Mi è stata formulata una domanda e come tale comporta una risposta. Che soddisfi è nelle mie intenzioni anche se non posso garantire la sola verità. Di ufficiale non c’è traccia alcuna e d’altro canto come era pensabile progettare la nascita di una società che avrebbe svolto la sua attività all’aria aperta e con misure di un certo rilievo?
Nell’immediato dopoguerra con uno spiazzo assai somigliante ad un campo sportivo si instaurò una polemica a livello comunale tra chi sosteneva l’utilizzo dello sterro nuovo come campo sportivo mentre la controparte propendeva per una coltivazione di patate. Che vinse e chi risultò sconfitto non ha importanza perchè trovarono un accordo su di una formula di compromesso: in attesa di una nuova destinazione il calcio si sarebbe praticato nello sterro nuovo. Sterro vecchio e sterro nuovo. Lo sterro vecchio è dove adesso si trovano le scuole elementari. In quel cerchio sono nati i primi calci. Tante palle di gomma in giro per il paese che rappresentavano una vera disperazione per la guardia di allora, Romeo Sagrini. Lo sterro nuovo era un appezzamento di terreno impiantato a tigli, traformati nell’inverno del 1944-45 in legna da ardere. Finiti gli alberi rimase il terreno circoscritto da quatto strade: via Domenico Neri, Via dei Fiori e due parti di via Cenni. Casola non aveva altro da offire al calcio e così quando i maggiorenti, con una felice intuizione, inventarono una partita, trovarono un paese intero ad incitarli. La sfida fu Studenti contro Bombardieri, la stracittadina. Ma alla collana mancava l’aggancio, o forse qualcosa di più. Dove giocarla? L’unico spiazzo disponibile era Piazza Oriani, uno sterrato che lasciava il segno anche senza gioco violento! Gli amministratori ne concedettero l’utilizzo una tantum e fu così che il calcio fece la sua apparizione a Casola. Quella fu la prima comparsata del calcio casolano, ma l’attesa di una squadra fu lunga e inspiegabile, per anni l’unica partita fu studenti-bombardieri.
Gli anni successivi furono segnati anche da derby con il Riolo e con il Palazzuolo, già muniti di campo, e qualche puntata a Marradi in cui emergeva una clamorosa distanza tra la nostra voglia repressa di giocare e l’allegria di una scampagnata degli avversari. La compagine del tempo vedeva protagonisti Ceo e Amilcare Mattioli come portieri, Scalini il giudice, Gianelli, Quarneti, Guerra, Natale, Cavina Vittorio, i fratelli Morozzi, Gianelli Matteo, Chapuis Sesto il goleador, Franco detto Pigrina, Marchetti, Riccardo e Rizò (forse due mi sono rimasti nella penna).
Poco dopo ci fu un tentativo di mettere in piedi una società ad opera del maestro Cesare Rinaldi Ceroni ma la mancanza del campo e delle attrezzature e una scarsa organizzazione fecero naufragare il tutto dopo poco tempo.
Ci volle Tonino, il barista faentino del Bar Nuovo, per mettere in piedi quella che potremmo chiamare AC Casola. Un pomeriggio col bar quasi pieno lanciò il vassoio cromato e al gesto aggiunse poche parole: “a fasì schiv’!! partono da qui le macchine dei casolani desiderosi di fare calcio giocato, c’è tutto quel che serve, non siete capaci di darvi una società, un consiglio, una organizzazione!!”. A questa provocazione seguì la risposta: “perchè non fate voi qualcosa di utile?” e Tonino rispose: “il lavoro me lo impedisce però la mia parte sono pronto a farla”. Ci furono scambi di terreno, prestazioni d’opera volontarie, il collaudo nel nuovo campo. Io ero impegnato con il Castel Bolognese ma ogni giorno mi incontravo con Edgardo Carli Moretti, nuovo consigliere a lezione di calcio ufficiale.
Gli altri consiglieri erano Malpezzi, Rossi, Moretti, Benericetti, Marinella, Mariani e altri.
Fu così che nacque la prima formazione del Casola che disputò il campionato di seconda divisione:
1 Negrini, 2 Ferroni, 3 Cavini, 4 Amerighi, 5 Giuliano Spada, 6 Dionisio Dall’osso, 7 Duccio Dall’osso, 8 Segio Montefiori, 9 Giampaolo Sbarzaglia, 10 Dino Dall’osso, 11 Alberto Rivola, a disposizione Chapuis Carlo, Rivola Domenico e Morini.
E qui ci cadde l’asino (cioè io). Ero impegnato a Castello ma non opposi vera resistenza quando Edgardo Moretti con un giro di parole mi fece l’offerta che loro ritenevano inderogabile: “con te in panchina non avremo problemi”. E in quel modo iniziò la vera avventura del Casola.
Tra i tanti ricordi di quei tempi che affollano la mente ne emergono due in particolar modo.
Il primo: un’amichevole a Riolo giocata nel campo detto “la Pista” che aveva dimensioni enormi tanto che nessuno voleva battere il calcio d’angolo per paura di fare brutta figura non arrivando al centro dell’area. Fu così che Aldo Iseppi, detto Patarì, che non aveva grande dimistichezza con il calcio, si prese la briga di calciare l’angolo, ma per farlo smise le scarpe da calcio per indossare un paio di scarpe chiodate e per ben due volte, con due puntate (“ai caz ‘na poteda”) catapultò al centro dell’area avversaria il pallone che Manfredo Pirazzoli colpì di testa infilandolo in rete. I diavoli rossi del Casola festeggiarono così la loro prima divisa con una vittoria per due a zero grazie al coraggio e alle scarpe chiodate di Patarì.
Anche il secondo episodio vede in campo sempre Casola e Riolo, uno dei tanti derby giocati, ma quella volta il risultato fu clamoroso: 11-2 per il Casola con otto gol di Giancarlo Naldoni, poi passato al Ravenna grazie anche al geometra Ceroni, ravennate in contatto con la società del capoluogo e trasferitosi a Casola.
Da quella squadra molti partirono per avventure prestigiose: Giovanni Tabanelli andò per un mese a Forlì, Dionisio Dall’osso alle minori del Ravenna, io prima al Cattolica e poi al Riccione (serie C) ed infine a Modena dove feci un provino che andò bene e che mi prospettava un futuro da professionista, ma proprio in quei giorni arrivò la cartolina e dovetti partire militare. Ma questa è un’altra storia.
Diego Dall’osso