…e ci tocca anche trovare un nuovo nome per quel bambino che è nato il 25 dicembre in una capanna (o una grotta, non si è mai capito bene). Vedete, io mi sto già allenando a non dirlo quel nome...
L’altro giorno infatti ho sentito in TV che in alcune scuole hanno tolto dalle canzoncine di Natale tutti i riferimenti a Gesù (no, mi è scappato, scusate). Così come, notizia di appena qualche giorno prima, molti negozi, commercianti e produttori di gadget in Inghilterra, hanno tolto dalle loro vetrine, dai loro cartelli, dai bigliettini di auguri natalizi, ogni riferimento di tipo religioso. Per non urtare la suscettibilità di chi non è cristiano.
Quindi, naturalmente, messa al bando di Sacre Famiglie, angioletti, aureole e affini. Ma ci si è spinti oltre, perché anche le parole che rimandano al significato religioso della festa sono state abolite. Non più Merry Christmas dunque, ma un bel Season’s Greetings stampigliato sulla cartolina d’auguri. Un’idea assolutamente geniale: Auguri di Stagione! Una frase semplice e anonima che se volete potete riutilizzare anche in estate. Basta prendere il biglietto in questione, con un abile gioco di bricolage sostituire una palma da cocco all’abete innevato, et voilà, il riciclo è bello fatto. Con i biglietti che vi arrivano in dicembre ci potete fare gli auguri di Pasqua (altra parola che, temo, avrà vita breve), quelli di Pasqua li riusate a Ferragosto (e qui, che sia una festa religiosa, già adesso non se lo ricorda più nessuno) e le cartoline estive speditevi dai vostri amici (che saranno ugualmente marchiati da quel bel Season’s Greetings, perché nel frattempo tutti avranno capito il giochino e adotteranno la stessa tecnica riciclatoria) torneranno alla loro primaria funzione di augurio natalizio qualche mese dopo. Un po’ come con i regali di matrimonio, io regalo a loro quello che voi avete regalato a me e che vi era stato regalato dagli altri. Ma ci pensate il risparmio?
Certo che, va detto per onestà, la lingua inglese presenta da questo punto di vista numerosi svantaggi, perché molte delle parole natalizie hanno riferimenti religiosi. Abbiamo detto di Christmas, parola così sfacciatamente cristiana da fare venire la pelle d’oca. Per fortuna da noi ormai si dice solo Natale, senza l’imbarazzante Santo davanti, basta fare finta di non vedere la lettera maiuscola e si può pensare che in fondo si tratti semplicemente di un aggettivo che richiama la nascita. Il punto è: la nascita di chi? Qui si fa più complicata, perché dovremmo dire che è la nascita di Gesù e stavolta il richiamo alla religione c’è tutto, in maniera clamorosa. Come facciamo? Un bambino che nasce ci deve essere, se no anche natale con la minuscola non va più bene. E qui il genio italico ci viene in aiuto. Come abbiamo chiamato noi l’omone ciccione con la barba bianca e il vestito rosso inventato dalla Coca Cola qualche decennio fa? Babbo Natale! Babbo, capito? Dovrà pure avercelo un figlio da qualche parte! Eccolo, glielo abbiamo trovato noi: quel bambino nella mangiatoia è il figlio di Babbo Natale. Come ci sia arrivato a Betlemme (sulla slitta? Buona idea, potremmo così anche sostituire le renne alla famigerata accoppiata bue-asinello, che fa un po’ troppo San Francesco), perché Babbo Natale l’abbia dato in adozione alla Madonna sbagliata, quella che non aveva neanche unacamera d’albergo mentre l’altra se lo sarebbe portato in una delle sue 20 case londinesi, e soprattutto chi sia la disperata che ha fatto un figlio con Babbo Natale, sono cose di cui ci preoccuperemo poi, per adesso sgrossiamo, in seguito cureremo ai dettagli.
A proposito di Babbo Natale, pensate ancora all’inglese: Santa Claus. Anche qui un riferimento alla religione che più clamoroso non si può. Il ricordo vivo e scolpito nelle parole dell’origine della figura, che discende, tramite varie metamorfosi tipiche della cultura popolare, da San Nicola. Inoltre, i rimbambiti, quando devono abbreviare il nome, non hanno mica scelto di dire Claus, no, dicono Santa! Ma si può essere più scemi? Ci credo che poi sono costretti a fare leggi, ordinanze o semplici proclami per eliminare le parole imbarazzanti. Noi invece abbiamo risolto il problema a monte, e quando abbreviamo il nome del ciccione avvinazzato vestito come un cretino diciamo Babbo, come ci insegnano Totti e Gattuso inTV, novelli maestri Manzi.
