Il titolo garciamarquezco di questo articolo non è mio ma l’ho scippato a un omonimo libro scritto da Mattia Carzaniga e Giuseppe Civati, una descrizione-riflessione dell’uso di Facebook da parte di privati per scopi privati. Prima avvertenza: il libro potete anche perdervelo (quest’articolo è più corto perciò fate lo sforzo di arrivare in fondo) e impiegare meglio il vostro tempo perchè se già usate Facebook non vi dice niente di nuovo, se non lo usate vi fa passare ogni voglia (il libro ha anche una prefazione di Walter Veltroni, che evidentemente ha bisogno di ammazzare il tempo in qualche modo…). Ma basta con le cattiverie. Perché ho letto questo libro, anzi un pezzo di questo libro visto il discorso precedente di impiegare meglio il proprio tempo? Per capire cosa mi sto perdendo. Io non “sono su Facebook”, ma tutti ne parlano e tutti lo usano, quindi mi chiedo: ne vale la pena? E per questo c’è bisogno di leggere un libro? Provalo. Giusta osservazione, ma dai racconti mi sono fatto l’idea che una volta entratoci la gente inizia a scriverti, cercarti, chiederti di diventare amici, e allora un po’ di cautela che non è che ‘sto bailamme mi alletti molto.
Specifico subito che mi interessa chiacchierare (molto a ruota libera) dell’uso “privato” di Facebook, cioè quello che ne fanno i privati cittadini per i loro sentimenti privati (l’amore del titolo li racchiude tutti, facciamo così). Non l’uso che ne fa un’azienda, un’istituzione, un’associazione, un ente, cioè organismi che hanno la necessità di mostrarsi ed essere conosciuti dal maggior numero di persone possibile. Riguardo a ciò posso intuirne l’utilità, non fosse altro che la diffusione planetaria e l’immediatezza della piattaforma. E non voglio certo fare la figura del passatista snob che 15 anni fa diceva che lui non avrebbe mai usato il cellulare e adesso si sente nudo senza (questa figura l’ho già fatta, confesso) o di chi 10 anni fa diceva che Internet era una puttanata (questa invece me la sono risparmiata, giuro). Ma io, uomo privato, quale vantaggio (nel senso più ampio, fosse anche il solo divertimento, il relax) posso trarre dall’essere su Facebook e dall’usarlo con una certa frequenza?
La prima riflessione che mi viene da fare mettendo insieme le testimonianze scritte e orali è che un uso piuttosto costante del mezzo comporti un certo impiego di tempo. Cioè, dando per scontato che nessuno va su Facebook durante l’orario di lavoro (è scontato vero?) o che per stare su Facebook trascura altre incombenze più private ma necessarie, devo destinare a Facebook una parte del mio tempo libero. Quello veramente libero, dedicato alla partita di calcetto, a uscire con gli amici, a chiacchierare con la persona che ami, a guardare un film, a leggere un libro. Ognuno fa l’uso che gli pare del proprio tempo libero, non sto a sindacare. Personalmente le poche cose che ho elencato a titolo di esempi sono tutte più allettanti di quello che ho sentito raccontare su Facebook, quindi ho un primo ostacolo sulla mia via verso il nuovo modo virtuale. Però, se prima della fine dell’articolo pronuncerò la fatidica frase: “E’ meglio leggersi un buon libro” siete autorizzati a mandarmi a quel paese con le peggiori ingiurie.
