«La Brigata combattè in Italia dal 3 marzo al 25 aprile 1945. Solo poco più di 7 settimane fu dato ai soldati ebrei di combattere realmente contro il nemico, dopo cinque anni, finalmente fu concesso alla Brigata Ebraica – unica al mondo – con la sua bandiera di scontrarsi faccia a faccia con il nemico e di combattere per 54 giorni, però non ci fu concesso di inseguire il nemico in fuga».
La millenaria storia degli Ebrei ha in più momenti sfiorato il paradosso e la surrealità e le parole di Jack Levy appena citate ne danno un’ulteriore conferma. Al popolo ebraico, che più di tutti gli altri dovette subire le crudeltà dei nazisti, venne impedito di combattere in maniera indipendente e libera la guerra contro quei nemici che avevano progettato il loro sterminio di massa. Questo il messaggio più forte (anche perché ripropone temi sempre di attualità) che esce dal nuovo libro di Romano Rossi, La Brigata Ebraica: fronte del Senio 1945 (Bacchilega editore), in cui si raccontano nel dettaglio le operazioni militari che nell’aprile del ’45 portarono alla liberazione, dopo 127 giorni di stallo, di Riolo e Imola e che sancirono la definitiva sconfitta dell’esercito tedesco. A queste battaglie prese parte anche la piccola Brigata Ebraica che prima era stata formata solo pochi mesi, diede un apporto decisivo durante gli scontri ma venne fermata dal comando militare inglese subito dopo la Liberazione del nostro paese. I compiti successivi che a quegli uomini furono affidati, in particolare quello di aiutare gli Ebrei del Nord Italia, risarcirono solo in parte la frustrazione per non avere potuto combattere interamente una guerra che aveva mietuto il numero maggiore di vittime proprio fra il popolo ebraico. Accanto alle operazioni militari che interessarono la zona di Riolo, Romano Rossi ricostruisce infatti anche le difficoltà che gli Ebrei incontrarono per formare un proprio corpo di combattimento. Molti di essi naturalmente erano sparpagliati negli eserciti alleati (soprattutto americano, inglese e canadese), ma l’ambizione dichiarata dei massimi rappresentanti del Movimento Sionista era quella di formare un nucleo combattente interamente ebraico e dotato di una certa autonomia. Le speranze dei molti volontari che si proposero vennero però frustrate per 5 anni dai tentennamenti dell’Inghilterra che in quel momento aveva il compito di controllare il già bollente territorio palestinese e non vedeva di buon occhio il rischio che si formasse un pur piccolo esercito israeliano. Solo nel settembre del 1944 la Brigata Ebraica venne costituita ufficialmente e dopo qualche mese si ritrovò sul fronte italiano, prima nella zona di Alfonsine poi nei nostri paraggi, con una propria bandiera anche se inglobata nell’esercito inglese.
Una storia al tempo stesso paradossale e paradigmatica della millenaria vicenda di questo popolo da sempre costretto a combattere per sopravvivere. Una storia che Romano Rossi racconta con dovizia di particolari, mescolando diverse forme documentarie: dal racconto degli eventi che apre il volume a brani del diario della Brigata, da stralci di memorie di chi quegli eventi li ha vissuti in prima persona a un corredo fotografico di grande interesse. Tutti strumenti che costantemente ripropongono la duplicità del percorso da intraprendere per comprendere una pagina così particolare della Seconda Guerra Mondiale: da una parte gli eventi bellici e dall’altra quelli politici che spesso coi primi configgono. Non sempre quello che potrebbe risultare più utile sul campo di battaglia risulta di uguale importanza per chi gestisce le operazioni nelle stanze dei bottoni, una massima che permette di leggere molti eventi della storia di ogni tempo e che continua a trovare conferme in episodi di ogni tipo.
Come sempre poi il libro riporta a galla lo stupore che mi coglie ogni volta che mi soffermo a pensare a quale grande evento abbia sfiorato i nostri luoghi. Non avendo vissuto quel momento, avendo anzi sempre vissuto Casola come la periferia più dimenticata dei grandi traffici, mi stupisco sempre nel sentire nominare i luoghi a me familiari in documenti scritti da persone di ogni origine e provenienza. Pensare che ancora oggi qualche anziano abitante di Israele (o dell’India, o degli Stati Uniti o, naturalmente, della Germania extra Bartholomae) ricorda il nome di Casola, di Monte Battaglia, di Riolo e Cuffiano, mi crea sempre un leggero stupore. Tempo qualche anno e queste memorie verranno del tutto perdute in quei paesi così lontani, o rimarranno prigioniere di qualche dimenticato documento o di una lapide come quella che oggi a Riolo ricorda il passaggio della Brigata Ebraica. Così funziona il tempo e noi non possiamo fare altro che cercare di congelarlo in libri come questo di Romano, che in quanto storico si assume la funzione di tramandare gli eventi del reale e che speriamo abbia la voglia e la pazienza necessaria per continuare queste ricerche spesso così difficili.
