Sarebbe il giusto tempo per le celebrazioni.
Dieci anni fa, nel dicembre del 1996, uscì il primo numero dello Spekki(ett)o. Anzi era il numero zero, pubblicato proprio in un’occasione celebrativa come il primo raduno dei vecchi Scouts casolani. Conteneva articoli, guarda caso, celebrativi, in cui i vecchi grandi capi e i nuovi giovanotti intraprendenti (ormai, oggi, ex giovanotti) ricordavano il momento in cui gli era frullata in mente l’idea di (ri)costituire un gruppo scout in un paese che conta poche anime ma che ha sempre, sorprendentemente, risposto in maniera esaltante a quelle che potevano sembrare idee folli.
Altra data storica. Quarant’anni fa (circa, non stiamo a guardare i mesi in quella che ormai, per i tempi moderni, è una specie di era geologica), nel febbraio ’67, usciva il primo numero dello Specchio. Evento giustamente celebrato e ricelebrato, di cui abbiamo letto tante volte e dietro cui stanno mille altri racconti di 30 anni (anche qui, lo dico ai più pignoli, ho volutamente evitato il quasi) di onorata carriera giornalistica: il fascino di quell’unica nottata passata in “redazione” a far girare il ciclostile, l’odore dell’inchiostro nella “strange room” delle Suore, la rivalità acerrima col Senio, ecc.
A proposito, potremmo anche celebrare, per esempio, l’onorevole caduta dei “fogli” concorrenti che si sono avvicendati di fronte a noi, per conflitti più o meno aspri, ironici, intelligenti, pretestuosi. Ma ce la risparmiamo (almeno in questo articolo, in altre forme… beh, adesso vedremo) consci che tanto non otterremmo alcuna risposta e allora che gusto c’è.
Cos’altro aggiungere, se non che abbiamo appena celebrato i 50 anni di sacerdozio dell’Arci, che sono più o meno coincisi con i 40 della sua presenza a Casola? Praticamente l’“Arci casolano” ha la stessa età dello Specchio.
Vogliamo forse anche dire che a gennaio lospekkietto.it compie tre anni? No, anche se nell’universo internettiano tutto passa e si sfalda alla velocità della luce, ci sembra ancora troppo presto per il “Ti ricordi quando Kekko spinse il tasto che spedì in rete il nostro sito?” Quando, fra anni e anni, celebreremo nella maniera dovuta questo evento, ci accorgeremo che, dal ciclostile a Internet, il mondo si era rivoluzionato ma chi lo faceva girare (il mondo o il ciclostile? Ognuno di voi scelga in base alla propria preferenza fra inclinazioni evocativo-celebratorie e tendenze ironico-dissacratorie) era sempre in quella stessa stanza parrocchiale. Quasi dimenticavo, fra il ciclostile e Internet, c’è stata anche la Rotaprint, guarda caso oggetto dell’ultima celebrazione rievocativa comparsa su queste pagine.
Insomma, la celebrazione nella stragrande maggioranza dei casi implica il ricordo e dunque uno sguardo verso il passato. Ma per avvertire la presenza degli anni che passano non ho bisogno di ricordare momenti esaltanti o a modo loro storici. Mi basta pensare che in una certa mansarda adesso dorme (spero tanto) Damiano, che nonostante abbia già qualche mese di vita non ha ancora trascorso sotto quel tetto lo stesso numero di nottate che ci ho fatto io davanti a un computer ad osservare le dita di suo padre viaggiare sulla tastiera, discutendo con lui e mangiando crackers e cioccolata sulle note di Elio (quello delle storie tese, lo dico per dare un indizio in più, vedete come sono le celebrazioni, senza le adeguate precisazioni fra 20 anni – quando di Elio e le storie tese non si ricorderà più neanche il per noi leggendario “caratiamo-misentoconfusa” – Damiano leggendo quest’articolo non avrebbe mai potuto ricostruire quale musica allietasse le dure nottate spekkiettare di suo padre e del babbo di… vabbè, basta così, però immaginare le celebrazioni future degli eventi presenti è divertente come esercizio). E, se dopo questa parentesi chilometrica riuscite a ritrovare il filo, in quella mansarda là vive anche Fede che comparve, ancora bambina e tutta agghindata in stile Guida Perfetta, su una delle prime copertine (forse il n. 2?) dello Spekki(ett)o.
Caso, segni del destino, magiche coincidenze.
Kekko e Fede mi perdoneranno se da 20 righe li ho messi in mezzo, ma non si tratta solo di un discorso di affetto, nostalgia o sentimenti (e quindi di un’abile strategia di marketing per strappare due lacrime di commozione). Continuo ancora un po’ a imbrattare di inchiostro la nostra famigliola perché Damiano (e con lui gli altri figli di spekkiettari, ma non li cito o perché non hanno ancora un nome o perché altrimenti cadrei in una sorta di conflitto d’interessi familiare) incarna e simboleggia ciò che oggi è, allo stesso tempo, il nostro problema e la stupenda meta verso cui incamminarci: il futuro.
