- “E adesso cosa facciamo?”-
Quante volte i ragazzi in età tardo-adolescenziale si saranno posti una simile domanda!?
Proprio dopo un interrogativo come questo, verso i 15-16 anni, io ed i miei amici, più o meno coetanei, iniziammo a guar
Quante volte i ragazzi in età tardo-adolescenziale si saranno posti una simile domanda!?
Proprio dopo un interrogativo come questo, verso i 15-16 anni, io ed i miei amici, più o meno coetanei, iniziammo a guar
Il bar, le carte, il biliardo, il juke box e le migliaia di andirivieni lungo via Roma e via Neri non ci riempivano più le giornate come fino a qualche anno prima, quando avevamo appena cominciato a ritrovarci in gruppo a parlare di ragazze, di baci, di amicizia, di feste, birre e sigarette.
Fu proprio così che decidemmo di non farci sopraffare e assuefare dalla noia, dall’apatia e dalla ripetitività che il paese, ogni tanto, rischia di trasmettere e decidemmo di … “Formiamo una band, un complesso musicale” – disse qualcuno – “Una band? E come facciamo se non sappiamo neanche suonare!” – rispose qualcun’altro con poca fiducia.
Ebbene sì da quella sera, persi fra stecche da biliardo, anziani che bestemmiavamo su una carta mal giocata e puzza di fumo (a quel tempo non era ancora in vigore la legge Sirchia) decidemmo, per la prima volta nella nostra vita, di creare qualcosa dal nulla e sfidare noi stessi.
Tutto ciò che seguì quella serata è una gran bella storia i cui dettagli lascerei narrare, molto volentieri, a Cristiano Cavina il quale, ritengo, abbia dimostrato ormai di avere, oltre una buona capacità di mestiere, anche un’innata dote nel rendere speciale una situazione apparentemente “normale”.
Quello che io ho intenzione di fare, a distanza di qualche anno, è solamente una piccola analisi di ciò che furono gli anni ’90 a Casola per noi giovani, adesso “ormai” trentenni.
A stimolare questa breve riflessione è stata una discussione, durante una riunione con gli Scouts, nella quale si stava cercando di sondare, appunto, l’umore dei nuovi giovani casolani, ciò che interessa loro e come impiegano il tempo libero.
Beh, a pensarci bene mi sono un po’ meravigliato di quante iniziative sorsero durante il decennio scorso dopo quella decisione presa con gli amici un po’ incoscientemente. Per quanto mi riguarda, quella sera rappresenta, in un certo senso, l’inizio di tutto.
Ricordo che in quel periodo si respirava, oltre all’entusiasmo che nasce naturalmente dalla spensieratezza della giovane età, una grande voglia di metterci in gioco: eravamo come vulcani di idee e questa condizione ci portava, ogni tanto, ad oltrepassare la nostra stessa fantasia. Ricordo, ad esempio, che una volta, per imitazione ai Beatles e agli U2 (nostri grandi idoli), pensammo di organizzare, all’insaputa di tutti i casolani, un rumorosissimo concerto rock sul tetto del vecchio convento delle Suore, il quale era dotato a suo tempo, di un gigantesco terrazzo che sovrastava il paese. Alla fine, e non ricordo bene né come né perché (ma posso immaginare), il progetto sfumò, ma non svanì certamente il nostro entusiasmo.
Durante quegli anni, quando Casola era chiamata la Seattle di Romagna per l’intenso fermento musicale che aleggiava, in paese si contavano 7-8 bands che suonavano regolarmente nei locali, nelle feste dell’Unità e nelle sagre di tutta la Romagna e soprattutto credevano molto in ciò che producevano (per approfondimenti in merito vedi articolo “A tribute to Kurt Cobain” di Michele R. www.lospekkietto.it).
Fu rifondata la scuola di musica, dove si insegnavano prevalentemente pop e rock e, a proposito, non si può certamente dimenticare l’impegno straordinario che Daniele Faziani dedicò nell’insegnare, a tutti quelli che gli capitavano sotto mano, come produrre un suono o un ritmo da tutto ciò che poteva assomigliare ad uno strumento musicale.
Di pari passo con la scuola di musica si formò, parallelamente alla già nata compagnia teatrale Chiarazula Marazula, l’omonima big band (guarda a caso diretta dal solito Faziani), poi si cominciò ad organizzare i concerti di musica al Cardello e le relative mostre d’arte nel giardino della villa di Oriani, concerti di beneficenza in piazza Sasdelli e valanghe di concerti rock in Piscina.
