Lo scrittore romano Lucio Columella, ci racconta nel suo famoso trattato De Re Rustica sull'agricoltura romana, come l'imperatore Tiberio fosse ghiotto di una particolare zucca proveniente dall'asia minore chiamata cucumis, forse il nostro attuale cocomero, e di come ne volesse mangiare in ogni stagione.
Incaricati di risolvere questo problema gli agronomi dell'epoca pensarono di costruire delle cassette di legno, montate su ruote, da usare come vasi, dove piantare le piantine, e di ricoprirle di lastre di lapis specularis, la pietra traslucida che da pochi anni aveva fatto la sua comparsa, una pietra che avrebbe fatto passare la luce e allo stesso tempo protetto dal freddo. Era nata l'idea e la tecnologia alla base della coltivazione in serra. L'episodio viene quindi ripreso anche da Plinio, lo stesso che ci descrive l'esistenza di questa particolare pietra trasparente e le miniere in Spagna dove veniva estratta. Probabilmente nessuno saprà mai da dove venivano quelle lastre di gesso traslucido, se dalle miniere di Segobriga descritte da Plinio, da quelle forse esistenti in Sicilia, o dalle miniere di Monte Mauro. Non sappiamo nulla di quando iniziarono i lavori di estrazione in nessuno di questi siti, ma è lecito immaginare che nell'area della penisola italica, già strutturata e ben controllata dal punto di vista militare e logistico, fosse più facile venire a conoscenza dagli abitanti locali dell'esistenza di una tale pietra e pensare ad un suo sfruttamento minerario, piuttosto che nella provincia Celtiberica della Hispania, in cui le guerre di conquista terminarono solo nel 17 a.C. ad opera di Ottaviano Augusto, predecessore di Tiberio. Sempre sull'onda della suggestione, si può immaginare che una volta scoperta l'esistenza e l'uso del gesso speculare, nel momento di massima espansione dell'Impero, i prospettori minerari romani si siano incaricati di scoprire giacimenti simili nelle differenti province. Cosa che fecero impiantando attività d'estrazione in Spagna, Tunisia, Turchia e Cipro, o almeno questa è la situazione che Plinio ci racconta essere nel 77 d.C. Forse con le suggestioni è meglio fermarsi qui, almeno per ora, invece sul fronte delle tracce archeologiche, l'area di Monte Mauro si sta dimostrando molto concreta. Da quando Biagio ed io abbiamo identificato la funzione della grotta della Lucerna come cava di Lapis Specularis, era chiaro che non poteva trattarsi di una singola miniera isolata. Come gruppo speleologico Casolano abbiamo quindi pensato di iniziare un progetto di ricerca in tutta l'area di Monte Mauro. I risultati non si sono fatti attendere e già dalle prime ricerche sta venendo fuori che l'intera area a cavallo della Sintria potrebbe essersi configurata come un distretto estrattivo. Oltre alla citata grotta della Lucerna, abbiamo infatti identificato tracce di probabile estrazione in altre 8 grotte. Non sempre si tratta di grandi lavori, a volte solo saggi di scavo, ma quello che sta venendo fuori è che l'intera zona venne sistematicamente esplorata, lasciando tracce sotto forma di scavi, ma anche di tracce di sentieri scavati nelle pareti gessose per raggiungere punti di difficile accesso. Difficile per ora dire quanto sia durato questo fenomeno economico nella nostra area: se il declino sia dovuto all'esaurimento dei filoni estrattivi, come sembra dimostrare l'attuale scarsità del minerale, o anche all'apertura proprio delle miniere Spagnole, dove con sicurezza erano usati schiavi come manodopera. Se da un lato appare ovviamente molto difficile pensare di ricostruire l'orizzonte sociale di un tale fenomeno sulla base di poche tracce, è invece certo che a questo punto si dovranno leggere anche in questa prospettiva i resti e le tracce d'insediamento romano della prima età imperiale presenti nella zona. L'esistenza di un distretto estrattivo organizzato, impone infatti l'esistenza di una serie di strutture esterne di logistica non indifferenti. Dai ricoveri temporanei per i minatori, localizzati nell'area di scavo, a piccoli centri metallurgici per la costruzione e riparazione degli attrezzi di scavo, fino alle strutture di smistamento e trasporto del materiale. In questa luce il gioco si fa quindi interessante e multidisciplinare. Per esempio, nell'area del Parco Carnè pochi anni fa sono stati identificati i resti di un piccolo edificio romano, riconducibile all'inizio del primo secolo dopo Cristo, non una villa Rustica, ma una struttura in parte lignea, più volte ricostruita, edificata direttamente sul gesso. Si tratta dei primi resti romani identificati direttamente sulla Vena, ed ha suscitato un certo scalpore in quanto luogo non particolarmente adatto all'agricoltura oggi come ieri. L'interpretazione si è quindi spostata verso un uso stagionale di tipo pastorale. Assolutamente plausibile, ma a questo punto sarebbe interessante andare a verificare se per caso proprio nell'area del Parco Carnè, in una della tante grotte conosciute o magari in una ancora ignota, non si trovino proprio tracce di attività mineraria. Senza andare troppo lontano attorno alla Chiesa di Castelnuovo esistono due cavità con abbondanti tracce di lavorazione, la cui attribuzione è restata finora incerta sia nell'uso che nella datazione. Come si capisce da queste brevi note, il discorso si sta facendo interessante, come ho già detto, noi come gruppo Speleologico Saknussem abbiamo quindi intenzione di proseguire e divulgare le ricerche e proprio in questa prospettiva rientra l'uscita di domenica prossima alla grotta Lucerna. Ovviamente siamo disponibili a collaborare con chi voglia provare a scoprire qualcosa di nuovo sul nostro territorio e perché no sui cocomeri di Tiberio.
Andrea e Biagio
(Gruppo Speleologico Saknussem)