Insomma per noi italiani è più facile non urtare la suscettibilità di chi non è cristiano. E’ più facile fare finta che il Natale non sia una festa religiosa. Perché questo è quello che ci stanno chiedendo di fare, fingere che sia il compleanno di un bambino qualunque e che per caso è stato scelto come giorno celebrativo di non si sa bene cosa. Badate bene, nessuno dice di non festeggiare il Natale. Anzi, togliendo i riferimenti religiosi, stanno aiutando anche le persone di religione non cristiana ad avvicinarsi alla festa senza imbarazzi di sorta. Non sarà mica perché così aumentano le persone che festeggiano, si fanno regali, comprano qualunque stronzata da appendere in casa e si sputtanano la tredicesima in quegli stessi grandi magazzini che fanno finta che il Natale non abbia niente a che fare con la religione? No, è per non urtare la suscettibilità, certo. E per garantire la libertà religiosa. Anche se non vedo come celebrare la festa della mia religione possa limitare la libertà di un altro a celebrare la sua di festa. Piuttosto, sono io che mi sento leggerissimamente limitato nella mia libertà religiosa, se non sono padrone di dire che quello è il giorno in cui, per me, si celebra la venuta del Figlio di Dio sulla terra. Fingere che non esistano religioni diverse, che non esistano culture diverse, significa rendere tutti un po’ più poveri, non un po’ più liberi. Non dobbiamo essere tutti uguali, ma sentirci tutti uguali, che è una cosa diversa. Invece no, l’omologazione dilaga, l’indifferenziazione culturale – il pericolo più grande a cui si va incontro nel momento in cui culture diverse si incontrano – ha segnato un punto a suo favore. Si fa un gran dire di multicultura, di intercultura. Parole belle, che utilizzano prefissi che parlano di pluralità e di convivenza, di mescolanza che diventa arricchimento. Ma sono solo parole, siamo ancora molto lontani dal renderle concrete. Però siamo bravi a fare perdere concretezza alle parole del Natale. Quella parola, quel Santo che si premetteva, aveva un valore reale, concreto, ben presente nelle menti di chi il 25 dicembre si ritrovava per festeggiare. Poi il Santo ha iniziato ad alleggerirsi, a sfumare, a diventare nebbia, prima densa poi sempre più impalpabile, fino a quando qualche geniaccio ne ha decretata l’inutilità e indisturbato ha potuto cancellarla da vocabolario del Natale.
Ma allora, se quel geniaccio non ha il coraggio di dire che si tratta di una festa religiosa, perché il 25 dicembre deve stare a casa sua a ingozzarsi di cappelletti e dolce alla meringa scartando regali da 200 euro a botta e accarezzando i suoi bei bambinelli davanti a un abete luccicante? Eh no, lui il 25 dicembre va a lavorare come farebbe il 4 marzo o il 28 novembre, anzi invece di stare nel suo ufficio da cui si gode la vista del suo centro commerciale affollato dalle povere formichine che portano sporte 10 volte più pesanti di loro, va alla cassa per sostituire la cassiera che invece non ha paura di dire Merry Christmas anche a un musulmano o a un ebreo, perché sa che quell’ebreo e quel musulmano sono sufficientemente intelligenti da capire che quell’augurio non è un’offesa verso di loro e la loro religione, ma un modo di condividere il sentimento di gioia che anima la festa cristiana.
