D’estate vanno un sacco le feste della birra. Ne trovi ovunque, ad ogni sputo di frazione ce n’è una e se viaggi un po’ per l’Italia nei fine settimana, inframezzate da sagre del cinghiale, della rana, del gatto, dell’allodola e da tutti gli animali di questo mondo, ci sono all’incirca cinquecento feste della birra. Niente male, se non fosse che ad ogni festa della birra mediamente suonano due-tre gruppi nelle feste più proletarie e una decina nelle situazioni migliori (includiamo ovviamente anche uomini e donne che fanno piano-bar, complessini con basi, karaokisti improvvisati).
Se moltiplicassimo le cinquecento feste delle birre e i gruppi che ci suonano risulterebbe un numero variabile tra i mille e i cinquemila, considerando poi che spesso i gruppi che suonano sono gli stessi, la cifra può assestarsi tra i millecinquecento. E che cosa c’è di male in tutto ciò? Niente, assolutamente niente. È solo che la maggior parte di tutti quei gruppi suona cover, ovvero nel migliore dei casi ripropone fedelmente le canzoni che più gli piacciono e nel peggiore dei casi invece improvvisa un scimmiottamento delle stesse.
E allora? Nulla di grave, siamo afflitti da ben più gravi problemi, ma provo sempre un leggero fastidio quando un gruppo sale sul palco e attacca, che ne so, Break on through dei Doors. Il più delle volte i musicisti sono bravi, virtuosi della chitarra che hanno sudato sulle tabulature, che hanno speso pomeriggi interi a rifare al meglio un riff, i cantanti si sono specchiati per ore nel tenatativo di rifare la smorfia simil Mick Jagger, i batteristi hanno agghindiato la batteria come quella dei loro idoli.
Onore quindi al merito. Ma è come avere sempre di fronte due lattine, a destra la Coca Cola e a sinistra la Cola Conad. Sarà sempre meglio la prima. Per quanto la seconda provi a migliorarsi non la raggiungerà, al più diventerà una buona imitazione che non ti blocca lo stomaco dopo due sorsi. Così vale per i gruppi che suonano cover, dopo averli ascoltati potrai dire “la suonano uguale”, “il bassista sembrava proprio Roger Waters”, “il falsetto assomigliava un sacco a quello di Axl Rose”, oppure “aveva il taglio di capelli come Gigi D’Alessio”, “il cantante si è fatto addirittura lo stesso tatuaggio di Eros Ramazzotti”, “mi sembrava di stare al concerto dei veri Jalisse” e potrei andare avanti per ore.
La cover è quello, solo una pallida imitazione, che non provoca nulla, che non ti fa sbalordire. Un gruppo che rifà le canzoni di altri è come sgolarsi la lattina di Cola Conad, toglie la sete ma non lascia lo stesso sapore della Coca Cola.
Per finire un ultimo pensiero sulla peggiore specie della categoria: gli imitatori di Vasco. Già Vasco Rossi sta facendo di tutto per diventare la parodia di sè stesso, poi se ci aggiungiamo allora gli occhiali “alla Vasco”, il cappellino “alla Vasco”, la maglietta “alla Vasco”, una fastidiosissima voce “alla Vasco” ed infine il tipico barcollare “alla Vasco”la catasrofe è completa perchè Vasco potrà anche non piacere (come nel mio caso) ma rimane pur sempre un’icona e l’imitazione non può che scendere al livello sottoterra, ridicola per definizione.
Un consiglio? Un bel CD e ascoltiamoci l’originale.
Rimane però una sola vera possibilità per tutti quei gruppi che sono usciti dal mio approssimativo e improbabile calcolo: provare a fare musica propria, provare ad esprimersi secondo il proprio stile, gusto, ecc.....
Per un ascoltatore non c’è niente di meglio che rimanere catturato da un gruppo che dall’alto di un palco lancia dagli amplificatori la canzone scritta da lui e che ritiene la migliore al mondo.
Riccardo Albonetti