Insomma, ogni pretesto era buono per ascoltare musica, esporre foto e quadri o proiettare film e documentari.
A distanza di qualche anno posso, senza dubbio, affermare che, in un certo senso, sentivamo una forte esigenza di dovere e potere esprimere una nostra identità, in quanto giovani appartenenti ad una piccola comunità, avvertivamo la necessità di sentirci partecipi della vita sociale e, perché no, culturale del paese: non posso dimenticare che, proprio a metà degli anni novanta, si risvegliarono, da un torpore più o meno profondo, anche il giornale che state leggendo e, soprattutto, il gruppo Scout…ma questa è veramente tutta un’altra storia!
Vorrei infine ricordare come, anche nel puro e semplice divertimento del week-end, ci si adoperava per creare sempre qualcosa di non pre-confezionato, una sorta di ambiente verace, con una propria identità. Nella stalla di Raggio, sul prato di Sasso e nell’ex fienile della Bettola si sono svolte feste epiche, contro tutte le tendenze dell’epoca in cui la discoteca e la techno-music commerciale la facevano da padroni!
Ricordo, in particolare, quel piacere sincero che si provava nell’incontrarsi in una serata, al ritmo di quella musica che non era solamente uno squallido ed anonimo tam-tam martellante, la “nostra” era quella musica rock e pop che aveva fatto la storia e che continuava, sotto altre evoluzioni, a segnare quegli anni.
La passione che ognuno impiegava per organizzare una festa, si palpava nell’aria, ed i risultati erano conseguentemente dei successi, tanto che, per diversi anni, il flusso del sabato sera si era praticamente invertito lungo la Statale 306: file di auto provenienti da tutta la bassa Romagna intasavano, alle volte, le impervie strade che conducevano ai casolari.
Ho sempre avuto l’impressione che le “ore piccole” di quei sabati sera, che facevano un po’ impensierire i nostri genitori, fossero impregnate di quella contagiosa semplicità, tipica dei ragazzi di campagna e che ci differenziava, in un certo senso, dai comportamenti più standardizzati e massificati della città.
Comunque, a parte i nostalgici ricordi, tengo a sottolineare come da quelle che erano semplici feste, nacque, come conseguenza quasi naturale, l’associazione Hill Party Staff, che dimostrò, ancora una volta, l’enorme voglia di riunirsi insieme per fare “qualcosa”.
Ho la sensazione che, per tanti ragazzi etichettati come“GENERAZIONE X”, che per definizione vengono descritti apatici, privi di iniziativa e mediamente sfiduciati nel futuro, la giovinezza non sia poi stata così tanto piatta ed identificabile con una semplice incognita!
La nostra non è certo stata una giovinezza clamorosa come quella dei nostri predecessori che hanno vissuto il ’68 e gli anni ’70, (scorci di storia che ho sempre guardato con molto interesse e curiosità), è stata tutta un’altra giovinezza, ma non per questo credo che non abbia rappresentato un percorso permeato di una grande voglia di mettersi in gioco e crescere, seppure in contesti e ambiti diversi rispetto a quelli di trentacinque-quarant’anni fa, quando tutto era “politica”.
Durante gli anni della Contestazione si scendeva in piazza anche per difendere i diritti della mortadella, noi, al contrario, ci sentivamo un po’ traditi dalla politica, o forse è meglio dire, dai politici. D’altra parte cosa vogliamo! Abbiamo iniziato a votare verso il ’91-’92, quando ormai molte delle menti che avevano caratterizzato la vita pubblica dei tempi d’oro erano con un piede in una cella, se non con entrambi. Poi, per “fortuna” (e questo è ancora da verificare), il tempo è passato…
Se devo essere sincero, per quanto io sia tutt’oggi legato al gruppo scout di Casola, conosco a fatica le reali dinamiche giovanili nel paese. Spero sempre, però, che l’entusiasmo dei sedici anni possa suscitare, nei ragazzi, quella fatidica domanda che aiuta a vivere un po’ meglio in una piccola comunità come Casola: “E adesso cosa facciamo?”
