Per intavolare un confronto serio, soprattutto su questioni un poco complesse come quelle messe in campo, forse sarebbe il caso prima di tutto d’intendersi sulle parole, non avendo io nessuno strumento migliore, in questi casi tiro fuori il dizionario e cerco tra le definizioni. Dal Devoto, Oli:
laida: che ha un aspetto ripugnante per il sudiciume o la deformità, accentuatamente immorale, spesso in rapporto con l’idea di osceno”
Capperi, addirittura laida la mia povera università? Quando ci passavo del tempo, a studiare prima ed a provare ad insegnare poi gli ne ho dette tante anch’io: vecchia, marcia, clientelare… ma laida tout court mi sembra parecchio avanti come giudizio, ma andiamo avanti con le definizioni.

laicità: “assoluta indipendenza e autonomia nei confronti della chiesa cattolica o di altra confessione religiosa” e anche per estensione “nei confronti di qualsiasi ideologia”
E fino a qua la cosa sembra chiara, vuoi vedere che Devoto & Oli erano un po’ anticlericali? poi però se andiamo alla voce ‘làico’ le cose si confondono parecchio. E’ laico il “il credente cattolico non appartenente allo stato ecclesiastico (contrapposto a chierico), religioso non sacerdote, ma anche “contrapposto a confessionale, che nel campo della propria attività rivendica un’indipendenza e autonomia di scelte nei confronti della chiesa cattolica o di altra confessione religiosa (scuola laica, stato laico), ma anche infine “illetterato (contrapposto a chierico nel significato di ‘dotto’) e questa è proprio interessante. Ma allora vuoi vedere che ognuno intende la parola ‘laico’ e ‘laicità’ a modo suo tirandola per la coda? Ma sarà mai possibile che non si potesse fare uno sforzo e coniare una parola meno ambigua? Forse no, a fare mente locale, non era proprio possibile, almeno in Italia. Senza andare tanto lontani nel tempo la storia dell’Italia come stato nazione, nasce con un episodio forse un po’ più pesante della contestazione all’università. Nasce con la distruzione dello Stato Pontificio come entità di potere temporale e di cui la breccia di Porta Pia diviene il mito di fondazione. Erano anni strani quelli, anni in cui il periodico dei gesuiti Civiltà Cattolica per commemorare i propri morti in battaglia poteva scrivere: “… ora morire pel Papa è morire per la Chiesa, morire per la Chiesa è morire per Dio, e morire per Dio è nascere alla vita eterna. Sono dunque stati veramente MARTIRI, e senza alcun dubbio sono volati di primo slancio dal campo di battaglia, o dal loro letto insanguinato dell’ospitale alla gioia del Paradiso” (Civiltà Cattolica, serie IV vol. VIII p.197). Grazie al cielo poi siamo diventati tutti Italiani e le incertezze sono rimaste solo nei lemmi. Non credo sia il caso di tirare le somme e pesare il bene che la Chiesa Cattolica come istituzione e sotto insieme del messaggio cristiano abbia portato nella storia del mondo, non tanto perché creda il contrario, quanto perché lo vedo un compito arduo da dimostrare e sempre pronto ad essere rimesso in gioco da nuove argomentazioni magari di segno opposto. Benedettini e cultura? Oscurantismo, censura dei libri all’Indice. Ospedali e carità? Inquisizione, crociate e ghetti. Missioni nel mondo? Reduziones e conversioni forzate. E si potrebbe andare avanti parecchio, ma non credo che in questo modo si arriverebbe da qualche parte se non forse scordarsi di essere per ora tutti cittadini di un medesimo Stato. Adesso se torniamo un attimo a quella terza definizione di laico, le cose si fanno un poco più interessanti. Il laico è illetterato? E perché mai? Perché le istituzioni di cultura tanto tempo fa erano tutte espressione clericale? No, sarebbe bastato andare nel mondo arabo o in quello ebraico per trovarne. Potrebbe essere una questione di giudizio su cosa è cultura? Perbacco, ma allora in questo senso un laico può essere anche laido in quanto lontano dalla cultura, ma sarà poi corretto giudicare in questo modo? E’ vero che il discorso che avrebbe dovuto leggere il Papa enfatizzava la razionalità, ed in un certo senso difendeva Galileo, il problema