La prima cosa che tutti dicono è che su Facebook hanno rincontrato gente che non sentivano da anni, tutti i compagni di classe, gli amici del mare, quelli del campo scuola dell’oratorio, ecc. Considerazione che vale per chi ha una certa età e quindi ha persone con cui non parla da una vita, ma non spiega la diffusione di Facebook fra i quindicenni, che bontà loro vivono nel presente. Considerazione quindi di per sé nostalgica, che nasconde inconsciamente l’insoddisfazione per le persone che invece hai continuato a frequentare. Esagerato? Forse, diciamo che contiene in sé l’idea da sliding doors di quel che poteva essere e non è stato, quindi ancor più che la nostalgia dei bei tempi passati (il cui ricordo anzi rischia di essere devastato dalla scoperta di come le diverse vite si sono evolute…) ci vedo proprio il rimpianto per come sono andate le cose. Ma poi, se non sento Augusto Palazzoli da 15 anni, dal giorno dopo la fine degli esami di maturità, ci sarà un motivo, no? Forse è perché durante i 5 anni delle superiori ci siamo parlati 10 volte scarse! Non è che prima di Facebook vivessimo in un deserto comunicativo da piccione viaggiatore, se mi interessava sapere cosa combinava quel simpaticone di Augusto almeno una ricerca sull’elenco del telefono la facevo, magari addirittura in Google se proprio proprio avevo voglia di sbattermi. Insomma questa cosa di ritrovare i vecchi amici (Augusto Palazzoli un amico? Vabbè, usiamo il termine alla maniera di Facebook…) mi sembra molto un bisogno non reale ma indotto proprio dai geni (detto senza la minima ombra di ironia anzi con la più alta ammirazione) che si sono inventati i social network.
Poi però arriva l’amico (questa volta amico reale) con cui hai più confidenza che ti svela l’arcano. Perché lui non ti dice solo che su Facebook ha ritrovato la Paola Fessi, vostra comune compagna di classe secchiona, occhialuta, con l’apparecchio, grassa e che puzzava un po’. Aggiunge anche che si sono dati appuntamento e hanno passato una bella serata conclusasi con una notte di sesso sfrenato. “Perché la Paola nel frattempo è dimagrita, lenti a contatto, si trucca da pantera (e finalmente si lava) ed è una mezza manager, quindi coglie l’attimo e non è che si faccia tante storie per una botta e via”. Hai capito l’amico, al Liceo ripassava gli appunti della Fessi, adesso ha dato una ripassatina direttamente a lei. Altro che nostalgia e rimpianto, anche il trentenne facebookiano vive nel presente, e recupera il passato solo per assicurarsi un oggi più gaudente! La cosa mi solleva ma non è questo che può spingermi a entrare in Facebook, l’insoddisfazione per la vita attuale rimane alla base di tutto il discorso dei vecchi amici, rimane tutto un po’ triste mi sa.
Un po’ di tempo fa parlavo con un diciottenne che mi raccontava l’evolversi della sua tormentata storia con una ragazza, in particolare un dialogo che avevano avuto 2 giorni prima. Lei ha detto questo, io ho detto quello, lei ha controbattuto che… Tutto normale. Però il giovanotto si esprimeva così: “Lei è entrata e ha detto che (bla bla bla) e poi è uscita. Allora sono uscito anch’io. Poi però sono rientrato per vedere se lei c’era. Dopo 2 minuti è rientrata anche lei ma ha detto che era rientrata solo per parlare con una sua amica e non voleva parlare con me. Poi però abbiamo parlato con lei che minacciava di andarsene ogni 2 minuti”. Insomma tutto un andare e venire, entrare e uscire, e io mi immaginavo porte sbattute, chiavi girate nella toppa, e quanti eravate in questa stanza, ma scusa caro il mio diciottenne, dove eravate a fare tutta questa scenetta, a casa tua, a casa sua, dell’amica, al circolo, dove eravate? La faccia del diciottenne diventa quella di chi osserva un esemplare raro ormai scomparso, una stufa a legna (prima del revival inaugurato dalla caldaia a cippato), e la sua risposta ha sancito la mia definitiva uscita dal mondo dei giovani: “Eravamo sulla chat di Facebook”. Per lui la chat ha la stessa valenza di un luogo fisico, e vabbè, l’uso virtuale di termini fisici come “incontrarsi”, “stare su Facebook”, “entrare in chat” ormai lo capisco, ma devi darmi delle indicazioni preliminari. Quello che è sconvolgente è che il diciottenne non aveva minimamente pensato di specificare che tutto il dialogo era avvenuto in chat, per lui era scontato, naturale che di cose così private si parlasse sulla chat. Anzi, visto che non si era preoccupato di specificare la cosa, in realtà dava per scontato che le cose più intime si potessero dire SOLO su chat.
