Da giornalista poco serio quale sono incontro Claudio in un tiepido pomeriggio di ottobre e dal finestrino abbassato della mia Punto gli chiedo se può lasciarmi un’intervista nei giorni successivi. Lui gentilmente rimanda il tutto di una settimana lasciandomi il suo numero di cellulare.
Purtroppo faccio passare alcuni giorni senza chiamare e i giorni seguenti non alzo la cornetta del telefono per un senso di vergogna duvuto al fatto di avere dato l’impressione di avere una gran fretta che poi si è rivelata essere totalmente falsa.
La situazione di stallo però trova rimedio in una delle occasioni più improbabili per un’intervista, ovvero il sabato sera allo speleo bar del frastuono, proprio mentre mi aggiro tra gli stand in compagnia della mia solita combriccola e di qualche bel bicchiere di vino rosso incontro Claudio seduto ad un tavolo. Senza indecisioni mi fiondo di fronte a lui e gli chiedo scusa per la mancata intervista che di fatto ha inizio in quel preciso momento.
Claudio è un tipo paziente, non spreca molte parole, sembra sempre assorto nei suoi pensieri e la sua timidezza suona strana in mezzo al vociare del tendone. Io invece mi getto a capofitto a parlare e straparlare del suo libro, forse sparo anche qualche baggianata ma tra abbondanti sorsate di rosso il mio intento è quello di comunicare ciò che ho provato nell’affrontare le pagine della sua ultima fatica Gardo Mongardo alla fine del mondo, un libro a cui Claudio tiene molto.
Un romanzo che speriamo abbia una vita diversa da quella che sta vivendo adesso perchè Claudio se lo è stampato a proprie spese dopo il rifiuto da parte di alcune case editrici e ovviamente dopo la rinuncia a una distribuzione anche solo grossolona.
Ma Claudio con il suo Gardo Mongardo sta provando a farsi strada tra gli addetti ai lavori, trovando consensi e critiche positive tra i compagni della Nazionale Scrittori... piccole soddisfazioni che senza dubbio gratificano ma che forse rimangono un po’ soffocate dalla delusione di non poter essere letto da un buon pubblico. (Un rischio comunque che ogni scrittore si addossa nel momento stesso in cui decide di scrivere.)
Io il libro me lo sono comprato, me lo sono letto e nonostante all’inizio abbia faticato ad entrare nel ritmo sono arrivato alla fine. Cosa dirne? Credo che Gardo possa trovare altri lettori che abbiano voglia di spingersi nel turbine della sua storia, che abbiano voglia di addentrarsi in un’avventura che Carlo D’Amicis nell’introduzione al romanzo sintetizza così: “Attraversare di corsa eppure zoppicante i ponti che legano Parigi a Rio, Bahia a Cannes, Barcellona a New York, Las Vegas a Los Angeles, Città del Messico a L’Avana, fino alla fine del mondo, il suo approdo è anche il nostro di lettori, sballottati come picari da un angolo all’altro del pianeta, tra lo sfavillio di un party con Nick Nolte e Uma Thurman e squallidi ricoveri, in quell’angusto spazio che c’è tra cielo e fango, tra la miseria umana e l’apoteosi, tra la libido più bestiale e la poesia. All’interno di questo spazio, grazie a una scrittura densa, compressa, quasi esplosiva, Claude riesce a farli tocacre, a congiungerli, quasi a fonderli, questi estremi, con uno stile che tiene insieme la tragicità e l’allegria del vivere, il buio e la luce, l’inferno e la redenzione.”
Quando mi alzo dal tavolo saluto Claudio incoraggiandolo a tentare altre strade per trovare un editore per Gardo Mongardo, lo ringrazio per le chiacchere piacevoli, mi guardo intorno e vedo una bolgia infernale che odora di vino, grappa, di sigari cubani, vedo giovani e vecchi ballare e divertirsi, una scena che non starebbe male nel romanzo anche se allo speleobar tutto è diverso, tutto ha una sua primitiva bellezza.

Riccardo Albonetti
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