è che nei passi di quel discorso, si legge bene anche la volontà di affermare una chiesa la cui consapevolezza ingloba e supera la razionalità. Questa è una cosa un po’ più complessa. Qui non si tratta quindi della contrapposizione tra fede e ragione, banale, ma del tentativo di affermare una ragione della fede. Il Papa, questo Papa, parla da filosofo-teologo e come tale in modo molto razionale costruisce il suo sistema di assiomi e presupposti in cui ragione e fede non sono in antitesi. Ovviamente però perché queste due facce trovino pace bisogna che la missione del messaggio cristiano nella storia, trovi piena applicazione nel mondo reale. Nella capacità di giudicare e regolare la produzione delle verità, non quelle di fede, bensì le verità in cui fede e ragione coincidano. Non è un caso che lo scontro sui temi legati alla bio-etica si faccia non con motivazioni teologiche ma con correnti scientifiche. Non è un caso che si tuoni contro il secolo dei lumi. Figuriamoci la scienza non è verità, anche lei è un bel sistema sacerdotale pieno di dogmi e assiomi, ma qui il problema è che se saniamo ciò che l’illuminismo ha rotto, cioè ridiamo ad un solo ente la capacità ed il giudizio di parlare del mondo tenendo in mano con la sinistra Aristotele e con la destra S.Agostino, rischiamo di rivedere qualcosa di già visto. L’esercizio del potere tramite il vicario di Dio in terra, una forma di governo che ha un nome, Teocrazia. Io non nutro particolare fiducia nei tecnocrati che svuotano di senso il mondo, ma preferirei evitare anche le teocrazie, non fosse altro perché di lacrime e sangue ne hanno già versato anche loro parecchio. A questo punto cosa ci resta? Ci resta uno stato di cui siamo cittadini, uno stato laico per costituzione, dove laico dovrebbe continuare ad intendersi come sufficientemente distante dalle pressioni. Ci resta una chiesa cattolica che è stato nazione sovrano ma al tempo stesso indirizzo spirituale per i credenti, ma non può aspirare all’esercizio del potere di giudizio sul vero in senso razionale ma solo spirituale. Ci resta un’università, speriamo non laica in senso di illetterata, che dovrebbe sicuramente essere uno spazio di confronto plurale, e per quello che mi è dato conoscerla lo è. Anzi se devo dirla tutta nel dipartimento di scienze storico religiose il potere accademico era ben saldo nella mani della cattedra di storia del cristianesimo, ben più che in quella di religioni dei popoli indigeni, ma queste sono facezie da corridoio. Alla Sapienza le contestazioni sono di casa, sono stati contestati tutti, questo è e deve rimanere il gioco delle parti in uno luogo in cui appunto sulla base del confronto non esiste uno spazio unico di giudizio. Se poi i contestatori abbiano fatto un gioco più grande di loro e siano caduti in una specie di trappola, o se abbiano finito per spaventare veramente il dialogo, non è facile capirlo dai servizi giornalistici. Ben vengano i confronti tra sistemi di pensiero, ma che si svolgano su un piano orizzontale, dove occasione e situazione non permettano di mettere il cappello su luoghi e istituzioni, e dove ragione e fede restino sul piano distinto della dialettica e non del tentativo di assimilazione. Come è stato già ben ripetuto i mezzi di espressione e comunicazione non sono mai stati e non sono un problema per la chiesa, che infatti esprime giustamente il suo ruolo di guida spirituale. Stiamo quindi attenti a non gettare troppa enfasi sulla normale espressione del dissenso, non vorrei infatti finire nella condizione di essere bollato come blasfemo, eretico o bestemmiatore per ogni argomentazione in contrasto con la chiesa cattolica, non fosse altro perché quando ne ha avuto le possibilità ha sempre avuto la mano un po’ pesante:
“… per ciascun laico bestemmiatore….se fosse povero plebeo, la prima volta stia un giorno legato alla porta della chiesa, la seconda frustato, e la terza forato la lingua e posto in galera. “parte della bolla di Pio V contro li bestemmiatori, in vigore nel 1776”


Andrea Benassi
Condividi questo articolo
FaceBook  Twitter