Il rapporto tra l’Uomo e la Geologia è stato da sempre strettissimo, in modo più o meno consapevole. Ad esempio, già l’antica scelta del luogo nel quale insediare un villaggio dipendeva dall’esperienza consolidata in norme pratiche che rappresentavano i precursori delle future discipline scientifiche. Si iniziava dalla geomorfologia (la preferenza data ad un terrazzo alluvionale, piuttosto che alla sottostante piana inondabile e malsana) per passare allo studio idrografico (la presenza di corsi d’acqua per dissetare, irrigare e fornire energia) e litologico dell’area (praticabilità solo di alcune coltivazioni in base al suolo formatosi), fino alla mineralogia e petrografia (con l’individuazione di materie prime per l’artigianato, l’industria e, di conseguenza, il commercio). La consapevolezza di questo legame si è andata affievolendo con il mutare delle forme di società fino ad arrivare a quella odierna, dominata dalla specializzazione e da un ritmo frenetico. Uno stile di vita che ci ha fatto perdere la capacità di osservare la componente inanimata del territorio (rocce, montagne, forme come i calanchi, varietà del suolo…) e di “ascoltare” le antiche “storie” che questi elementi del paesaggio ci possono raccontare. Non siamo quasi più in grado di cogliere tutti quegli elementi, noti ai nostri predecessori, come ad esempio la naturale franosità di alcuni tipi di rocce, sulla base dei quali adottare le migliori pratiche di utilizzo del territorio (tecniche di coltivazione, scelta delle aree edificabili…).
Al contrario, il substrato inanimato sul quale tutto si sviluppa ed evolve appare statico, inalterabile e, soprattutto, “silenzioso”: agli occhi di molti, non in grado di comunicare nulla di indispensabile, per cui sia necessario preservarlo nel tempo
Uno dei modi per riavvicinaci alle scienze della Terra è rappresentato dall’individuazione di geositi, elementi base della geo-varietà di un territorio. Spiegare il concetto di geositi non è semplice, ma chiamarli luoghi della geologia e, nel loro insieme, patrimonio geologico di un’area rende l’idea di ciò che essi rappresentino: luoghi nei quali è riconoscibile l’azione di un processo geologico antico o attuale, o il suo prodotto.
Recentissima (10 Luglio 2006) è l’innovativa legge della Regione Emilia-Romagna che traccia gli elementi fondamentali per l’individuazione, la tutela e la valorizzazione del patrimonio geologico superficiale e sotterraneo in ambito regionale, definito come “l’insieme dei luoghi ove sono conservate importanti testimonianze della storia e dell’evoluzione geologica, geomorfologica e pedologica del territorio”.
Ma quando è nata l’idea di valorizzare il potenziale culturale che un luogo interessante sotto l’aspetto geologico contiene, e quindi il concetto di geosito?
Cercando le origini dello studio geologico nel nostro territorio non si possono dimenticare i viaggi del grande Leonardo da Vinci e le sue osservazioni fatte sulle argille dei calanchi e sull’alternanza di arenarie e marne che vengono a giorno nella parte montana dei corsi fluviali come il Santerno e il Senio. Tra i primi e più importanti scienziati che si sono occupati dello studio geologico approfondito e puntuale della valle del Senio va ricordato l’imolese Giuseppe Scarabelli (1820-1905). E’ evidente che in passato la necessità di tutela dei siti non fosse così pressante come oggi e che, al contrario, ricoprisse un ruolo determinante la “scoperta/conoscenza” degli aspetti geologici del territorio, modificato dall’uomo ma con strumentazioni assai meno invasive di quelle attuali. Scarabelli ebbe un’idea profondamente innovativa nel momento in cui pensò di raccogliere gran parte delle proprie scoperte scientifiche in un’agevole guida per “il viaggiatore geologo” (1860). In essa il viaggiatore veniva (e viene) invitato a visitare i luoghi degli studi scarabellani (affioramenti, cave, musei), dei quali lo scienziato evidenziava non solo l’aspetto strettamente geo-scientifico, ma anche quelli storici, archeologici e paesaggistici: introduceva quindi il concetto di geosito considerandolo in tutte le sue sfaccettaure, un bene geologico inserito nel territorio e nella sua storia passata e attuale e non distaccato da esso. L’idea scarabelliana è esemplificata in modo molto chiaro analizzando i siti indicati a proposito della valle del Senio: “Escursione a Casola Valsenio. A Riolo acque minerali. A Rivola Caverna detta del Re Tiberio, nel gesso. In questa furono ritrovati Selci ed ossa lavorate, moltissimi vasetti in terra cotta ed ossa di animali domestici. Ai Crivellari, Selci con fossili nel gesso. Presso la Casa Fernian deposito di calcare incrostante fontigenico con Ossa Umane e filliti”.
