Carissimi mi sta piacendo la vs. discussione sui problemi connessi all'energia, tanto più che vedo che la cosa sta prendendo spessore e dai luoghi più o meno comuni e dai sentito dire si sta passando alle analisi di dettaglio.
E' facile su questo argomento cadere, sia nella minimizzazione delle problematiche sia, all'opposto, nel catastrofismo, per cui entrare nel cuore dei problemi ed analizzarli nel dettaglio è forse la cosa più seria da farsi.
Quanto sopra è ancora più vero in considerazione del fatto che diversi di voi, per le esperienze o gli studi fatti, sono in grado di analizzare con una certa competenza i vari aspetti del problema.
Io non sono un esperto di energia ma forse, e solo un poco, di varia umanità perciò mi limito esclusivamente ad alcune riflessioni dettate dall'osservazione critica di certi nostri moderni comportamenti.
Non sono sicuro di essere perfettamente in tema ma l’intenzione sarebbe quella di delineare, attraverso un poutpourri di considerazioni, un atteggiamento di fondo con cui affrontare questi temi strategici per il nostro futuro e soprattutto per il futuro dei vostri figli (quelli che già ci sono e quelli che verranno) e, per quanto mi riguarda, dei miei nipoti (quelli che ci sono e quelli che spero verranno).
L’intenzione sarebbe anche quella di svolgere una riflessione seria e non un predicozzo, ma si sa che di buone intenzioni è lastricata la strada dell’inferno.
Nel caso dunque in cui avessi fallito l’obiettivo vi pregherei di essere indulgenti: - A 62 anni - diceva un mio antico professore - un vecchio somaro come me può permettersi di dire tutto quello che vuole.
Ad esempio, tanto per cominciare, è sotto gli occhi di tutti che l'uomo, negli ultimi cinquant'anni, sembra sempre più aver perso il senso del risparmio e lo spreco di materiali e di risorse ha assunto proporzioni esasperate e a volte frenetiche. Tutto ciò perchè il progresso esponenziale delle tecnologie e delle conoscenze acquisite fa sì che si sia in grado di mettere sul mercato prodotti sempre più numerosi e comodi e, per il momento, a buon mercato. Come conseguenza si veda come sia diventato drammatica e problematica la gestione dello smaltimento dei rifiuti.
Nei millenni passati non è mai stato così e, salvo le eccezioni di limitatissime e privilegiatissime frange della società, il senso del risparmio, l’attenzione a non gettare le cose che potevano tornare utili, l'abitudine a riciclare gli oggetti era connaturato nelle abitudini degli uomini, frutto di aspre e spesso drammatiche lezioni impartite dalla lotta per la sopravvivenza e dall'esperienza accumulata nelle dure battaglie con la natura e l'ambiente ostile.
Negli anni '50 a Casola c'era uno spazzino (il mitico Piazza) che con un carrettino ed un asino assolveva con dignità e sufficiente efficienza il compito e l’incarico della raccolta del rusco (allora si chiamava così).
C'era una piccolissima discarica nel fiume vicino al ponte di Arsella in cui ardeva, quasi perennemente, un braciere, era la nostra piccola Geenna e serviva a smaltire con una certa efficacia tutti i rifiuti prodotti dal paese.
Il parallelo ed il richiamo commovente e suggestivo, spero non patetico, al biblico sito esistente sul greto del torrente che lambisce Gerusalemme, che serviva da discarica per quella città e dal quale fu tratta l'immagine dell'inferno, serve a dimostrare quanto poco, fino a non molto tempo fa, le cose fossero cambiate nel mondo. Andavamo nel negozio di Sisfia a prendere 2 etti di olio con una bottiglia di birra riciclata, mentre il grasso, la conserva, lo zucchero, la pasta e tutto il resto veniva impachettato in carta “oleata” o in carta “gialla” da due mani esperte che ne raccoglievano i lembi sui due lati ed abilmente li arricciavano rincalzandoli verso l’alto fino a formare il “cartoccio”. La stessa carta poi serviva ad accendere il fuoco nella “cucina economica” che tale era veramente in quanto riscaldava, cuoceva, forniva acqua calda e, appunto, inceneriva i rifiuti.
