In alcuni interventi che ho letto in questi giorni, si fa discendere la posizione in difesa della Legge 40 sulla procreazione assistita dalla valutazione – presentata come oggettiva – di quale sia l’inizio della vita di un individuo. L’ovulo fecondato, l’embrione – si sostiene - è già vita, è persona. E’ esattamente ciò che sostiene la Legge 40, che a questo orientamento ispira il suo impianto normativo.

Sull’oggettività di queste convinzioni si può discutere ed è ben noto come le opinioni in materia siano ben lontane dall’essere giunte a conclusioni generalmente condivise, sia sul piano scientifico che filosofico e religioso.
In altre parole, penso che gli orientamenti in campo, tra loro diversi, perfino antitetici, siano innanzitutto l’espressione di differenti visioni etiche e morali.
Ma, se così è, può una legge dello Stato, di uno Stato laico, assumere come orientamento vincolante per tutti i cittadini le convinzioni e i principi etici e religiosi di una parte?
O non deve, piuttosto, affermare e tutelare il diritto di ogni individuo, di ogni cittadino di esprimere e vedere rispettate le proprie convinzioni morali, filosofiche e religiose, se e in quanto questo non sia limitativo della libertà altrui?
Ecco, io penso che la Legge 40 in alcune sue parti, quelle che nei referendum del 12 e 13 giugno si chiede di abrogare, non sia una legge laica ma una legge che contiene norme ricalcate sulle convinzioni morali o religiose di una parte.
Il dibattito, il confronto di oggi sulla legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita, non è dissimile - sul tema della laicità - da quanto avvenne nel 1974 sulla legge per il divorzio e nel 1981 sulla legge per l’interruzione volontaria della gravidanza (aborto).
Nel 1974 – voglio ricordarlo – gli italiani furono chiamati a esprimersi in un referendum per decidere se confermare o abrogare la legge Fortuna-Baslini che – approvata qualche anno prima da uno schieramento parlamentare trasversale alla maggioranza e all’opposizione di allora - aveva introdotto nel nostro ordinamento il divorzio. Con quella legge il matrimonio non era più indissolubile.
Gli italiani dissero no all’abrogazione di quella legge. E in gran parte dissero no anche quei cattolici che, contro l’indicazione della gerarchia ecclesiastica, fecero una scelta di laicità, decidendo che il rispetto di un proprio principio etico e religioso – l’indissolubilità del matrimonio - dovesse essere affidato non ai vincoli di una legge dello Stato ma alla propria coscienza.
A me pare che il 12 e 13 giugno sia in discussione, soprattutto, questo tema, ed è in nome della laicità dello Stato, che è un valore fondante della nostra Costituzione, che andrò a votare nei referendum e – con il massimo rispetto per le convinzioni diverse dalla mia – voterò serenamente e responsabilmente quattro SI’.
E, così come io voterò sì per cambiare la legge, penso che chi voglia mantenere la Legge 40 così com’è e difenderne i contenuti, debba non astenersi ma votare no.
Così fecero le forze – partiti, sindacati, associazioni e movimenti femminili - che nel 1974 si opposero al tentativo di abrogare la legge sul divorzio, e nel 1981 la legge sull’aborto. Quelle forze non dissero “Non votate!”, ma si impegnarono per un pronunciamento di merito, nel referendum.

Giorgio Sagrini
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