Qualche giorno addietro, più di un giornale ha dedicato un certo spazio alla notizia, riportata per bocca del governatore della regione Abruzzo, su uno sfortunato incontro tra il presidente Ciampi ed alcuni imprenditori locali. L’incontro, svoltosi all’insegna delle ineguagliabili qualità di alcuni salumi e formaggi, nonché del favore incontrato dalla rispettive sagre, avrebbe provocato il disappunto del presidente, che dopo avere inutilmente cercato di portare la discussione sullo stato della ricerca ed innovazione nei locali atenei, avrebbe sbottato come fosse incredibile che l’avessero chiamato per parlare solo di tali cose.
Di un tale aneddoto, non è tanto l’aderenza ai fatti che appare interessante, quanto gli spunti che mette in campo per riflettere su un nuovo paradigma circa le risorse ed il patrimonio. Questi giorni cadono le giornate europee dei patrimoni, ma il problema centrale è cosa si debba intendere e comprendere in quel concetto di heritage che sempre più appare indefinibile e onnivoro. Senza prendere in considerazione quella parte di ‘patrimonio’ composto da beni ambientali di tipo botanico, zoologico, geologico, allo stato attuale, gli ultimi aggiustamenti ci hanno consegnato un ministero dei beni culturali le cui competenze dovrebbero abbracciare i beni storico-artistici, archeologici ed etno-antropologici, nonché strizzare l’occhio al paesaggio quale ‘bene’ prodotto e quindi tutelabile in senso culturale. Se in questa prospettiva può sembrare ancora facile definire cosa possa dignitosamente e doverosamente definirsi parte del ‘patrimonio’, avendo in mente musei archeologici, pinacoteche e critici d’arte, dobbiamo invece prendere atto che la cosa non è più così lineare. Sarà stata colpa dell’eccesso di produzione seriale, del post moderno, o dell’attuale virtualità delle comunicazioni, fatto sta che nell’idea di patrimonio la supremazia dell’oggetto quale bene materiale e tangibile sta rapidamente perdendo terreno a vantaggio dell’idea di bene intangibile, fortemente legato all’idea di sapere o di processo. L’Unesco sta in questa prospettiva raccogliendo dati e candidature per stilare una lista di eventi sociali, festivi e rituali, da dichiarare patrimonio dell’umanità e che affiancheranno le ben note liste di beni archeologici ed artistici. Ma non solo, in quanto la stessa organizzazione riconosce il valore di patrimonio vivente anche ad esseri umani portatori di particolari abilità artigianali, narrative, performative, nella prospettiva dell’importanza che tali persone rivestono nel processo di trasmissione di questo sapere.
Tutto questo nella prospettiva che gli elementi immateriali concorrano potentemente al processo di identificazione interno ad ogni gruppo umano. Sotto questa luce i formaggi degli imprenditori abruzzesi conquistano facilmente un dignitoso spazio nel gran libro dei beni da salvaguardare, ed in quanto parte di una filiera socio-economica, anche uno spazio virtuoso. Il problema nasce tutto nell’abuso di questa idea complessa di patrimonio. Che il cibo rientri, non come oggetto, ma come materializzazione momentanea di conoscenze, saperi, equilibri e transazioni, nell’ambito dei patrimoni, appare ormai un’idea diffusa ed in buona parte accettata. Quello che sfugge è che la dignità di essere patrimonio non è conferita in merito del suo carattere alimentare e commestibile, ma proprio in qualità di risultato dei processi immateriali di estrema complessità che vi stanno attorno. Dimenticare di coniugare all’aspetto anche virtuosamente economico, momenti di riflessione critica proprio sulla natura di questi ingradienti immateriali, snatura e rende impossibile ogni idea di patrimonializzazione. Tutto questo appare esemplare per esempio nel processo avviatosi nella provincia di Parma intorno ad alcuni prodotti d’eccellenza. Il conferimento dell’autorità europea per il cibo proprio a questa provincia espressamente in relazione alla lavorazione delle carni suine, ed alla produzione di parmigiano, ha innescato un processo che grazie alla realizzazione di una rete di tre Musei del Cibo, quali momenti di riflessione critica, ha permesso di aggiungere alle qualità di ‘bene gastronomico’ il carattere del vero e proprio ‘bene culturale’. Il tutto in un processo che permette di fruire del bene sia sotto l’aspetto economico che sotto quello intellettuale. Se è vero che nell’idea di un patrimonio immateriale trovano spazio eventi festivi e le più varie forme di manifestazioni sociali, perché questi elementi diventino parte di un patrimonio collettivo e non di campanile, si deve innescare un processo di confronto ed autoriflessione sull’evento stesso che permetta una contestualizzazione ed una lettura dello stesso in una prospettiva più ampia ed organica. L’idea stessa d’identità, o meglio l’insieme di tutti quei processi che concorrono costantemente a definirne una forma temporanea, è forse il più importante dei beni immateriali e meriterebbe oggi più che mai una riflessione critica che ne permetta una corretta messa in patrimonio. Proprio in questa direzione sembra per esempio essersi mossa l’idea del museo del Te.Po.Tra.Tos. , ovvero del teatro povero tradizionale toscano di Montichiello. In questo caso a diventare bene e patrimonio è il processo che ha portato dagli anni ’70 un folto gruppo di abitanti del piccolo paese di Montichiello, a praticare una forma di teatro sociale che mettesse in scena la comunità stessa, l’idea che ha del suo passato nonché del suo futuro. Un’esperienza comunitaria che ha fatto della rappresentazione teatrale una vera agorà politica, e che come tale permette di seguire le tensioni e gli intrecci che una piccola comunità affronta e le risposte che è in grado di darsi. Ma una tale esperienza diviene patrimonio grazie ad un ulteriore livello di riflessione, cioè nel momento in cui viene condotta a specchiarsi per riflettere su se stessa, ed essere in questo modo anche in grado di dialogare con altre esperienze. E’ solo in questa prospettiva che l’idea di un patrimonio vasto ed immateriale che abbraccia ampia parte dell’operatività umana assume un senso compiuto, solo in questa prospettiva una rappresentazione di strada assume un valore meritevole di essere salvaguardato, solo così un formaggio non è solo qualcosa da mangiare, ma anche qualcosa da conoscere.
Andrea Benassi