I pochi barattoli di latta venivano trasformati, dopo l’uso, in contenitori polifunzionali o in vasi per fiori ma anche in oggetti di maggiore dignità, a seconda della fantasia: ricordo ad esempio un elmo ricavato da una scatola di tonno (confezione negozio) che indossavo fieramente, adornato con tanto di penne, negli scontri che regolarmente si accendevano con la banda rivale dei Ciricaua sulle sponde del rio Casola o di quello della Peschiera.
L’acqua che si beveva era quella del rubinetto, ravvivata e galvanizzata nei giorni di festa con una bustina di polvere effervescente “Idrolitina”. Le rare bottiglie di vetro da vino (quelle con il fondo concavo) che eccedevano i bisogni venivano recuperate da forestieri che, di tanto in tanto, facevano un giro di raccolta con un camioncino ed in cambio regalavano un palloncino di gomma colorato gonfiabile molto ambito dai bambini.
Non vi è dubbio quindi che a fronte di un netto miglioramento sul piano della disponibilità di beni si sia verificata una rivoluzione comportamentale verso il peggio sotto il profilo dello spreco delle risorse, paradosso del progresso che migliora la qualità della vita ma induce a comportamenti scorretti e deleteri.
Si pone dunque senz'altro il problema di una rieducazione e di un recupero di comportamenti corretti, morigerati e di quel senso del risparmio che un tempo erano indotti dal bisogno derivante dalla scarsità di risorse e di mezzi e che ora, al contrario, si viene imponendo sempre più come necessità vitale per non rimanere sommersi dalle cose che buttiamo.
Quanto sopra anche perchè assistiamo nel contempo ad un altro fenomeno che, se vogliamo, è ancora più sconcertante e denota emblematicamente lo spirito schizofrenico della società che abbiamo costruito, infatti, e qui è il punto, nessuno vuole le discariche o gli inceneritori.
Da un lato sprechiamo sempre più e produciamo sempre più rifiuti, e francamente al momento non mi pare di scorgere in giro nessun segno significativo di ravvedimento o di inversione di tendenza, dall’altro però siamo diventati tanto schizzinosi e sofisticati (ed infingardi, dico io) da non volere in alcun modo pagare il giusto prezzo dei nostri comportamenti e delle nostre scelte. Smaltite, smaltite pure, purché lo facciate lontano da me ed io non debba sentirne l’odore o respirare le polveri sottili (a quanto leggo sempre più sottili). Poiché però l’odore e le polveri sottili, a causa delle correnti d’aria, viaggiano nello spazio e nel tempo, finisce che sono molto rari i siti remoti e abbastanza lontani da tutti, tali da non procurare un minimo di disagio a qualcuno.
Così anche il recupero energetico che si potrebbe realizzare dall’incenerimento dei rifiuti, quindi una forma efficace di “recupero” dello spreco, va spesso a farsi benedire.
E allora? - Allora mandiamoli in Africa i rifiuti che tanto là non ci fanno caso ed hanno ben altro a cui pensare - una bella generazione di egoisti ipocriti, non c’é che dire, oppure: - Mandiamoli in Germania i rifiuti che là sono efficienti e sanno come trattarli - una bella generazioni di inetti infingardi, non c’è che dire.
Che da Napoli, città simbolo di ogni sfacelo, e dal suo hinterland disastrato, così come da molte città del sud si debba inviare il pattume agli inceneritori tedeschi perchè non si riesce a trovare in loco un sito dove costruire discariche efficienti ed inceneritori adeguati, la dice lunga sulla schizofrenia e l’inettitudine del nostro paese o di buona parte di esso e sull’opportunismo politico, sulla pavidità e sugli atteggiamenti populistici con cui molta della cosiddetta classe dirigente si adegua a questi comportamenti.
