Alla fine ce l'abbiamo fatta. Noi italiani, brava gente poco incline a farsi governare, abbiamo democraticamente sancito questa nostra propensione, finendo per creare una matassa molto difficile da dipanare. Tutto ciò e' il risultato di una giusta, fortissima richiesta di cambiamento che veniva da un popolo stremato, depresso e sempre più arrabbiato per troppi anni di governo esercitato all'acqua di rose, ripiegato su se stesso, distante dai bisogni reali del Paese e, come tale, incapace di prendere le giuste decisioni per esso.
Da più di dieci anni riceviamo continue raccomandazioni dall'Unione Europea sulla necessita' di fare riforme strutturali riguardanti il mercato del lavoro, la previdenza, la giustizia e le istituzioni. Tutte sistematicamente ignorate o affrontate con superficialità e mai veramente realizzate.
Diciamo pure che c'erano tutte le condizioni per ritrovarsi prima o poi nel marasma in cui si trova oggi l'Italia.
I partiti tradizionali, presenti in Parlamento, nell'ultimo anno, hanno dato il peggio di se stessi. A cominciare da quando, nel novembre 2011, abdicarono clamorosamente dal ruolo che spettava loro, quello di prendere le serie e, a volte, difficili decisioni che si rendono necessarie per la salvaguardia e la crescita di un Paese. Da quel momento in poi, nessuno di coloro che facevano parte della classe dirigente (opposizione compresa) avrebbe dovuto avere l'impudenza di ripresentare la propria candidatura, mentre la realtà li ha visti tutti ai nastri di partenza. Si pensi se una cosa simile fosse successa in un'azienda privata: semplicemente irresponsabile e quindi impossibile.
Logica conseguenza di tutto questo e' stato il messaggio che gli elettori hanno voluto mandare: 'Ok, hai avuto la tua occasione e non sei stato all'altezza. Nemmeno durante quella sorta di 'anno sabbatico' sei stato in grado di riformare la legge elettorale come era stato chiesto espressamente dal Capo dello Stato e non hai neppure rivisto il sistema di finanziamento ai partiti, e' ora che tu vada a casa'.
Detto ciò, in accordo con quello che era un sentimento popolare ampiamente palpabile, c'erano diversi modi per porre le basi per un cambiamento radicale, per una svolta che desse un respiro nuovo alle modalità di governo dell'Italia, alcune più lungimiranti, alcune più drastiche e emozionali.
In quest'ottica rinnovatrice, l'unica scelta da non fare era votare nuovamente il PDL che era il soggetto politico meglio conosciuto nel ruolo di guida del Paese. La rimonta effettuata da Berlusconi nelle poche settimane di campagna elettorale ha dell'incredibile e dimostra ancora una volta tre fatti:
1) lui e' un fuoriclasse nella comunicazione e il recupero e' un merito solo suo
2) gli italiani votano con la pancia e non con la testa
3) gli italiani hanno la memoria di un pesce rosso, cioè non oltre i cinque minuti appena trascorsi
In ogni caso, nonostante, i proclami di Alfano (non si capisce come una persona possa accettare il ruolo del leader quando e' ben noto che non conta niente...) sul grande e insperato risultato elettorale, non dobbiamo dimenticare il dimezzamento dei voti subito dal partito rispetto alle precedenti politiche. Uno schiaffone immenso da sette milioni di voti persi e 16% in meno.
Dicevamo delle possibilità di un voto per il cambiamento: si poteva decidere di fare una crocetta su Mario Monti o sul Movimento 5 stelle o su...Matteo Renzi. Sì perché il secondo ceffone di questa tornata elettorale l'ha preso sonoramente il PD (-3milioni e mezzo), passato in due mesi da una situazione di quasi certezza della vittoria assoluta, al pantano a sgomitare con tutti gli altri. In questo caso, e non facciamo dietrologia visto che avevamo scritto la nostra opinione al PD locale alcuni mesi orsono, se il Partito Democratico avesse puntato sul giovane sindaco di Firenze, avrebbe fatto man bassa di voti lasciando agli altri soltanto le briciole, Berlusconi probabilmente non si sarebbe mai ricandidato e Grillo avrebbe avuto molti meno argomenti per i suoi sproloqui. Ma ha prevalso la smania di Bersani di provare a essere il numero uno, fatto che l'ha messo oggi in una situazione piuttosto difficile. Intendiamoci, il PD ha in questo momento forse il segretario più onesto e limpido che ci si possa aspettare, ha la maggioranza assoluta alla Camera e ha vinto al Senato, ma la realtà e' che non può governare e, come ha detto lo stesso Bersani con la consueta schiettezza: 'E' arrivato primo, ma non ha vinto'.
