Ho letto con piacere il bell'articolo di Franco Cardini sul resto del carlino, una inaspettata boccata d'aria nella cappa di assoluzione in cui ci siamo avvolti. Un articolo sul non detto, sul lato oscuro della tragedia dell'Ossezia. Il drammatico è che questo non detto non è nulla di misterioso,è solo parte della nostra memoria rimossa, è solo l'invito a non vivere il dolore e la tragedia con l'unico metro della facile emozione, della facile uguaglianza, delle improbabili sovrapposizioni tra il settembre del 2001 e quello del 2004.
Cardini che fa magnificamente il suo lavoro di storico, dimostrandoci come la storia dovrebbe essere amica intima di una politica onesta e consapevole, che già ha avuto il purtroppo raro coraggio a suo tempo di rispondere ai deliri di Oriana Fallaci mettendo insieme storia ed impegno civile nel libro La Paura e l'arroganza, ci ricorda oggi quanto debole sia la nostra memoria. Il nostro tentativo di sentirci vittime innocenti è tanto contorto quanto puerile di fronte all'amnesia sulle vere cause, all'oblio che circonda oggi al seconda guerra cecena, con i suoi circa 150.000 morti, (su un milione di abitanti) con la desolazione di Grozny. Una situazione che troppo facilmente è uscita dalle nostre coscienze nel nome di un male che vogliamo ubiquo ed assoluto.
Il vittimismo dell'occidente si nutre facilmente di quella che Derridda ha chiamato confessione globale, decidiamo e confessiamo in continuo i mali del mondo sempre con il diritto di decidere e nominare origini e motivi, così purghiamo in questa nemesi continua i nostri atti dal peso delle cause, dal peso della politica che si è fatta storia. Così dimentichiamo le unanimi accuse alla politica di Putin definita dalle istituzioni internazionali di puro e semplice etnocidio. Ma i nostri tempi purtroppo non ci concedono di riflettere, o ponderare, esigono risposte rapide, pragmatiche e decise, e così oggi siamo nuovamente proiettati in Iraq.
Oggi siamo nuovamente chiamati a riflettere sulle nostre scelte, sul rapporto tra le nostre azioni, la storia e la politica. oggi in questo vortice si trova anche Simona Torretta, una ragazza che ha da sempre uno sviscerato amore per la cultura islamica, una amica conosciuta al dipartimento di Studi Storico Religiosi che ha deciso da anni di impegnarsi in qualcosa che è al contempo pragmatico e politico. Una presenza quella di Un Ponte per... che ha sempre avuto un preciso valore politico di rifiuto degli orrori, degli oblii e delle ipocrisie imposte dell'embargo prima e della guerra poi. Un impegno che ha dato lustro all'Italia e che era la migliore bandiera del nostro dissenso all'embargo.
Ma le cose cambiano, la nostra presenza in Irak ha fatto grandi passi verso scelte ad alleanze ben precise, la nostra politica ha cambiato bandiera, non sono più i tempi pittoreschi di Bellini e Cocciolone, è difficile oggi chiedere dei distinguo, è difficile non essere invischiati negli effetti delle nostre scelte nazionali, non diventare inevitabilmente pedine di un gioco ben più grande del proprio lavoro. E' difficile chiedere alle infinite fazioni di un paese in guerra di riconoscere meriti individuali in modo particolare dopo che appare chiaro a chiunque che questa guerra è stata legittimata sulle bugie, sul malinteso fatto intendere, sulle generalizzazioni tra buoni e cattivi, sulle grandi categorie che hanno trasformato le molte tensioni e conflitti del nostro pianeta nell'immagine sfuocata ma utilissima di un unico monolitico terrorismo senza volto. Il problema grave che forse ancora sfugge è che a forza di invocarlo, in questo epocale adorcismo, il mostro finirà in modo perfettamente performativo per esistere realmente, e come in uno specchio ci restituirà la sua immagine speculare, il suo nemico, totale ed indistinto, noi.
Simona e gli altri di Un ponte, hanno lavorato per anni in Iraq, trovando il modo di crearsi il rispetto per il proprio lavoro, dando e chiedendo di distinguere, tra responsabilità. Oggi tutto questo in pochi anni non è più possibile. In questo comportamento asimmetrico trovo assurdo e sconsiderato che si allontani la politica, il dibattito sulle scelte del nostro paese, sulle scelte che in parte siamo costretti a rappresentare come cittadini, nel nome del non strumentalizzare. L'Italia che ripudia la guerra è oggi la stessa che vara nuove portaerei, dimenticandosi che fino ad ora ci siamo permessi solo una portaelicotteri non per mancanza di fondi, ma per costituzione come sanno bene anche Germania e Giappone. Le portaerei sono le uniche unità di attacco per definizione, quindi di invasione. Ma oggi il dilemma è sciolto e la nostra politica può giocare le proprie guerre umanitarie senza imbarazzi, dimentica dell'illegalità, delle menzogne americane, della nostra costituzione ed anche del lavoro di Simona.
Andrea Benassi