E’ lo stesso atteggiamento che riscontriamo, e qui torniamo più specificamente sul tema trattato, sul problema degli approvvigionamenti energetici.
Da anni predichiamo e predichiamo, dibattiamo, spacchiamo il capello in quattro, denunciamo il nostro pauroso arretramento su questo fronte e la nostra sempre più crescente dipendenza energetica dall’estero, poi però non facciamo assolutamente niente di concreto per rimediare o perlomeno facciamo pochissimo.
Sul fronte dei nuovi impianti (di vario tipo) che sarebbe necessario costruire basta che si levino quattro verdi a profetizzare scenari apocalittici e qualche sindaco con la fascia tricolore a tracolla, preoccupato per la sua rielezione, a dare copertura istituzionale e politica all’azione di protesta di un gruppo di cittadini terrorizzati e tutto si blocca.
Quando è stato il momento di optare per l’energia atomica o di rifiutarla, il popolo italiano naturalmente ha scelto “coraggiosamente” e “responsabilmente” di rifiutarla, poi subito dopo è corso a comprarla, l’energia, dalla Francia e dalla Jugoslavia che la producono appunto con le centrali atomiche.
Non per niente Pulcinella è una maschera tipicamente italiana.
Ed il risparmio?? Quello serio, naturalmente, sistematico, diffuso nei comportamenti abituali, scientifico??? Lo ha visto qualcuno in giro?
E le famose e miracolistiche alternative delle energie rinnovabili? Quella solare, eolica e via dicendo? Dove sono? E poi abbiamo il coraggio di dire che, almeno nella prospettiva delle attuali conoscenze, queste forme di approvvigionamento possono servire solo come integrazione? Integrazioni importanti e preziose fin che si vuole, se non altro perchè vanno verso una direzione virtuosa, non distruttiva e non consumistica delle risorse energetiche disponibili, ma pur sempre e solo, per il momento, integrative, come ricordava, non più tardi di due giorni fa, una persona seria e certamente competente ed informata come il Nobel prof. Rubbia.
Ecco sono solo alcune riflessioni di varia umanità che però vogliono fare da sfondo ad una verità che potrà sembrare dura ed al limite cinica, ma che invece è solo realistica e che vorrei offrire come spunto e contributo a questo aspetto della vs. discussione sintetizzandola così:
La verità è che la vita è anche rischio e senza rischio non vi è progresso, ragion per cui Il rischio va calcolato con accortezza ma alla fine va affrontato con coraggio e decisione, non demonizzato.
Ogni azione umana, non solo umana, ma anche semplicemente animale o animata (ma soprattutto umana per la potenzialità che le conferisce l’ingegno dell’uomo), inevitabilmente interferisce sull’equilibrio naturale. Anche se a ben riflettere non so se si possa parlare di interferenza in quanto l’uomo è parte stessa della natura e la sua naturale e specifica funzione è anche quella “creativa” . Poi anche sull’equilibrio naturale ci sarebbe molto da discutere visto che basta la robusta scoreggia di un vulcano o una grattatina di madre Terra alla sua crosta per mandare molte cose a pallino. Quindi l’equilibrio proprio della natura non è un equilibrio statico, l’equilibrio della immobilità, bensì l’equilibrio dinamico così come tipicamente fa il funambolo che procede ed avanza danzando coraggiosamente ed armoniosamente sulla corda grazie a progressivi ed accorti aggiustamenti.
Non è dell’uomo sedersi sulla riva di un fiume e discutere infinitamente ed indefinitivamente verso quali lidi o posti misteriosi condurrà la corrente, dell’uomo invece, dopo aver riflettuto quanto basta, è costruirsi una canoa e scendere con essa, attento sul filo della corrente, per vedere concretamente dove andrà a sbucare.
Quando rifletto su questi argomenti mi viene sempre in mente una scena che, per farmi capire meglio, provo a sceneggiare.

DEI DUE MODI DI ATTEGGIARSI: atto unico

Esterno giorno, siamo in una foresta, in una radura, magari vicino al greto di un torrente, alcune decine di migliaia di anni fa.
