Parlare male (ma molto male) della Juve

Che abbia vinto la nuova società peschiera non ha sorpreso nessuno.
Il carro Le colonne d’Ercole non solo ha vinto, ma ha praticamente annientato gli altri due. Gli altri due, per la giuria è come non fossero esistiti. Allora mi permetto di criticare un carro bello e vincente, proprio perché ha vinto.
Capisco anche che dopo tanti anni si possa essere un po’ stanchi e vuoti. Umilissimi quando c’è da piantare i chiodi (Cristiano Cavina: premio cazzuola d’oro ex aequo con un manipolo di altri irriducibili degli spigoli e del ex grisolo) e maestri nel progettare, appassionati nell’eseguire ogni cosa per il carro. Non contesto il verdetto della giuria per quel che riguarda il loro carro, anzi lo sottoscrivo in pieno.

Ma siccome sono la Juve dei carri—(e questo farà malissimo ad alcuni di loro), preciso bene: non la Juve di Moggi, quella che rubava, ma la Juve in generale, quella più brava e potente, quella che vinceva,- dai primi della classe ci si aspetta sempre molto. Così hanno vinto anche quest’anno se mi permettete dirlo, a dispetto di quelli che sono altrettanto stanchi di loro, in virtù di una prassi costruttiva consolidata, senza spingere il piede sull’acceleratore portando in piazza un carro imponente, ben fatto, comunicativo… Ma un carro minore.
Una vera e propria figura allegorica dà il titolo al carro: tutti sappiamo dove sono le colonne d’Ercole e che cosa significano nella lingua parlata. Parlando di Juve, però ho visto il terzino destro Favaro che ha pure vinto scudetto e coppa delle coppe! Mi riferisco al matitone piantato a sbilenco in virtù di colonna d’Ercole, così spoglio ed anonimo, di forma insignificante, sembrava dire della poca voglia di fare, eppure rappresentava una delle tre frasi dominanti del carro. Non mi ha convinto la soluzione Wind Surf per principianti spiaggiato, come seconda proposizione del carro, in qualità di caravella avrebbe figurato meglio al suo posto il canotto (e lo cito solo perché appare nella relazione) dello yacht di Briatore. Scelte minimaliste? Anche sulle vele avrei una cavillosa critica da muovere. Realizzate in telaio di metallo, mi è stato ben risposto che occorreva realizzarle in modo tale che non stoppassero la fuga visiva che attraversa centralmente il carro. Infatti nulla è casuale sui carri NSP e poco lo è nei carri in generale. Però la scelta della rete in plastica rigida, si scontra con gli attributi fondamentali che fanno di una vela una vela. E cioè fluidità e capacità di rispondere al vento, elasticità, tensione-mollezza, gonfiore-flaccidità… contro stecchita indeformabilità. Non è possibile condensare le qualità della vela con quelle della rete in plastica metallizzata, non ne esce una metafora riuscita. Traghetto dell’INPUT contro caravella NSP, vela di SISMA contro vela NSP, secondo me il parziale è netto. Un vistoso calo di tensione si nota nella diminuita cura dei particolari e degli attrezzi che faceva dei loro carri belli, dei carri quasi perfetti. Quasi con operazione di copia-incolla ritroviamo a distanza di pochi anni quattro su cinque icone “alla Pierino” di un bellissimo carro agiografico, ricordate, uno era Cassius Clay, un altro il Che… anche allora vinsero, ma il contesto in cui erano inserite, la qualità formale delle figure d’allora rispetto a quelle di adesso, era di un altro livello: il livello che io mi aspetto da loro, insomma, invece di Baggio c’è Zavarov, al posto di Rossi, Pacione. Quattro su quattro figurine di giganti piccole piccole. Trovo esageratamente