Due brevi riflessioni per chiudere, la prima delle quali vuole essere un consiglio e non un rimprovero: una maggiore cura stilistica delle parti di racconto e analisi degli eventi renderebbe decisamente più godibile la lettura, aspetto non secondario anche in un’opera che più che la bella pagina ricerca la sostanza e l’utilità del contenuto. Le due cose non devono essere disgiunte, mi sembra anzi indubitabile che una forma corretta e piacevole contribuisca in maniera determinante a veicolare dati, riflessioni e messaggi.
La seconda riflessione riguarda l’apparato iconografico che costituisce uno degli aspetti più interessanti del libro. Banale detta così, ma solo fino a un certo punto, perché la foto non è solo curiosa e “intrigante” perché in quanto immagine colpisce in maniera molto più diretta del testo scritto. La foto ha il pregio di trasformare le Brigate in uomini, i Reggimenti in individui, gli Eserciti in persone. La figura che vedi ritratta non è più una serie di numeri, dalla sua matricola alla compagnia in cui combatte che a sua volta è inserita in una brigata e in un battaglione e chissà in cos’altro e chissà se questo è l’ordine giusto. Quello che vedi ritratto è il volto di un uomo, bello brutto alto basso magro grasso coi baffi la barba i muscoli la pancetta il naso aquilino all’insù biondo rosso moro. Un uomo che, qualunque siano i suoi connotati fisici, assomiglia a te.
Michele Righini
Una storia al tempo stesso paradossale e paradigmatica della millenaria vicenda di questo popolo da sempre costretto a combattere per sopravvivere. Una storia che Romano Rossi racconta con dovizia di particolari, mescolando diverse forme documentarie: dal racconto degli eventi che apre il volume a brani del diario della Brigata, da stralci di memorie di chi quegli eventi li ha vissuti in prima persona a un corredo fotografico di grande interesse. Tutti strumenti che costantemente ripropongono la duplicità del percorso da intraprendere per comprendere una pagina così particolare della Seconda Guerra Mondiale: da una parte gli eventi bellici e dall’altra quelli politici che spesso coi primi configgono. Non sempre quello che potrebbe risultare più utile sul campo di battaglia risulta di uguale importanza per chi gestisce le operazioni nelle stanze dei bottoni, una massima che permette di leggere molti eventi della storia di ogni tempo e che continua a trovare conferme in episodi di ogni tipo.
Come sempre poi il libro riporta a galla lo stupore che mi coglie ogni volta che mi soffermo a pensare a quale grande evento abbia sfiorato i nostri luoghi. Non avendo vissuto quel momento, avendo anzi sempre vissuto Casola come la periferia più dimenticata dei grandi traffici, mi stupisco sempre nel sentire nominare i luoghi a me familiari in documenti scritti da persone di ogni origine e provenienza. Pensare che ancora oggi qualche anziano abitante di Israele (o dell’India, o degli Stati Uniti o, naturalmente, della Germania extra Bartholomae) ricorda il nome di Casola, di Monte Battaglia, di Riolo e Cuffiano, mi crea sempre un leggero stupore. Tempo qualche anno e queste memorie verranno del tutto perdute in quei paesi così lontani, o rimarranno prigioniere di qualche dimenticato documento o di una lapide come quella che oggi a Riolo ricorda il passaggio della Brigata Ebraica. Così funziona il tempo e noi non possiamo fare altro che cercare di congelarlo in libri come questo di Romano, che in quanto storico si assume la funzione di tramandare gli eventi del reale e che speriamo abbia la voglia e la pazienza necessaria per continuare queste ricerche spesso così difficili.
Due brevi riflessioni per chiudere, la prima delle quali vuole essere un consiglio e non un rimprovero: una maggiore cura stilistica delle parti di racconto e analisi degli eventi renderebbe decisamente più godibile la lettura, aspetto non secondario anche in un’opera che più che la bella pagina ricerca la sostanza e l’utilità del contenuto. Le due cose non devono essere disgiunte, mi sembra anzi indubitabile che una forma corretta e piacevole contribuisca in maniera determinante a veicolare dati, riflessioni e messaggi.
La seconda riflessione riguarda l’apparato iconografico che costituisce uno degli aspetti più interessanti del libro. Banale detta così, ma solo fino a un certo punto, perché la foto non è solo curiosa e “intrigante” perché in quanto immagine colpisce in maniera molto più diretta del testo scritto. La foto ha il pregio di trasformare le Brigate in uomini, i Reggimenti in individui, gli Eserciti in persone. La figura che vedi ritratta non è più una serie di numeri, dalla sua matricola alla compagnia in cui combatte che a sua volta è inserita in una brigata e in un battaglione e chissà in cos’altro e chissà se questo è l’ordine giusto. Quello che vedi ritratto è il volto di un uomo, bello brutto alto basso magro grasso coi baffi la barba i muscoli la pancetta il naso aquilino all’insù biondo rosso moro. Un uomo che, qualunque siano i suoi connotati fisici, assomiglia a te.
Michele Righini