Due uomini Cro Magnon, barbuti e coperti sommariamente, stanno trafficando con schegge di roccia dura battendole luna con l’altra per ricavarne un rudimentale attrezzo con cui potenziare la forza del colpo della mano.
Ad un certo punto uno dei due si accorge che così facendo dalle pietre scaturiscono delle scintille: stupore meraviglia, che sortilegio è mai questo? Quelle faville scintillanti ed apparentemente effimere paiono però avere la natura stessa del fulmine che alcuni giorni prima ha colpito la foresta incendiandola provocando un certo disastro e facendo scappare ominidi e animali.
L’altro compagno si allarma, si impaurisce e dice: - Per l’amor di Dio (a Dio ci sono già arrivati perchè sono primitivi ma non scemi e qualche domanda se la sono già posta) lasciamo perdere, se continuiamo chissà quali disastri potremo procurare, non hai visto cosa ha fatto il fulmine l’altro giorno.
E poiché è uno dotato di molta fantasia, ma non di altrettanta razionalità, continua elencando, una dopo l’altra, tutte le possibili disastrose conseguenze che da quell’atto potrebbero derivare.
L’altro, avendo una natura più razionale e, diciamolo pure, un paio di attributi più sviluppati, si mette invece a riflettere ed osserva che la morfologia delle faville, pur essendo della stessa natura apparente del fulmine, ha una struttura meno pericolosa. Inoltre ricorda che in quella cosa misteriosa, pericolosa, paurosa ed animata che si era scatenata alcuni giorni prima (che poi i posteri chiameranno fuoco e incendio) non tutti gli aspetti erano così negativi: ad esempio quella cosa faceva caldo, anche se un po’ troppo essendo così grande, ed il cucciolo di cervo e i due serpenti che, poveretti, non ce l’avevano fatta a scappare e c’erano rimasti secchi e cotti (anche la parola “cotti” sarebbe saltata fuori dopo ma il concetto era già chiaro anche allora) e che loro avevano ritrovati dopo che il temporale, seguito al fulmine, aveva spento il fuoco e che avevano finito col mangiare, avevano qualcosa di meglio e di più saporito rispetto alla carne cruda che solitamente dovevano inghiottire.
Mentre il Cro Magnon razionale sta svolgendo le sue riflessioni con la fronte (bassa ovviamente) un po’ corrucciata, una ennesima scintilla caduta sull’erba secca accende un focherello.
Il Cro Magnon fantasioso ed un po’ cagasotto se la fila a gambe e a mani levate (hanno da poco cominciato a camminare eretti ma ogni tanto, specie nei momenti critici perdono il controllo e ricadono nel vecchio vizio di camminare carponi come i fratelli babbuini).
Quello con i coglioni (quest’ultima parola la funzione di correzione automatica di Word me la sottolinea con l’ondulina rossa, così come la parola cagasotto, chissà perché?) invece si ferma e vede che, aiutandosi con un bastone trovato lì vicino, e colpendo opportunamente quello strano animale o spirito rosso che dir si voglia, riesce in qualche modo a domarlo e a controllarlo. Ricorda poi che la pioggia e quindi l’acqua aveva ucciso l’incendio, dunque c’era qualcosa più forte del fuoco e meno pericolosa per l’uomo che poteva servire a domare definitivamente lo spirito rosso.
Pertanto, visto che era un po’ che gli scappava, decide di pisciare sul fuoco, spegnendolo e realizzando definitivamente il concetto che lo spirito rosso può essere sì pericoloso, ma anche molto utile se si riesce, come si è dimostrato possibile, domarlo e controllarlo.
Indovinate a quale dei due Cro Magnon dobbiamo il fatto che oggi siamo quello che siamo?
Fine della scenetta.