Vedete qual è il problema. Ho iniziato l’articolo dicendo che “sarebbe” il giusto tempo per le celebrazioni. L’uso del condizionale poteva fare pensare che invece non ne avrei fatte, di celebrazioni. Invece continuo a rivangare il passato e quanto è stato bello. Ma la questione è che deve essere bello il futuro. Di tutti, certo, nel caso specifico dello Spekki(ett)o. Sarà possibile costruirgli un bel futuro? Sarà possibile costruirgli un futuro?
Dipende in buona parte da noi, in un’altra buona parte dagli eventi della vita che noi non possiamo controllare. Dipende anche da condizioni esterne, come cambia il mondo, si dice sempre che i giovani di oggi se ne fregano di tutto, non si impegnano in niente, hanno talmente tante distrazioni che non riescono più a guardare quello che sta a due metri da loro, non hanno carattere. Però: dicevano le stesse cose di noi quando avevamo 15-16 anni, me lo ricordo. Però: ci sono sedicenni che vincono un mondiale di ginnastica con una tenacia, una passione e una potenza che noi ce le sogniamo seduti davanti al nostro computer in ufficio. Ripeto: in buona parte dipende da noi.
L’apertura del sito è stato un modo per tendere verso questo futuro, per trasformare quello che può essere un problema in un luogo da raggiungere e verso cui tuffarsi. E’ stato anche un modo (va detto senza problemi) per sopperire alla difficoltà della confezione di un prodotto cartaceo. E’ stato, secondo noi, il modo giusto per continuare a svolgere un servizio per Casola. E Casola ha risposto bene, lo abbiamo detto più volte, approfittando dell’occasione che gli veniva offerta e addirittura creando, sulla base del modello, nuovi luoghi di discussione. Servono però anche le persone che stiano dietro un progetto del genere, perché sono le persone che hanno le idee senza le quali le macchine non servirebbero a niente.
Ci sono sempre momenti di ricambio generazionale, che possono diventare punti di crisi o di rinnovamento e ritrovata vitalità. Abbiamo avuto qualche anno fa uno di questi passaggi, che fortunatamente ha imboccato la strada giusta e ha rinnovato e rivitalizzato il giornale. Potremmo dire che oggi siamo in una situazione simile? Sì ma forse è la base del discorso che è sbagliata. E’ sbagliato pensare a momenti di stasi ed equilibrio, in cui si è tranquilli e non si sente il problema di modificare il proprio status quo interno, e momenti invece di ricambio, rivoluzione, grandi novità. Bisognerebbe forse vivere – la propria vita personale, la vita collettiva di un gruppo come la nostra redazione, la vita sociale di un luogo, sia esso Casola o New York – sul filo di una continua tensione positiva, con lo sguardo che mai si fermi a contemplare il presente o, appunto, celebrare il passato. O che perlomeno quegli sguardi dietro le spalle diventino sempre stimolo, assorbimento di esempi positivi per la strada che ci sta davanti.
Comprare una macchina da scrivere invece che farlo a mano, l’acquisto di un ciclostile, la sostituzione di questo con una vera macchina da stampa, prima piccola poi un po’ più grande, sbarcare in rete e iniziare a fare uso della stampa digitale: sono tutte azioni rivolte al futuro che hanno permesso 40 anni di sopravvivenza al giornale. Anzi, 40 anni di vita. Non so quale sarà il prossimo grano che si aggiungerà al rosario della nostra evoluzione tecnologica. So però, ed è quello che conta, che ogni innovazione è stata ideata, messa in atto, vissuta con entusiasmo, da un gruppo di persone. Anzi, di amici. Anzi, di giovani amici.
Siamo ancora abbastanza “giovani”? Per adesso di sicuro è che stiamo iniziando a “produrre” i giovani del futuro. Passeremo loro il testimone senza fratture? Oppure Damiano, Samuele, Pietro, Francesco (stavolta li cito), Teresa/Giovanni (chi è? Speriamo che sia femmina viene da dire, almeno per cambiare un po’) dovranno ricominciare tutto daccapo? In ogni caso, leggeranno gli articoli in cui i loro padri (o nonni) celebravano gli inizi delle loro avventure per avere stimoli a intraprendere le proprie? Se così fosse allora tutte le nostre celebrazioni avrebbero avuto un senso. Se così fosse, lo giuro, fra 20 anni scriverò un articolo in cui celebrerò le celebrazioni.
Michele Righini