E finché 2 ne parlano sulla chat (che può rimanere dialogo a 2 appunto) possiamo anche passarla, è più asettica di una telefonata ma più economica. La cosa però che ho scoperto negli ultimi tempi è che le storie d’amore vanno in diretta sui wall (si chiamano così vero, insomma la pagina del proprio profilo) degli interessati, quindi più o meno leggibili a tutti e, vera grande novità, commentabili da tutti (perlomeno da tutti quelli che possono essere minimamente interessati, amici parenti, compaesani, semplici conoscenti, visto che da quel che capisco che l’amicizia su Facebook non si nega quasi a nessuno). Ma che bello, in effetti, tutti possono seguire il nascere di un nuovo amore, la nascita del sentimento, dal “Dai perché non usciamo insieme una sera” al “Ieri sera sono stato molto bene con te” al “Oggi è il giorno più bello della mia vita perché ho incontrato te” eccetera eccetera. Almeno si legge, ascolta, osserva (non so che verbo usare di preciso) una storia positiva e Dio solo sa quanto ce ne sia bisogno di questi tempi. Anche se c’è dietro un pizzico di narcisismo ed esibizionismo a mio parere, quindi neanche scovare il nascere di storie d’amore altrui è un aspetto che mi spinge a entrare in Facebook, a me poi piace il pettegolezzo che di sua natura deve essere un segreto (o almeno chi lo pratica deve autoconvincersi che sia un segreto), un qualcosa che conosciamo in pochi, se l’amore, materia di pettegolezzo per eccellenza, lo si spiattella alla mercè di tutti allora il pettegolezzo è morto (e il pettegolezzo, ricordatelo cari casolani che non vivete in una metropoli in cui il pettegolezzo è agonizzante da un pezzo, dicono i sociologi che è una importante forma di controllo sociale, coi vantaggi e gli svantaggi che questo comporta). La cosa che però mi ha sconvolto è che anche la fine delle storie d’amore diventa di dominio pubblico, quasi prima ancora che la storia finisca. Le frasi che uno dei 2 lascia sulla propria pagina, i contatti che uno stabilisce con nuove amicizie, il racconto di una serata trascorsa separatamente dai membri della coppia, diventano gli indizi della crisi, l’annuncio della rottura, l’inizio della fine. E’ sempre stato così, solo che adesso lo sanno tutti. Prima ancora che lo sappiano i 2 interessati, che neanche ci avevano pensato, poi però di fronte al commento lasciato da uno qualunque sul loro wall - magari uno mezzo sconosciuto nella vita reale ma amico confidente in Facebook - prendono coscienza del fatto che hanno bisogno di stare soli, che se tu chatti sempre con quella ci sarà un motivo, e i tuoi amici cosa vogliono che commentano sempre le tue foto in bikini, e perché nel tuo profilo non compare più che sei fidanzato, e come si permette quella di dire che se ti senti insoddisfatto forse è colpa del nostro rapporto! E si permette sì di dirlo, cara la mia coppia facebookiana, siete voi che gli avete raccontato tutti i vostri fatti, i cuoricini dell’inizio e le saette della fine, pretendete pure che gli altri se ne stiano buoni? Cari miei, siete rimasti all’era della TV, che Beautiful lo guardavi chiedendoti passivamente cosa sarebbe successo la puntata dopo, siamo nell’era di Facebook e uno le soap-operas vuole non solo commentarle, ma anche crearle, guidarle, indirizzarle.
Dopo 2 ore di riflessioni non ho ancora trovato un buon motivo per entrare in Facebook, ma se ho scordato qualcosa che ne valga davvero la pena segnalatemela e se mi convince sono pronto a fami il mio bel profilo.
Ma siete sicuri che, oggi che è domenica, non sia meglio leggersi un buon lib… azz, l’ho quasi detto!
Michele Righini