E, tanto per introdurre un argomento nuovo ma in qualche modo attinente, perché riguarderà sempre più il nostro modo di produrre risorse e beni in futuro, è di questa sera stessa la diffusione di un giudizio del prof. Veronesi (uno che per la sacralità della vita fin dal suo sorgere non ha molto rispetto, e che per questo io giudico molto severamente, ma che di tumori indubbiamente ne sa qualcosa) in cui viene affermato che i tanto bistrattati O.G.M. sono molto più sicuri di molti prodotti cosidetti naturali perchè molto più controllati. Ad esempio vedi il granoturco, per cui è più facile contrarre il cancro mangiando polenta di granoturco naturale, per le muffe tossiche che in esso spesso si annidano, che non quella di granoturco OGM che risulta inattaccabile da questi agenti patogeni.
Vero o falso? Visto tutto lo stracciarsi di vesti che si fanno in genere sugli OGM, vale la pena di controllare.
D’altra parte gli innesti in campo vegetale con cui pazientemente l’uomo, nel corso dei millenni, è riuscito a sviluppare piante incomparabilmente più efficienti ed utili degli originali di partenza, non è forse una forma di modifica genetica?
C’è infine un’importante una importane e semplice constatazione in ordine a questi temi che può soccorrerci nelle nostre riflessione e suggerirci i comportamenti adeguati.
Nella società tecnologicamente avanzata, nonostante i guasti e le storture esistenti, malgrado le polveri sottili, inquinamenti di vario genere e chi più ne ha più ne metta, la vita media dell’uomo è arrivata a oltre 76 anni, altrove è spesso ferma a 30. Qualcosa vorrà pur dire, e nel vagliare giustamente le paure e i timori e nel fare le dovute e possibili verifiche, bisognerà tuttavia farsi pur illuminare da questo eclatante risultato mai raggiunto, prima d’ora.
Concludendo.
Noi siamo scouts e per formazione e mentalità abbiamo un rapporto rispettoso intenso ed ammirato nei confronti della natura “naturale” della quale, come pochi, sappiamo cogliere anche i lati romantici, le struggenti atmosfere, i paesaggi incantati.
Quando camminiamo nella notte fonda, come narrano le nostre canzoni, il nostro sguardo si leva al cielo e si rivolge verso il firmamento che paradossalmente, proprio grazie al buio che ci circonda, si spalanca su di noi in tutta la sua magnificenza e ci racconta di cose inenarrabili. Di prati celesti e di fiori di luce, di fuochi di bivacco accesi intorno alla mensa del Signore.
Ma essendo scouts siamo anche uomini pratici e concreti e sappiamo che la natura si presenta anche con i suoi aspetti severi. Se portiamo i nostri ragazzi a bivaccare in un bosco, sappiamo che dobbiamo dotarli di buone tende, di buone scarpe, di abiti di ricambio, di cibo e dobbiamo saper accendere un buon fuoco per riscaldarli. Il romanticismo non può farci dimenticare o travisare la realtà.
Mio fratello mi ha sempre raccontato di un giovanotto con la erre moscia che ad un convegno sui problemi ambientali si alzò e gridò: - Della chimica se ne può fare tranquillamente a meno.
Qualcuno gli chiese semplicemente con quali mezzi fosse giunto lì, di quali tessuti fossero fatti i suoi abiti, se avesse in tasca una carta di credito o delle banconote, con quale penna stesse prendendo appunti e su quale taccuino stesse scrivendo, se si fosse lavato la faccia quel mattino e che cosa avesse mangiato.
Le cronache raccontano che il giovanotto si rimise a sedere imbarazzato mugugnando senza rispondere.
Ecco, noi scouts siamo abituati ad agire, ad osare, a far da conto, a fare i conti con la realtà a sperimentare e ad assumerci talvolta la responsabilità di rischiare.
Lo scout è, o almeno dovrebbe essere, coraggioso e temperante e così, più in generale, è o dovrebbe essere, l’uomo sulla terra.
(Ecco ne è scaturito un polpettone di 3 pagine e mezzo. A proposito di temperanza diceva colui: - Medico cura te stesso. Mi vergogno di me stesso)
Auguri per il vostro dibattito.
Con simpatia

Aquila Solitaria (i.e.: Alessandro Righini)
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