrebbero sdraiata su un letto gelato. Altre mani l'avrebbero tenuta ferma noncuranti del suo pianto, altre ancora l'avrebbero intubata, attaccata a un respiratore, le avrebbero posizionato elettrodi per sentire il cuore, l'avrebbero anestetizzata e aperta col bisturi. Avrebbero cominciato a cercare di riparare quel cuore rotto ancor prima di nascere. Magari riuscendoci. Almeno per un po'. Qualche ora, qualche giorno, a essere sfortunati qualche mese. 40 centimetri di dolore. Perché si sa cosa comporta una ferita. Il dolore di un intervento chirurgico. Noi adulti lo sopportiamo perché sappiamo che domani passerà. Lei no, non avrebbe mai capito il perché di quel dolore. Non avrebbe mai saputo che la sua mamma lo stava facendo per lei. Non avrebbe mai capito il perché di tutto quel freddo e di quella solitudine, di quel male. Questo sarebbe successo, oggi, alla mia bambina. 'Magari ho sbagliato. Non lo saprò mai. Ho sbagliato? Ditemelo voi sapientoni. Voi che avreste fatto? Voi che parlate di aborto selettivo e paragonate quello terapeutico alla rupe di Sparta? Mi sono state prospettate due possibilità: andare avanti e vedere cosa sarebbe successo sperimentando un po' di chirurgia sulla sua pelle, o interrompere in fretta la gravidanza e salvarla dal dolore sacrificando me stessa. Ho scelto la seconda possibilità. Ho tutelato lei. E forse, in casi come questo, sarebbe meglio un po' di silenzio'.

Fabio Bittini

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