In Sweeney Todd il regista Tim Burton si concede una succulenta carrellata di tutto ciò che più gli preme indagare e riferire al pubblico. Un genere, quello gotico (in questo caso anche un musical), in grado di esprimere al meglio la sua impietosa volontà di sviscerare dell’animo umano il lato sensibile, benevolo e solidale così come quello vendicativo, passionale, malato ed irrimediabilmente tragico.
La trama si dispiega in una Londra di fine 800 quando, dopo un lungo periodo di confino, il protagonista Benjamin Barker si ripresenta in città con la nuova identità di Sweeney Todd (Johnny Deep). Ritrova la sua vecchia abitazione ormai decadente e qui incontra la signorina Lovett (Helena Bonham Carter) la quale se ne innamora subito divenendo complice dei suoi efferati piani. Di professione barbiere, Todd mette a frutto la sua abilità nel maneggiare lame da barba per dare libero sfogo alla collera fino ad allora soffocata, ma soprattutto con l’intento di vendicarsi del giudice Turpin (Alan Rickman), famelico artefice del disfacimento della famiglia Barker. Il finale imprevedibile e tragico è l’epilogo di una serie di spietati delitti che non risparmiano sangue e ritratti lancinanti. Anche in questo film dunque, Burton inventa un personaggio eccentrico, fuori dal comune, ingenuo e distruttivo allo stesso tempo, che ha bisogno per agire di una protesi meccanica in grado di alterare le sue capacità fisiche (a tal proposito si ricordino le forbici di Edward e lo strumentario scientifico utilizzato da Ichabod ne Il mistero di Sleepy Hollow).
Tim Burton ci omaggia di una dark story in cui tutti gli ingredienti sono sapientemente dosati: i due protagonisti sono ritagliati alla perfezione per i ruoli rispettivamente di dandy maledetto e dark lady, senza scrupoli nel raggiungere i loro scopi, un’ambientazione ed una fotografia fantastiche che riproducono una Londra tenebrosa, cupa, artificiosa (la scenografia del resto è opera degli italiani Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo vincitori del premio Oscar), una colonna sonora capace di comunicare al meglio la simbiosi tra accordi sdolcinati e contenuti talvolta raggelanti.
Una favola nera in grado di risvegliare fantasmi sopiti ed oscuri presagi.
Fabio Bittini