Attenzione! Non voglio passare per il nostalgico di turno che, ostentando una facile saggezza, vuole dispensare consigli a tutti su ciò che è giusto e cosa non lo è, nella vita, però, se devo proprio trovare una morale a tutta questa storia, mi piace sottolineare, come mi ha confermato un compagno di “avventure” in una bellissima lettera inviatami poco prima del matrimonio e della mia dipartita da Casola, che tutti quei pomeriggi passati a smontare e rimontare strumentazioni, palchi e mostre, non rappresentano semplici ricordi ma, una grande FORZA: quella che ci permise di sentirci veramente “vivi” e felici.
Tiziano Righini
Fu proprio così che decidemmo di non farci sopraffare e assuefare dalla noia, dall’apatia e dalla ripetitività che il paese, ogni tanto, rischia di trasmettere e decidemmo di … “Formiamo una band, un complesso musicale” – disse qualcuno – “Una band? E come facciamo se non sappiamo neanche suonare!” – rispose qualcun’altro con poca fiducia.
Ebbene sì da quella sera, persi fra stecche da biliardo, anziani che bestemmiavamo su una carta mal giocata e puzza di fumo (a quel tempo non era ancora in vigore la legge Sirchia) decidemmo, per la prima volta nella nostra vita, di creare qualcosa dal nulla e sfidare noi stessi.
Tutto ciò che seguì quella serata è una gran bella storia i cui dettagli lascerei narrare, molto volentieri, a Cristiano Cavina il quale, ritengo, abbia dimostrato ormai di avere, oltre una buona capacità di mestiere, anche un’innata dote nel rendere speciale una situazione apparentemente “normale”.
Quello che io ho intenzione di fare, a distanza di qualche anno, è solamente una piccola analisi di ciò che furono gli anni ’90 a Casola per noi giovani, adesso “ormai” trentenni.
A stimolare questa breve riflessione è stata una discussione, durante una riunione con gli Scouts, nella quale si stava cercando di sondare, appunto, l’umore dei nuovi giovani casolani, ciò che interessa loro e come impiegano il tempo libero.
Beh, a pensarci bene mi sono un po’ meravigliato di quante iniziative sorsero durante il decennio scorso dopo quella decisione presa con gli amici un po’ incoscientemente. Per quanto mi riguarda, quella sera rappresenta, in un certo senso, l’inizio di tutto.
Ricordo che in quel periodo si respirava, oltre all’entusiasmo che nasce naturalmente dalla spensieratezza della giovane età, una grande voglia di metterci in gioco: eravamo come vulcani di idee e questa condizione ci portava, ogni tanto, ad oltrepassare la nostra stessa fantasia. Ricordo, ad esempio, che una volta, per imitazione ai Beatles e agli U2 (nostri grandi idoli), pensammo di organizzare, all’insaputa di tutti i casolani, un rumorosissimo concerto rock sul tetto del vecchio convento delle Suore, il quale era dotato a suo tempo, di un gigantesco terrazzo che sovrastava il paese. Alla fine, e non ricordo bene né come né perché (ma posso immaginare), il progetto sfumò, ma non svanì certamente il nostro entusiasmo.
Durante quegli anni, quando Casola era chiamata la Seattle di Romagna per l’intenso fermento musicale che aleggiava, in paese si contavano 7-8 bands che suonavano regolarmente nei locali, nelle feste dell’Unità e nelle sagre di tutta la Romagna e soprattutto credevano molto in ciò che producevano (per approfondimenti in merito vedi articolo “A tribute to Kurt Cobain” di Michele R. www.lospekkietto.it).
Fu rifondata la scuola di musica, dove si insegnavano prevalentemente pop e rock e, a proposito, non si può certamente dimenticare l’impegno straordinario che Daniele Faziani dedicò nell’insegnare, a tutti quelli che gli capitavano sotto mano, come produrre un suono o un ritmo da tutto ciò che poteva assomigliare ad uno strumento musicale.
Di pari passo con la scuola di musica si formò, parallelamente alla già nata compagnia teatrale Chiarazula Marazula, l’omonima big band (guarda a caso diretta dal solito Faziani), poi si cominciò ad organizzare i concerti di musica al Cardello e le relative mostre d’arte nel giardino della villa di Oriani, concerti di beneficenza in piazza Sasdelli e valanghe di concerti rock in Piscina.
Insomma, ogni pretesto era buono per ascoltare musica, esporre foto e quadri o proiettare film e documentari.
