Le cose più importanti sono le più difficili da dire.
Così, ognuno di noi le dirà dentro di se e sono certo che non resteranno inascoltate.
Così volevo dire alcune cose meno importanti.
Volevo ringraziare l’Arci per aver aggiustato il tavolo da ping pong, con quelle stecche di legno che a seconda delle stagioni si allargavano e si stringevano, facendo vincere chi riusciva meglio a piazzare le palline tra un’assicella e l’altra.
Volevo ringraziarlo per averci fatto costruire delle vere porte da calcetto in ferro, quando vide che cercavamo di fabbricarle noi con dei pali di legno storti e una rete da fagioli comprata da Piazza, i buchi che stavamo scavando nel campetto delle Mise erano larghi come trivellazioni per la ricerca del petrolio.

Volevo ringraziarlo per l’emozione impagabile che ho provato vedendo la faccia del Cicciotto quando gli disse, con la faccia seria ma scherzando, che doveva imbragarsi e calarsi giù dal campanile per sistemare meglio la croce di lampadine per la processione del Cristo Morto.
Volevo ringraziarlo per quel suo gesto famigliare di passarsi le dita tra i capelli, il pollice e l’indice, tutti sanno che la volta che lo usò di più fu quando a Bomba cadde il cestino pieno di offerte durante la messa di Natale, e nell’imbarazzante silenzio generale, l’unica cosa che si sentiva era la risata soffocata di Dudu, dietro all’altare.
Volevo ringraziarlo per averci lasciato usare la stanza per le feste, e la vecchia carrozzina di Cecco per scorazzare in lungo e in largo per Casola.
Volevo ringraziarlo per averci assolto dopo ogni confessione, anche se sapeva benissimo che avremo commesso di nuovo gli stessi pasticci.
Volevo ringraziare il nostro Arci per questo, per tutte le volte che contavamo i secondi delle ‘curva che non finisce mai’ mentre percorrevamo con il vecchio Wolksvagen bianco la strada verso Piancaldoli.
Volevo ringraziarlo per tutta la magia che ha saputo regalarci con le sue infinite storie, per la versione contro il professore de ‘il piave mormorava calmo e placido al passaggio’, per averci insegnato giocare a scacchi, per aver fatto di noi un rumoroso plotone di fanteria corazzata al servizio della parrocchia.
Volevo ringraziarlo per aver contribuito in maniera determinante a fare della nostra vita, fin dall’inizio, una splendida avventura.
Come suo discepolo scacchista, provo grande piacere nel ricordare il suo sorriso quando gli dissi che avevo giocato una partita contro Boris Spasky, campione del mondo negli anni ’70, perdendo per scacco matto solo alla ventesima mossa.
Così, sperando di meritare un giorno di finire come lui in paradiso, questo ci tengo a dirgli: Arci, apro con il cavallo, e quando ci rincontreremo, finiremo anche questa partita.
E così, vorrei pregare ora con le parole che lui stesso ci ha insegnato, solo permettendomi di cambiare un po’ il finale.
Era un uomo che ha dato tutto, al servizio della nostra fede.
Un uomo che ha faticato, anche solo per correrci dietro quando giocavamo alle scivolate in chiesa, dopo che Nedina passava la cera.
L’eterno riposo donagli Signore, e che nessuna luce, per un po’, disturbi il suo meritato riposo.


Cristiano Cavina
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