Il PD ha deciso, a torto, di proseguire con i vecchi schemi, con i personaggi che escono perdenti da vent'anni a questa parte, che sotto sotto mantengono nei confronti dello Stato, dell'economia di mercato e della cultura d'impresa, quell'atteggiamento post comunista che, nonostante il mondo sia cambiato, non riescono e non riusciranno mai a scrollarsi di dosso.
Oramai da troppi anni il centrosinistra ha buoni amministratori locali, ma non un vero leader a livello nazionale. Continuiamo a sentire sempre i soliti nomi che spuntano dall'ombra quando la frittata e' fatta (D'Alema il peggiore di tutti, Veltroni, Fassino) e i soliti discorsi che finiscono sempre con la frase: 'Gli altri si assumeranno le responsabilità delle loro azioni'. Non sono discorsi da leader, che per definizione e' uno che guida e che non può scaricare su altri le ragioni di un eventuale fallimento. E la gente lo sa istintivamente. Non abbiamo mai sentito dire a Berlusconi una frase simile, mentre, non a caso, l'ha pronunciata Alfano...
Un vero trascinatore, ma non e' detto che sia sempre un esempio positivo, e' invece Beppe Grillo, il vincitore morale di queste elezioni in cui ha catturato, da solo, un quarto dei consensi. Ora sarà molto dura contenerlo. Certamente alcune istanze proposte dal Movimento 5 stelle sono condivisibili e intercettano in pieno il desiderio popolare, ma non possiamo nasconderci il fatto che, da quella massa informe di argilla da plasmare che e' in questo momento il movimento di Grillo, possono uscire cose buone e altre veramente pessime. Persone senza particolare preparazione politica, né economica o sociale vengono scaraventate in Parlamento da un istrione e da un Guru (Casaleggio) di dubbia credibilità internazionale, che sembrano più che altro lanciare il sasso nello stagno e nascondere la mano.
Non v'e' dubbio, parlando coi grillini, che il 90% abbia votato sull'onda di un'emozione, di una pulsione quasi violenta e che non conosca granché del programma del Movimento. Sono spesso animati da un sentimento rivoluzionario che porta a demonizzare il mercato, l'Europa, la Germania e le banche. Ma provate a togliere le banche a un circuito economico e vediamo cosa resta a famiglie e imprese. Certo, siamo schiavi di un sistema politico-finanziario malato e deviato, ma non sarà l'arroganza e il buttare tutto all'aria a risolvere problemi che nascono da lontano nel tempo e che sono oggi di dimensione europea se non mondiale.
Il professor Monti aveva ridato smalto all'immagine dell'Italia all'estero, sia sulla scena politica che su quella finanziaria e aveva cominciato a rimettere in sesto l'economia del Paese. Per farlo, per rimediare a decisioni sbagliate o mai prese del passato, ha dovuto imporre pesanti tasse e avviare riforme molto dure come quella delle pensioni. Questo ha senz'altro pesato sul suo risultato. Anch'egli presentava un programma di cambiamento, di dissociazione dalle lobby e dalle ammuffite logiche clientelari della politica italiana. E soprattutto era l'unico che parlava di giovani e delle generazioni future. Il suo programma era organico, ma troppo a lunga scadenza per l'elettore italiano che crede ancora ai miracoli e che si accontenta di un po' di IMU restituita subito, piuttosto che di meccanismi strutturali messi a posto per decenni. Facciamo un esempio: oggi sono tutti pronti a sottolineare che la Volkswagen ha distribuito ai propri dipendenti un premio di fine anno di 7.500 euro, ma nessuno sa, o fa rilevare, che quel premio e' frutto di un accordo coi sindacati, risalente a molti anni fa, anni in cui i dipendenti si sono ridotti lo stipendio per continuare a lavorare tutti. E oggi ne ricevono i benefici. Lo stesso discorso vale per la Germania post unificazione: quello che e' oggi poggia su fondamenta gettate vent'anni fa.
In Italia vogliamo tutto e subito, non si da tempo a nessuno e nessuno accetta spontaneamente di fare un sacrificio per le generazioni future. Siamo uno dei paesi con più alto rischio di conflitto generazionale, vista la situazione creata dai nostri padri, ma continuiamo a non guardare più in la del nostro naso. Il professore, dal canto suo, ha fatto una campagna elettorale indegna, lasciando i propri panni per quelli del contendente aggressivo e talvolta offensivo che non solo non gli appartengono, ma lo rendono pure ridicolo. Ha sbagliato a non sottolineare i risultati raggiunti, a non chiedere tempo per attuare altre fasi di un progetto e, forse, a scegliersi gli alleati.
Fatto sta che, in conclusione, molti hanno votato con la pancia, alcuni col cuore e pochi con la testa, ma alla fine ne faremo la spese tutti. Che dire...speriamo che da questo immenso bordello esca qualcosa di buono, ma francamente non ci crediamo neppure un po'.
Lorenzo Righini