A distanza di qualche anno posso, senza dubbio, affermare che, in un certo senso, sentivamo una forte esigenza di dovere e potere esprimere una nostra identità, in quanto giovani appartenenti ad una piccola comunità, avvertivamo la necessità di sentirci partecipi della vita sociale e, perché no, culturale del paese: non posso dimenticare che, proprio a metà degli anni novanta, si risvegliarono, da un torpore più o meno profondo, anche il giornale che state leggendo e, soprattutto, il gruppo Scout…ma questa è veramente tutta un’altra storia!
Vorrei infine ricordare come, anche nel puro e semplice divertimento del week-end, ci si adoperava per creare sempre qualcosa di non pre-confezionato, una sorta di ambiente verace, con una propria identità. Nella stalla di Raggio, sul prato di Sasso e nell’ex fienile della Bettola si sono svolte feste epiche, contro tutte le tendenze dell’epoca in cui la discoteca e la techno-music commerciale la facevano da padroni!
Ricordo, in particolare, quel piacere sincero che si provava nell’incontrarsi in una serata, al ritmo di quella musica che non era solamente uno squallido ed anonimo tam-tam martellante, la “nostra” era quella musica rock e pop che aveva fatto la storia e che continuava, sotto altre evoluzioni, a segnare quegli anni.
La passione che ognuno impiegava per organizzare una festa, si palpava nell’aria, ed i risultati erano conseguentemente dei successi, tanto che, per diversi anni, il flusso del sabato sera si era praticamente invertito lungo la Statale 306: file di auto provenienti da tutta la bassa Romagna intasavano, alle volte, le impervie strade che conducevano ai casolari.
Ho sempre avuto l’impressione che le “ore piccole” di quei sabati sera, che facevano un po’ impensierire i nostri genitori, fossero impregnate di quella contagiosa semplicità, tipica dei ragazzi di campagna e che ci differenziava, in un certo senso, dai comportamenti più standardizzati e massificati della città.
Comunque, a parte i nostalgici ricordi, tengo a sottolineare come da quelle che erano semplici feste, nacque, come conseguenza quasi naturale, l’associazione Hill Party Staff, che dimostrò, ancora una volta, l’enorme voglia di riunirsi insieme per fare “qualcosa”.
Ho la sensazione che, per tanti ragazzi etichettati come“GENERAZIONE X”, che per definizione vengono descritti apatici, privi di iniziativa e mediamente sfiduciati nel futuro, la giovinezza non sia poi stata così tanto piatta ed identificabile con una semplice incognita!
La nostra non è certo stata una giovinezza clamorosa come quella dei nostri predecessori che hanno vissuto il ’68 e gli anni ’70, (scorci di storia che ho sempre guardato con molto interesse e curiosità), è stata tutta un’altra giovinezza, ma non per questo credo che non abbia rappresentato un percorso permeato di una grande voglia di mettersi in gioco e crescere, seppure in contesti e ambiti diversi rispetto a quelli di trentacinque-quarant’anni fa, quando tutto era “politica”.
Durante gli anni della Contestazione si scendeva in piazza anche per difendere i diritti della mortadella, noi, al contrario, ci sentivamo un po’ traditi dalla politica, o forse è meglio dire, dai politici. D’altra parte cosa vogliamo! Abbiamo iniziato a votare verso il ’91-’92, quando ormai molte delle menti che avevano caratterizzato la vita pubblica dei tempi d’oro erano con un piede in una cella, se non con entrambi. Poi, per “fortuna” (e questo è ancora da verificare), il tempo è passato…
Se devo essere sincero, per quanto io sia tutt’oggi legato al gruppo scout di Casola, conosco a fatica le reali dinamiche giovanili nel paese. Spero sempre, però, che l’entusiasmo dei sedici anni possa suscitare, nei ragazzi, quella fatidica domanda che aiuta a vivere un po’ meglio in una piccola comunità come Casola: “E adesso cosa facciamo?”
Attenzione! Non voglio passare per il nostalgico di turno che, ostentando una facile saggezza, vuole dispensare consigli a tutti su ciò che è giusto e cosa non lo è, nella vita, però, se devo proprio trovare una morale a tutta questa storia, mi piace sottolineare, come mi ha confermato un compagno di “avventure” in una bellissima lettera inviatami poco prima del matrimonio e della mia dipartita da Casola, che tutti quei pomeriggi passati a smontare e rimontare strumentazioni, palchi e mostre, non rappresentano semplici ricordi ma, una grande FORZA: quella che ci permise di sentirci veramente “vivi” e felici.
Tiziano Righini