accattivante il finale autoreferenziale della relazione di quest’anno che riprende in qualche modo, ma in tono minore la bellissima relazione di un bel carro del 2001: Un ultimo giorno di festa. Non dico che non si possano citare carri del passato (vedi INPUT) e anche autocitarsi, anzi dopo più di cent’anni di carri capisco che è sempre più difficile trovare nuove figure ed allegorie, però, condensare il meglio del passato, apici così elevati, per, tutto sommato, un’operazione decisamente più povera, assomiglia un po’ a un greatest-hits degli Abba. Un’operazione un po’ commerciale mirata ovviamente non a un guadagno economico (che nei carri ci si rimettono tempo e risorse), ma a un facile riscontro alla cassa della giuria. Insomma, lo dico scherzando un po’, e spero che questo paragone con gli Abba non offenda nessuno, però il carro NSP non mi ha convinto. Dal punto di vista della teoria delle informazioni (che cerca di valutare la quantità di informazione ovvero l’apporto di novità presente in una comunicazione) il carro Le colonne d’Ercole non sposta di una virgola quello che è un patrimonio culturale acquisito. L’allegoria principale è ormai una figura retorica di uso comune da secoli, come Colombo, da subito è diventato simbolo di chi cerca una via diversa per raggiungere uno scopo, in effetti il santo delle cause perse, e la scacchiera come traslato di costrizione e subordinazione sociale, è ormai una convenzione riconoscibilissima, ampiamente, ripetutamente sfruttata. Quindi dal punto di vista stilistico, l’apparato allegorico della NSP non fa una piega e vince il primo premio, ma viene a mancare il valore aggiunto, quella dose minima di originalità, la soluzione inattesa, il neologismo che lascia traccia dell’autore... Considerando anche il tema, infatti, dal punto di vista più letterario ed umano, per il quale non esiste una teoria scientifica a cui attenersi, ma entra in gioco la sensibilità di ognuno di noi, ho sentito diverse persone dire che la relazione di quest’anno era bellissima o forse la più bella mai esistita. Cristiano, che l’ha scritta, lo sa meglio di me. Era una relazione di maniera, quasi per bambini. Sto esagerando un po’, lo so, perché si parla di Juve e della Juve, si sa, se non si dice che ruba, comunque se ne parla male, però dal punto di vista lirico ed emotivo, non era forse più vitale la relazione di Non nascondete ai vostri occhi? E dal punto di vista filosofico, forse un poco maldestramente eseguito, non era forse più intrigante il tema di Alla fine dei giorni? Va bene questi ultimi due sono carri criticabilissimi, ci mancherebbe, nessuno è perfetto, però nei loro limiti che gli hanno valso da parte della giuria un mortificante non classificato, non erano carri soprattutto più genuini? Perché ogni carro qualcosa dice, allora Le colonne d’Ercole mi è sembrato poco stimolante, direi anzi che sono andati a punto.
Dopo La cruna dell’ago, Le colonne d’Ercole quando, mi domando, faranno il carro La capra e i cavoli dove in tre o quattro pagine ci diranno come ad esempio criticare cercando di non offendere nessuno (tipo io adesso?) Ma sarebbe epocale, secondo la stessa formula vincente, un carro che metterebbe d’accordo giuria popolare e la giuria di teste grosse, vi dico il titolo, immaginatene la struttura : Un par di buoi e un pelo di… . Mi rendo conto di quanto sia semplice criticare il lavoro degli altri, con questo ribadisco la mia grande stima per loro, ma se è vero che sono chi sono, probabilmente sono l’unico a pensarla così, che io appunto vado alla Menni.

