Conosciuta anche come 'grotta dei banditi', la cavità, che si apre sulla cresta di Monte Mauro, è abbastanza nota a Casola, come dimostra anche un bell'articolo uscito proprio sullo Specchio oltre quarant'anni fa. Nell'articolo si legge infatti come l'uscita, organizzata dal gruppo Scout, coinvolse oltre quindici ragazzi, che non solo visitarono la grotta, ma realizzarono anche un bel rilievo della stessa 'per farla conoscere ai casolani'.

Nella grotta è facile fin dall'ingresso riconoscere diversi lavori d'adattamento: nicchie sulle pareti, vaschette ecc. Quest'evidenza ha portato negli anni ad alcuni saggi di scavo per verificare la presenza di tracce e resti archeologici, scavi poi raccontati in diversi articoli dal Bentini. E' noto che gli stessi portarono ad accertare una notevole frequentazione della grotta, con tracce che partono dall'età del bronzo, una frequentazione protrattasi, a fasi alterne fino al periodo della Roma imperiale, come testimonia il ritrovamento di una chiave romana in bronzo. Una presenza questa, che nessuno si era posto il problema di spiegare in modo convincente.
Le nuove scoperte archeologiche nella Vena del Gesso, forse stanno gettando nuova luce anche su una parte della storia di questa grotta. La cavità si apre quasi a metà di una parete, vi si accede da una piccola cengia e apparentemente si sviluppa impostata su una grande frattura, apparentemente sembra un buon posto per nascondersi in un luogo inaccessibile, ma le cose cambiano se si guarda anche attorno a quella stessa parete. Appena sotto, si trova infatti la 'grotta di Venere', una piccola cavità completamente scavata, e sempre nell'arco di poche decine di metri, si trovano almeno altri tre siti con tracce di scavo, tutti evidentemente impostati su fratture della parete. Lo stretto sentiero che conduce alla grotta dei partigiani, sebbene sfrutti una cengia naturale, è fortemente adattato e scavato, dall'ingresso della grotta non è difficile immaginare che lo stesso sentiero potesse continuare fino a scendere alla base della parete, distante poco più di una decina di metri, proprio in corrispondenza delle altre tracce di scavo. Le modalità di scavo di questi siti, somigliano molto alle tracce che abbiamo identificato in numerose grotte sotto la Pieve di Monte Mauro, grotte ormai accreditate come miniere romane di Lapis Specularis. Neanche a farlo apposta, anche nell'area sotto la grotta dei partigiani si rinvengono delle lastre di Lapis, il cui scavo era praticato proprio partendo dalle grandi fratture ben visibili nelle pareti. In questa luce, almeno la frequentazione 'romana' della grotta e forse anche parte delle tracce attualmente visibili all'interno della stessa, assumono una nuova prospettiva. La grotta potrebbe essere stata infatti ricovero proprio dei 'minatori' incaricati di scavare quella zona di parete, ma non è escluso che la stessa possa essere stata in parte luogo d'estrazione.
A prescindere dalla sua frequentazione precedente, nulla possiamo dire circa il periodo in cui furono scavate molte delle tracce presenti sulle pareti, nonché in alcuni cunicoli. Alcuni segni, si presterebbe però ad una interpretazione di questo tipo, in particolare una serie di tacche, scavate sulle pareti, a distanza regolare, a varia altezza fino al soffitto. Questa tipologia di scavo, che ormai chiamiamo 'pedarola' l'abbiamo ritrovata in moltissime grotte dove veniva praticata l'estrazione del Lapis, e aveva proprio la funzione di 'scalare' le pareti per raggiungere le vene di cristalli, spesso presenti sul soffitto. In questa luce, la grotta dei partigiani potrebbe essere diventata durante il periodo romano il punto di riferimento per l'estrazione nell'area, per tornare solo successivamente un ricovero ed occasionale nascondiglio. Sono ormai più di venti i siti, sia in grotta che in esterno, dove abbiamo identificato tracce di lavorazione ed estrazione, eppure con molto probabilità si tratta solo di una parte delle tracce nascoste tra le pareti di gesso. Ogni uscita ne aggiunge di nuove, e sebbene molte siamo ormai nascoste dai detriti accumulati nel corso dei secoli è sempre più evidente che ogni angolo della Vena è stato in passato oggetto d'esplorazione e ricerca.

Società Speleologica Saknussem
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