Cogliendo lo spunto di Michele comparso nell’ultimo numero dello Spekkietto, e collegandomi all’articolo di Andrea, aggiungo qualche considerazione personale sul tema dell’immigrazione, che mai come oggi sembra essere divenuta la piaga sociale del nuovo millennio. Perché non solo di flussi migratori e difficili percorsi di integrazione, stiamo assistendo, ma ad una nuova guerra civile che pone tutti contro tutti. Si osserva ogni giorno un’esaltazione forzata delle identità, come se all’improvviso la società fosse diventata un mosaico impazzito, dove il diverso merita punizioni esemplari.
Si passa dagli incendi dei barboni alla negazione di ristorazione a chi offre prodotti diversi. Dal divieto della costruzione di luoghi di culto diversi dai nostri, alle accuse rivolte ai nostri operai “invasori”, nella terra che sino a ieri esaltavamo per essere un esempio di liberismo. Si potrebbe ampliare l’elenco con le avventure stravaganti dei neo-nazisti e dei neo-fascisti, oppure con la difesa del Po’, ma sono anni che costoro lottano per le loro cause perse, tanto che in questa fase di subbuglio generale passano quasi inosservati. Il diverso è divenuto il nemico da abbattere, tanto che una parte cospicua del popolo italiano ha scelto di farsi governare proprio da chi gli aveva promesso che questi li avrebbero affondati con i cannoni. Forse qualcuno si dimentica che anche il popolo italiano una volta è stato diverso, e che nel primo dopoguerra quasi un terzo del PIL era rappresentato dalla rimesse che i nostri emigrati spedivano alle loro famiglie in Italia. Molto prima, poi, i flussi migratori erano “controllabili” perché l’immigrazione si chiamava schiavismo e subito dopo colonialismo. Uno Stato deportava su navi quanti lavoratori necessitava. Quando scoprì che forse era più conveniente risparmiarsi anche questi viaggi decise di invadere direttamente quelle terre lontane, perché forse era un modo per trovare lavoro anche ai propri cittadini. L’Italia, sempre perché qualcuno non se dimentichi, era un paese colonialista, anche se questa politica ci portò meno vantaggi che ad altri Stati europei. Da invasori siamo diventati degli invasati. Invasati della paura, perché tutti hanno paura di tutti. La ricerca della chiave di lettura può essere intrapresa in molti modi. Andrea, nel suo intervento, fornisce una spiegazione in chiave sociale e culturale, soffermandosi sui rapporti dell’individuo con l’insieme di decadenza dei valori. Quasi un ritorno ad una società tribale, un far-west retrogrado. Chiaramente sono in accordo su gran parte del suo ragionamento, ma credo che una possibile chiave di lettura possa essere l’estensione dell’ analisi al contesto storico e all’evoluzione dello stesso. L’Inghilterra è lo Stato dove, più di ogni altra parte del mondo e tralasciando le proteste sindacali degli ultimi giorni, la società ha assunto il carattere di vero e proprio laboratorio di sperimentazione multietnica, di convivenza multiculturale. E non lo è divenuta per caso. L’ edificazione della società aperta e dinamica che oggi ospita è durata quasi tre secoli, ed ha trovato compimento quando vi è stata la definitiva affermazione del secolarismo. Quello che per molti, ancora oggi, è definito relativismo culturale, in Inghilterra è stato un esempio di grande prospettiva di sviluppo sociale. Per troppo tempo, soprattutto in Italia, una certa parte della politica e soprattutto una certa parte di società ha considerato un’utopia la convivenza multiculturale, tanto che ancora si sostiene che sarebbe troppo relativo affondare le radici dell’Europa nel pensiero illuminista. Una società impaurita ha paura di questo. Ha paura di aprirsi al confronto, a paura di perdere quelle protezioni che nemmeno la storia più riconosce, a paura di dovere tollerare. In questo clima assurdo e surreale, io credo, è facile giocare le carte migliori per abbattere ogni tentativo di modernità ed avanguardia sociale. E così risulta un gioco da ragazzi fare apparire immigrazione, clandestinità e criminalità come facce della stessa medaglia. Risulta forse ancora più suggestivo accostare il terrorismo alla religione islamica. Risulta persino allettante la denigrazione sociale e l’emarginazione civile di chi ha un orientamento sessuale diverso dal proprio. Il tutto in nome della paura. Della paura che la tolleranza, il rispetto, il multiculturalismo, il rispetto reciproco delle differenze, possano portare a una società troppo permissiva, senza fibra morale, dove il bene e il male possano avere nuovi confini. L’accanimento contro la secolarizzazione ha portato nuovo odio, nuove forme di discriminazione, e soprattutto nuovi interpreti, quella folta schiera di individui di poca prospettiva pompati dai tanti mezzi di comunicazione accondiscendenti. Non è successo così in quelle parti di mondo che hanno intrapreso nuove forme di convivenza sociale e civile.
Massimo Barzaglia