Cominciammo a stampare “Lo Specchio” nel ’67 con il ciclostile della parrocchia. Il supporto per la stampa era costituito da matrici di carta cerata su cui le macchine da scrivere meccaniche incidevano le lettere.
I disegni venivano effettuati con uno stiletto appuntito, erano necessariamente semplici e stilizzati ma non banali. Ricordo in particolare che l’Anna Mu’ (Musile Tanzi) con quello stiletto faceva miracoli. Quando mi capita di riguardare qualche vecchio numero di allora, provo un forte sentimento di tenerezza e nostalgia.
Solo qualche volta, dati i costi elevati per le nostre finanze, potevamo permetterci l’utilizzo di una speciale matrice di carta sensibile con cui era possibile riprodurre schematicamente in chiaro-scuro una foto od un disegno tratti da un qualche giornale.

Poi nel gennaio del ’72 con il numero 46 (anno VI ) la svolta.
La copertina apre il giornale con la silouette in verde di un ragazzo ed una ragazza seduti e teneramente appoggiati l’un l’altro con la nuca. Il ragazzo suona una chitarra.
E’ il passaggio al sistema di stampa offset, una tecnica che permette una stampa molto più nitida, l’uso del colore, la più facile riproduzione dei disegni e delle fotografie grazie all’impiego di matrici anche di carta, ma soprattutto di alluminio fotosensibili su cui, con un sistema di tipo fotografico, possono essere incisi testi ed immagini.
Avevamo infatti acquistato una piccola macchina da stampare offset usata, marca Rotaprint, di fabbricazione inglese.
Concepita per piccoli centri stampa privati o amatoriali, stampava solo in formato A4, come il ciclostile, ma rispetto a quest’ultimo le operazioni risultavano assai più velocizzate e si poteva ambire ad un risultato finale di qualità superiore.
La cosa che più mi lascia perplesso adesso, riguardando gli “Specchi” di quel periodo, è che di questo passaggio e di questa novità non se ne faccia cenno in nessuna parte del giornale, almeno per quanto abbia potuto cercare.
L’unico accenno indiretto lo si trova nello stesso numero 46 nella pagina del sommario, che di solito ospitava anche una frase celebre o una massima. Vi è scritto infatti “ L’abito non fa il monaco però…”.
Lo Specchio, così bravo a parlare degli altri, era molto restio e pudico, quando si trattava di parlare di se stesso.
La piccola Rotaprint ci diede la possibilità di perfezionarci e di impratichirci molto nella nuova tecnica di stampa tanto che, dopo alcuni anni, nel 1976, sentimmo la necessità di fare un ulteriore passo acquistando una macchina semiprofessionale della stessa marca ma di maggiori dimensioni, in grado di stampare il formato A3 (la pagina doppia).
Fu la volta della ormai leggendaria “Rotaprint R 90”, una stampatrice di 6 quintali di peso, con un sistema di rulli, di inchiostrazione e di regolazione abbastanza complesso e completo e con un meccanismo di mettifoglio a ventose aspiranti.
Anche qui tuttavia la documentazione storica registra una piccola defaillance perché, come al solito, di questo acquisto, ancorché assai impegnativo e gravoso per le nostre povere tasche, non se ne fa cenno scritto nel giornale e la fattura originale di acquisto chissà dove è andata a finire.
La testimonianza documentale è ancora una volta indiretta in quanto il n. 87 del dicembre 1976 (anno X) si apre con la copertina in cui è fotografata la redazione, trasferitasi nel frattempo dalla parrocchia ad un vicino locale di proprietà di Giuseppe Poggiali “Pinà”.
All’interno del locale della redazione, oltre ad alcuni redattori, fanno bella mostra di se le due Rotaprint, la piccola e la grande R 90.
