Wilco – Teatro Pergola, Firenze – Venerdì 13 Novembre 2009.
L’alba di questa serata, era cominciata un po’ di tempo fa. Seduti attorno al tavolino di un bar, mentre si discuteva sugli aspetti che condizionavano le nostre vite. Un amico, mi consigliava di ascoltare quella band, quella musica.
Wilco, il nome di questa band. “A ghost is born”, il titolo di quella musica.
L’alba di questa serata, era cominciata un po’ di tempo fa. Seduti attorno al tavolino di un bar, mentre si discuteva sugli aspetti che condizionavano le nostre vite. Un amico, mi consigliava di ascoltare quella band, quella musica.
Wilco, il nome di questa band. “A ghost is born”, il titolo di quella musica.
Penso che ogni essere umano abbia dentro un vuoto. Un vuoto da riempire, da colmare, con il meglio che si può. L’amore è tutto quello di cui abbiamo bisogno, e la musica, quella che si ama, sai che non ti abbandonerà mai.
L’alba di questa serata era relegata in fondo alla settimana, tra i doveri da sbrigare per non cedere al disordine del mondo. L’alba di questa serata, arrivò il 13 Novembre del 2009.
Accompagnata da quella sottile nebbia che caratterizza il periodo, insieme a quel leggero ritardo che sembra dimenticarsi che tu, quell’appuntamento, lo aspetti da una vita. Wilco in concerto, a Firenze, al Teatro Pergola, uno dei più vecchi e pieno di aria buona.
Per molti non dice niente, ma per qualcuno, è come il passaggio di una stella cometa.
Wilco, sei ragazzi di Chicago che da quasi 20 anni fanno musica. Tutti grandiosi musicisti. Colpiscono in particolare un chitarrista allampanato tra virtuosi e complicati assoli, e Jeff Tweedy, uno che di razza è cantautore e che non ha ancora imparato a fingere la sincerità.
Una band silenziosa, fuori dai circuiti delle grandi distribuzioni musicali. Qualche pezzo inserito in alcune serie televisive e colonne sonore di film, e niente più. Stesso modo per il concerto di Firenze. Nessun poster in giro, pubblicità ignorata, ma teatro esaurito in pochi istanti. Zitti zitti, fino alla sera di quel concerto. Spaventosi, potenti, rumorosi, essenziali. Musica che s’imprime nel cervello, musica come vibrazione, come arte primitiva, che punta dritto al cuore.
“Siamo partiti di sera, la nebbia, la strada, le curve, il cd che si surriscalda nella radio della macchina, tu che non sai come si raffredda, le sigarette, Anna Politkosvkaya, Travaglio, Taranto, Bath, un fulmine di guerra, sembrano i Cure, sì ho avvisato a casa che questa notte dormirò fuori, martedì sera tutti a cena da te, tutto quello che si accende a intermittenza nel nostro cuore e non si spegnerà mai… e i chupa chups”. Non ho idea di quali orbite prenderanno le nostre vite, sono sicuro che questa serata, oltre che per la musica, ce la ricorderemo per i chupa chups.
Ciascuno di noi ha trovato canzoni che parlano del desiderio di trovare un luogo al quale appartenere, qualcuno capace di ascoltare, che parlano dei nostri problemi, dei nostri tormenti, dei nostri sogni, del nostro amore. L’inverno è da sempre la stagione del freddo, della poca luce e di tutte le disgrazie che per l’alchimia della luce vorrebberro illuminarsi e trasformarsi in festa.
Grazie Alessandro, Elena e Francesca, vi chiamo per nome perché non è bello chiamarsi per soprannome. Grazie, perché questa serata non sarà un paesaggio condannato all’estinzione. L’alba di questa serata, è tramontata, accesa come il passaggio di una stella cometa.
r.l.