A partire dalla seconda metà del ‘900, la voce dominante della “triade” conoscenza-tutela-valorizzazione che sintetizza lo studio sul patrimonio geologico diventa la “tutela”: la necessità di individuare i beni geologici è strettamente connessa ad un’esigenza primaria di proteggerli dalla loro distruzione, sia essa naturale o antropica.
E oggi qual è il concetto di bene geologico?
In primo luogo nella maggior parte dei casi non ci troviamo più nella fase della “scoperta” completamente nuova delle caratteristiche geologiche di un sito.
Poi il concetto della necessità di tutelare i beni naturali (inclusi quelli geologici) appare abbastanza diffuso, anche a livello amministrativo e legislativo. Ma frequentemente questa idea si ferma ai “buoni propositi” dei singoli o all’approvazione di leggi ed emendamenti da parte della politica, lasciando molto nelle mani del volontariato e delle associazioni.
Si può allora affermare che, giunti a questo livello culturale, ci troviamo a dover lavorare nella direzione di una “geoconservazione” nel senso indicato da Wimbledon (uno dei “padri” delle più moderne teorie sui geositi). “La geoconservazione ha bisogno del più ampio riconoscimento tra il pubblico, ma necessita anche di una base pratica e tangibile: la conservazione del sito (che include: la motivazione, la selezione, la protezione, la gestione, la pubblicizzazione e il coinvolgimento del pubblico) in ultima analisi costituisce la finalità essenziale. A tal fine è necessario che, al sito che si vuole conservare, venga attribuito un significato che possa essere considerato interessante per la più ampia fascia di persone. […] La geodiversità è la base della biodiversità. Tuttavia, nella maggior parte del mondo, la risorsa geologica non è ancora valutata in tal modo e, quindi, prima di attuare la conservazione è necessario arrivare al suo riconoscimento attraverso la sensibilizzazione delle istituzioni, del mondo accademico e della società più in generale”.
Quindi il bene geologico potrà rendere esplicite tutte le proprie qualità scientifiche e culturali, per le quali merita di essere conservato, nel momento in cui la collettività (e non solo gli scienziati) sarà in grado di leggerne la “storia” antica e recente. E il “valore” del geosito sarà dato non solo dalla sua qualità scientifica, ma anche dalla sua spettacolarità, dalla sua utilità didattica, dalla maggiore o minore accessibilità, dalla vicinanza a centri-visita, e da tutti quegli elementi che lo rendono interessante anche a un pubblico costituito da “non specialisti”.
In quest’ottica, nella vallata del Senio, si possono riconoscere vari geositi con differenti valenze. Sarà a tutti chiara l’importanza scientifica della dorsale di Monte Mauro, con le sue splendide doline e l’esposizione spettacolare dei banconi gessosi (foto 1) mentre nell’area di Monte Tondo, con la famosissima Tana del re Tiberio citata da Scarabelli, all’aspetto strettamente geologico del carsismo si affiancherà quello archeologico della sua antica frequentazione umana. E lo stretto rapporto tra la geologia e l’uomo si ritrova al borgo dei Crivellari, con gli antichi muri realizzati con il gesso prelevato in loco.
Come esempio di geosito didattico (che potrebbe a pieno titolo essere riportato su un volume per studenti di geologia...) si può citare la parete verticale incisa dal Senio nella Formazione Marnoso-arenacea, proprio di fronte al nucleo urbano di Casola Valsenio (foto 2) nella quale si osserva una faglia che ha letteralmente tagliato e spostato gli strati che in origine erano in continuità. E una particolarità di quella stessa ritmica sequenza di arenarie e marne, che si trova in genere solo con una leggera inclinazione, si osserva presso Mercatale (foto 3 e 4): dove gli strati sono in posizione verticale, a testimonianza delle potenti spinte subite in seguito ai movimenti della crosta terrestre.
Rientrano poi tra i geositi anche alcuni terrazzi alluvionali creati dall’escavazione e deposizione del Senio, come pure alcuni anfiteatri calanchivi particolarmente spettacolari o con un peculiare contenuto di fossili.
L’osservazione attenta del territorio, accompagnata a una più diffusa conoscenza geo-scientifica, potrà portare in futuro all’individuazione di nuovi “luoghi della geologia”. E questo risultato non si potrà raggiungere senza l’apporto fondamentale di chi “vive il territorio”.
Stefano Mariani