Ho già accennato allo sforzo finanziario che fu necessario sostenere per quest’ultimo acquisto, operazione che fu possibile affrontare soltanto grazie alla generosità dell’Arciprete don Giancarlo Menetti ed al grande spirito di partecipazione e di coinvolgimento dei giovani ragazzi che animavano la redazione, che si tassarono pesantemente (molti erano studenti) ciascuno per alcune centinaia di migliaia di lire pur di riuscire nell’impresa.&nbsp,
Ma ciò che costituisce la leggenda della Rotaprint sono i tanti anni di lavoro impegnativo e costante, almeno per lunghi periodi, salvo qualche inevitabile parentesi di stanca, durante i quali decine di ragazzi di diverse generazioni gli si sono affaccendati attorno.
I lunghi pomeriggi, le lunghe notti passate in redazione, per fare uscire il giornale, i quintali di carta smazzati, le centinaia di matrici trattate e sviluppate, gli innumerevoli intoppi risolti, i mitici tipografi addetti alla stampa: Morena Visani, Teresa Montefiori, Sandra Landi, Giuliano Visani, ed infine Filippo Mancurti (Pera Taja Taja) fin dalla primissima infanzia, tanto per citarne solo qualcuno.
Questa macchina e questi ragazzi, assieme a tutti gli altri della redazione, hanno raccolto con amore e raccontata la storia di Casola degli ultimi decenni e per questo loro impegno e per il giornale che hanno fatto vivere sono diventati essi stessiuna parte non insignificante della storia del nostro paese.
Ma il tempo passa e le macchine pian piano si consumano, evolvono le tecniche ed i sistemi.
La R 90, che già avevamo acquistato usata, alla fine degli anni ’80 ebbe bisogno di una rigeneratina. Ancora una volta fu possibile affrontare la spesa non indifferente grazie all’impegno ed alla generosità dei ragazzi della redazione, a cui si unì, questa volta, il contributo di numerosi cittadini, fedeli lettori de “Lo Specchio”, coinvolti in una affollatissima cena di sostegno.
Nel frattempo la redazione del giornale si era spostata dal laboratorio di “Pinà” Poggiali ad un vasto locale al primo piano della parte nuova del convento delle suore Dorotee e qui vi rimase finchè quella parte del convento non fu interessata da una completa opera di ristrutturazione.
L’ultimo trasloco la Rotaprint R90 lo fece in direzione dello stabilimento della Ferromax, dove la redazione de Lo Specchio trasferì per alcuni anni il suo reparto stampa.
Ormai, grazie ai nuovi sistemi informatici, non vi era più necessità di una redazione fissa. Ogni ragazzo ormai aveva il suo computer e molto del lavoro ognuno poteva svolgerlo a casa propria, ma non la stampa.
Lo Specchio, nel frattempo, dopo una dormitina di un paio di anni, era diventato “Lo Spekkietto” ed alla generazione dei primi redattori era subentrata quella dei loro figli.
Non solo, una rivoluzione ben più sconvolgente si è attuata negli ultimi due anni, quando, grazie alle competenze maturate dai nuovi redattori ed in particolare da Checco (Francesco Rivola), Lo Spekkietto è entrato in rete e quando, quasi contemporaneamente,
la generazione dei nuovi rampanti redattori, Checco in testa, ha deciso di completare la svolta del giornale introducendo le foto a colori ed affidando la stampa all’esterno, ad una tipografia professionale che, grazie alle nuove tecniche di stampa digitale, è in grado di praticare prezzi accessibili.
E’ stato il colpo di grazia per la R 90 che, ormai pesantemente acciaccata, ha terminato così, onorevolmente la propria missione.
Si prospettava una melanconica fine presso un qualche rottamatore, ma grazie alle infinite risorse della rete un colpo di scena ha rimesso in gioco la nostra gloriosa e vecchia amica.
Messa all’asta su Internet, ha suscitato l’interesse di un lontano circolo culturale del Salento, nelle Puglie che, dopo alcune trattative, ha finito per portarsela a casa.
L’abbiamo caricata qualche giorno fa su di un camioncino diretto al sud salutandola con un piccolo comitato di addio.&nbsp,
Cara amica siamo contenti di sapere che ancora per alcuni anni un gruppo di giovani si avvicenderà attorno ai tuoi rulli. Buona fortuna e lunga vita.
 
Alessandro Righini
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