Facciamo un esempio. Lo stesso, grasso (non so perché ma non riesco a immaginarmelo magro!) direttore del centro commerciale, va dal magazziniere marocchino che ogni giorno fatica nel “dietro le quinte” di quel luccichio abbagliante che è il centro commerciale. Va da lui e gli dice che non solo gli concede di celebrare il Ramadan, ma per quel mese è esentato dai lavori più pesanti perché capisce bene che scaricare casse per ore senza mangiare non è possibile. L’unica condizione è che dica agli altri operai che la sua scelta di non mangiare dall’alba al tramonto non ha nessun valore religioso, coincide per caso con il Ramadan ma in realtà è una dieta speciale di nuova invenzione. Oppure, a scelta, può raccontare di essere diventato un vampiro e quindi si può nutrire solo dopo che il sole è sceso sotto l’orizzonte (questa scelta non è però consigliata, perché comporta anche l’uso continuo di occhiali neri per fingere l’insofferenza alla luce solare, il chè comporterebbe non potere usare occhiali di sicurezza). Sia chiaro, il direttore del centro commerciale chiede questo al magazziniere per non urtare la sensibilità religiosa degli altri operai, e solo un po’ anche per evitare che quei fannulloni dei cristiani – che già si stanno a casa per 3-4 feste dedicate alla Madonna (non quella vera poi, cioè non la cantante, che uno potrebbe anche capirlo) e per ricordare altri fatti che non si sa neanche se siano avvenuti davvero – si inventino anche loro una qualche diavoleria per farne poca, che i sindacati poi gli danno retta e ci vanno sempre dietro anche se sono comunisti e mangiapreti. La reazione del magazziniere può oscillare fra la risata incredula e l’incazzatura più feroce, anzi forse a una prima risata incredula seguirebbe una feroce incazzatura. E quanto avrebbe ragione, anch’io mi incazzerei insieme a lui.
Per fortuna che invece ci sono molte persone più civili. Persone a cui stanno togliendo la possibilità di esprimere ciò in cui credono e si limitano ad accennarne inTV, con garbati ed equilibrati servizi, timorosi di risultare bigotti conservatori. Va tutto bene finché non arriva la notte di Natale, la Messa di mezzanotte. Secondo logica, tu non ci puoi andare. Stai facendo finta che non sia una festa religiosa. Però proprio oggi pomeriggio hai comprato quel cappotto che sta da Dio (o scusate, ancora queste parole così sconvenienti) con la sciarpa e i guanti che ti hanno regalato mamma e babbo, e se non te lo metti stanotte, che c’è tutto il paese riunito in Chiesa a votare per Mister Natale 2006, quando ti ricapita un’occasione così? Ma no, che scemo, è vero, ma chi volete che sia ancora così indietro da andare alla Santa Messa di un Santo Natale?
Michele Righini
P.S., qualche giorno dopo la scrittura dell’articolo ma prima della sua pubblicazione: in casa mia i giornali vagano per mesi fra le stanze, capita quindi che li legga con giorni di ritardo. Solo dopo avere scritto l’articolo quindi ho letto un pezzo su Repubblica in cui erano presenti tutte le questioni che ho cercato di tirare fuori in queste due paginette. E mi è capitato anche di sentire illustri educatori criticare la decisione delle scuole (un’elementare di Bolzano in particolare, mi sembra di avere capito) di bandire i riferimenti a Gesù nelle canzoncine natalizie. Mi conforto, non perché avessi bisogno di essere rassicurato che ciò che ho scritto è giusto (anche se gli altri lo dicono con mo0lta più serietà e competenza e mi aiutano a chiarire anche le mie idee confuse), ma perché mi sembra importante che molte voci si facciano sentire, anche (e forse soprattutto) se non vengono dal mondo religioso (vedi Repubblica) perché dimostra che non c’è nessuna faziosità in questi argomenti, ma solo semplice buon senso e conoscenza delle reali possibilità di fare funzionare la convivenza.
Ieri poi mi è capitato anche fra le mani il Calendario Multiculturale Prisma 2007. Un calendario in cui vengono riportate le ricorrenze di Cristianesimo, Islamismo, Ebraismo, Induismo, Buddhismo, con in più le feste tradizionali cinesi e le feste civili italiane. Promotori del calendario il CD/LEI (Centro Documentazione Laboratorio per un’Educazione Interculturale) del Comune di Bologna, la ditta Gonzagarredi e l’Editrice Missionaria Italiana. Forse non è perfetto (per esempio, nel 19 marzo è segnata la Festa del Papà ma non si fa riferimento a S. Giuseppe, ma non sono un esperto di festività, può darsi ci sia un motivo) ma intanto permette di soddisfare piccole curiosità, perché di ogni festa il calendario offre anche una necessariamente breve spiegazione. Poi fa sorridere vedere per esempio che il 4 marzo è gettonatissimo, con feste ebree, induiste e cinesi. Piccole curiosità, dicevamo, chiaramente è un simbolo che poi va trasformato in realtà nella vita di tutti i giorni. Intanto però, anche soltanto visivamente, uno strumento che rende davvero l’idea della pluralità, della compresenza religioso-culturale, della ricchezza. Contro l’appiattimento, l’omologazione, la falsa uguaglianza, l’ignoranza.