Il nodo comunicativo

Siccome della Juve si parla male, non faccio nessun riferimento al bello della NSP. Basta osservare i loro carri, o chiederlo direttamente agli ideatori, che non ne fanno mistero. Perfettamente padroni del loro linguaggio da averne fatto uno standard. Una figura allegorica fondamentale, che parla di una cosa sola. Rarefatti concetti accessori, anche questi ben individuati in tre, quattro enunciati sia nel testo che sul carro. Una relazione semplice ed accattivante, per bambini, che illustra quanto si vede. Su questo schema hanno vinto quasi sempre, ed hanno fatto carri bellissimi. Il modello comunicativo più vicino è quello della pubblicità. Un principio di economia. Semplicità. Immediatezza. Riconoscibilità. Quello che si può imparare dalla NSP, che direi, è necessario imparare, è sciogliere il nodo comunicativo. Ciò non significa ricalcare la formula vincente della NSP, ma chiarire a se stessi cosa dire e come dirlo. I carri sono uno strumento musicale dalle mille potenzialità. Uno strumento un po’ misterioso fatto di ance, corde, martelletti e pistoni allo stesso tempo. Non un’ocarina, ma uno strumento per complicarti la vita.
Guardate ad esempio la società INPUT. Sono anni che scendono in piazza con carri classici ed armoniosi, in linea con una tradizione che parte nei primi anni ottanta con la SAKNUSSEN, prima e seconda maniera e poi rinnovata dalla PSICA negli anni novanta. Quello che li relega ad eterni secondi è un inestricabile groviglio comunicativo. Quel nodo che la peschiera scioglie con due dita, come il fiocco rosa nei capelli di una bambina, per loro appare come la camicia di catene, corde e lucchetti in cui perì il povero mago Houdini. Se guardato da un punto di vista formale, sembra che non riescano ad armonizzare carro e relazione, se non in modo drammaticamente oscuro, mentre, potrei sbagliare, gli sfugge una finalità chiara, che dia orientamento e sincronizzi relazione e carro fino a fonderli in un unico testo. Non mi riferisco solo alla complessità della relazione, che con un po’ di buona volontà si può leggere ed apprezzare, (se si tolgono il settanta per cento degli aggettivi, se ci si mette d’accordo sul significato di nimesi, se si tagliano di netto alcuni paragrafi, magari l’avrebbero considerata con più serietà anche i giurati) ma soprattutto al senso complessivo del carro. Per chiarezza, mi richiamo alla NSP dove il monito o meglio, l’esempio morale è sempre chiaro, dove la maestria strutturale, la finitura e la ricerca estetica del “vestimento” del carro, non appaiono mai fini a se stessi.
In definitiva, a fronte di una formula comunicativa comunque vincente, non è necessario rincorrere i primi con uno stile falso letterario per cui occorre talento e padronanza della lingua. Una relazione può essere anche breve, brevissima, può essere scritta anche da chi fa il carro, se non si è scrittori, come una presentazione, appunto una… relazione, tipo: Poiché vogliamo dire questo, allora sul carro mettiamo questo. Punto.

Le teste grosse venute da via


La giuria – come se fosse venuta su per mangiare i tortelli – in modo veramente offensivo, si è limitata a considerare un solo aspetto comunicativo ed ha cassato senza pietà gli altri. Ripeto, nonostante le critiche mosse nel paragrafo precedente alla NSP, se l’immediatezza del messaggio è il valore più importante e se la realizzazione scenica ed architettonica è comunque d’alto livello, che Le colonne d’Ercole abbia vinto è un fatto scontato. Se pur in forma meno drammatica anche la SISMA appare ancora un po’ sfuocata nelle finalità concettuali della propria opera. Se si intraprende una forma lirica (mi riferisco alla SISMA ed alla loro “canzone”) mentre per quanto si allontani il miraggio di essere chiaramente capiti, tanto si può mettere dal lato emotivo. Solo che ad ogni passo si possono pestare escrementi, in ogni frase nuova si rischia un non-sense. Però la ricerca di un proprio linguaggio, la forza lirica ed emotiva di Non nascondete ai vostri occhi, se la giuria non l’ha vista, eppure domenica era appunto sotto gli occhi di tutti. Meritavano un secondo, un terzo posto, comunque meritavano il podio. Se la forma non era quella della parabola, e quasi sillogistica della NSP, il grido il canto duro, il Rap, non hanno forse dignità letteraria? I carri a volte portano un messaggio, altre una risposta, più spesso domande. Chiedersi qual è il messaggio, pretendere una risposta non è così necessario, che un telegramma secco spesso non c’è. Un carro, come un film, un quadro, una foto o una canzone è a volte paragonabile ad un grido, ad un’attestazione di identità, una lirica (quanto mi è piaciuta l’idea delle foto bendati) ed un’affermazione di umanità.

