“L’unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa”.
Questa frase è stata pronunciata da Franklin Delano Roosevelt in occasione del suo discorso di insediamento come presidente degli Stati Uniti d’America (primo mandato, 1932).
Il contesto a cui si riferiva riguardava la Grande Depressione del 29 e, in particolare, un sentimento popolare, diffuso e maggioritario in quel periodo, contrario a qualsiasi contromisura da prendere per tentare di rimediare alla crisi… si diceva che il pericolo di sbagliare era troppo alto, e con questo, finire ancora più in basso. Il prodotto della tesi, a fronte di un torrente in piena di parole, fu un lungo periodo di un immobilismo di azione quasi assoluto.
Poi, finalmente, l’America prese coraggio, e riuscì ad uscire dalla crisi cambiando senza paura di sbagliare, perché, comunque sia, ogni cambiamento non può sottrarsi alla possibilità di errore. Ciò che Roosevelt riuscì a far digerire al suo popolo, è che lo stesso errore, se analizzato con ragionevolezza, può comunque indicare la strada giusta per approssimare sempre più un risultato corretto. Il principio è valido in assoluto. Lo sapevano bene i matematici indiani del VI e VII secolo, quando scoprirono che il valore esatto del Pi-greco poteva essere avvicinato sempre più per approssimazioni successive.
Ecco il punto, è difficile, e comunque il giudizio è soggettivo, fare oggi, e in un sol colpo, la tanto auspicata “buona riforma” … molto più facile arrivare ai “buoni frutti” tramite approssimazioni successive. Ma per far questo, un primo passo è indispensabile.
Pier Ugo Acerbi