Non credo che il nostro giornale possa permettersi di tralasciare la cronaca di un evento naturale straordinario (perlomeno per dimensioni ed effetti) quale la frana verificatasi nella prima metà di aprile, in località Campiuno-Roncosole. Anche a giudicare dalle numerose persone che si aggiravano sul luogo dell’accaduto, in gita domenicale, si può evincere quanto l’uomo sia sempre attratto dalla potenza degli eventi naturali, quasi come si rendesse conto di quanto “piccolo ed impotente” sia, rispetto al contesto nel quale ogni giorno si risveglia.

Comunque, a parte la filosofia che può scaturire a caldo (solitamente succede dopo i terremoti o, vedi casi più recenti, i maremoti) penso che testimoniare un evento di tali dimensioni sia necessario per capire, innanzitutto, come il territorio in cui noi viviamo sia continuamente interessato da una lenta ma inesorabile evoluzione che si può anche manifestare con episodi eclatanti come quello di Campiuno. Effettivamente l’erosione dei rilievi appenninici non rappresenta nulla di extra-ordinario, anzi, data la relativa giovane età della catena montuosa, si può sicuramente affermare che “l’uomo della collina” dovrà convivere ancora per “molto tempo” con questi fenomeni come, d’altra parte, ha da sempre fatto.
A tal proposito, senza voler addentrarmi troppo in questioni strettamente tecnico-scientifiche (mi limiterò il più possibile a riportare solo qualche termine specifico), vorrei cogliere questa occasione per sottolineare solo alcuni piccoli aspetti che possono, però, aiutare a comprendere meglio come la tipologia del movimento franoso avvenuto a Campiuno sia peculiare del territorio casolano e dei comuni limitrofi.
La tipicità è determinata dalla natura geologica, dalla giacitura delle formazioni rocciose e dal conseguente assetto morfologico delle dorsali che separano le vallate principali, le quali mostrano, in cresta, una serie di versanti caratterizzati da una netta asimmetria lungo la direzione di sviluppo principale. Dando un rapido sguardo si può infatti notare che i crinali appaiano in sommità come una serie di “denti di sega” con un profilo generalmente più acclive verso Sud-Ovest e più dolce verso Nord-Est, condizione, quest’ultima, che determina una propensione agli scivolamenti di pacchi di strati rocciosi lungo superfici nette, solitamente corrispondenti ad un piano di stratificazione costituito da roccia marnosa (“galestro” nella terminologia locale).
Facendo un piccolo sforzo di memoria dovreste ricordare un evento piuttosto recente (avvenuto nel 1996) del tutto simile, perlomeno come tipologia di movimento, a quello di Campiuno, che si verificò sul versante di Valbianchino, il quale immerge anch’esso (con inclinazione del tutto simile a quella degli strati rocciosi), per l’appunto verso Nord-Est.
L’area di Campiuno-Roncosole, da sempre, ha evidenziato una spiccata predisposizione al dissesto idrogeologico, come testimoniato dalla presenza di altri movimenti franosi minori (attivi o quiescenti), da evidenze geomorfologiche presenti sul versante ed, infine, dall’esistenza di toponimi che richiamano la presenza di movimenti del terreno, come Di Lati e rio Dailati (il termine dialettale Dlàt indica, per l’appunto, un generico fenomeno di dissesto su un pendio).
In particolare, percorrendo l’area circostante la frana recente si possono notare due principali strutture morfologiche che richiamano antichi movimenti franosi, ormai occultati dalla vegetazione, del tutto simili a quello verificatosi lo scorso aprile, all’apice del monte Roncosole è infatti visibile una ripida scarpata attribuibile ad una zona di distacco, mentre un avvallamento in contro-pendenza, presente nella zona del piede del versante, rappresenta un vecchio corpo di frana, ormai sepolto.
Oltre che al contesto prettamente geologico in cui si inseriscono queste tipologie di frane non si può tralasciare il ruolo determinante svolto dall’acqua che, in qualche modo, può rappresentare l’innesco definitivo dello scivolamento della massa rocciosa verso valle. La capacità dell’acqua di infiltrarsi nelle fratture della roccia determina la formazione di livelli viscosi (quasi come saponette), preferibilmente in corrispondenza degli strati marnosi. Se, durante la vostra escursione a Campiuno avete camminato sulla superficie di scivolamento su cui ha traslato l’enorme pila di strati rocciosi, vi sarete infatti accorti come, in certi tratti, il fondo risultava piuttosto viscido (personalmente, devo confessare, ho rischiato di cadere anche un paio di volte, avendo ai piedi un paio di scarponi piuttosto usurati).
Informazioni verbali che ho potuto raccogliere velocemente durante la mia visita a Campiuno-Roncosole, mi hanno confermato che, già da circa un anno, era presente un’enorme crepa sul terreno che si sviluppava proprio lungo la direttrice su cui si è formata, successivamente alla frana, l’imponente parete verticale. Proprio questa enorme frattura (larga addirittura un metro, a detta di alcuni) avrebbe rappresentato il veicolo principale di trasmissione delle acque superficiali (dovute alla pioggia e allo scioglimento delle nevi) verso lo “strato saponetta” presente nel sottosuolo.
Personalmente credo che proprio l’acqua rappresenti, in generale, uno dei principali fattori verso cui l’uomo possa e debba porre le maggiori attenzioni per la salvaguardia del territorio dal dissesto idrogeologico (lo dice la parola stessa), infatti, anche in virtù degli eventi di precipitazione, che negli ultimi anni sembrano concentrarsi in periodi brevi e manifestarsi in maniera intensa, solo una corretta regimazione idraulica può rappresentare la base di partenza per una buona prevenzione e per una conseguente limitazione dei danni.


Tiziano Righini
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