Costruttori di cattedrali

Osservare la laboriosità con la quale si alzano i carri è uno spettacolo. Tutti i casolani sanno quante ore e quanta maestria ci sia dietro la costruzione di un carro. Progettisti, carpentieri, muratori, fabbri, sarti, attrezzisti… Gli storici capocantiere, costruttori di carri da più di quarant’anni. Il paragone con le cattedrali gotiche mi è venuto in mente durante la sfilata di sabato sera. Vale per i carri in generale, perché in comune col gotico ci sono quest’aspirazione all’altezza, la perizia degli operai, e soprattutto quella sacralità che trasforma la materia prima: là calce e pietre, qua legno e gesso, nell’essenza stessa del proprio significato, per cui ogni chiodo piantato nel carro come ogni pietra di una cattedrale, sono la lettera di una frase assoluta. Poi le cattedrali durano e i carri vengono distrutti, ma nessuno è perfetto. Dicevo vale per i carri in generale, ma lo voglio dire, l’altra sera il carro dell’INPUT mi ha emozionato. Non era successo durante la sfilata di giorno, ma al buio, la mia attenzione ha trovato il giusto raccoglimento, la musica era suggestiva: ho lasciato sfilare davanti agli occhi quel carro, a due metri da me, e ho scoperto quanto fossero straordinariamente belli tutti i particolari. Alcuni li ho riconosciuti nel loro significato, altri no, ma che importa? Scoprivo uno scorcio e sapevo che quella figura, in quel momento così vicina veniva da lontano, con un suo senso o solo come semplice voce, frattale di un discorso più ampio e profondo. Pochi carri hanno raggiunto nel passato il grado di finitura ed eleganza, la cura dei materiali e dei particolari, dei costumi, delle scene di Alla fine dei giorni. Spero di non fare torto a nessuno se dico che sabato sera, fra gli altri bei carri, il carro più bello, ma bello bello, era questo.

Andy Wharol e la multimedialità

Nel 2001, sempre su questa testata scrissi un articolo intitolato Arte, Popular Culture e Carri Allegorici. In breve, allora esprimevo il concetto che i carri “…da un’arte popolare intesa come tradizione di una cultura bassa si videro proiettare nella Popular Art…” quella di Andy Wharol. La differenza sta nel fatto che invece di trasformarsi in una manifestazione di folcklore, periodica riesumazione di un cadavere che solo pochi cari riconoscono ed apprezzano, (i pochi cari sarebbero i casolani e gli ex casolani), i carri allegorici sono nel contesto del mondo comunicativo contemporaneo, vivi, presenti, attualissimi (sì, attuali col superlativo). Come dice Claudio Ricciardelli, spostare la sfilata dal pomeriggio alla sera l’ha trasformata da sagra a festa. In un attimo si è reciso l’ultimo legame col folcklore. Tradizione sì, folckore no. E’ questo che rende unica la festa di primavera di Casola. E non si tratta, ed è questa la chiave del mio discorso, solo di suggestione notturna. Si scopre di avere fra le mani una enorme possibilità comunicativa, che apre ai carri allegorici, che proiettati nel loro tempo, multimediali lo sono sempre stati. Se Wharol pronunciò veramente quella frase riguardo ai quindici minuti di celebrità, così caratterizzante la sua idea di Pop, e i creatori di carri sono gente comune, la multimedialità, se non è solo una parola con la quale imbottirsi facilmente la bocca è un opportunità da riempire di contenuti. Una tradizione centenaria, solo per spiriti giovani. Un’occasione da non perdere.
Vorrei chiudere con un pensiero ad Omar Sagrini (1962-1997) che non vinse molto, ma ancora oggi conta un bel po’.

Claudio Menni
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