Quanti genitori acconsentirebbero oggi ad un ragazzino di 14 anni di spingersi nell'avventura della risalita di un fiume? Nella immaginazione di un adolescente “il Fiume” non era lo scarno torrentello che fa il suo onesto lavoro dal Carzolano all'Adriatico, ma una minacciosa potenza della natura con cui valeva la pena tentare la sfida...
Per la verità, oggi la vera sfida sarebbe quella di piegare la diffidenza dei genitori verso una impresa considerata quanto meno inopportuna (il MOIGE(1) si strapperebbe le vesti gridando allo scandalo, magari querelandone l'ideatore), ma allora – meno male – non fu così.
Grazie. Grazie davvero mamme e babbi di allora, provati figli di ben altre congiunture, per avere acconsentito quasi con sufficienza a quella impresa.
E l'impresa si tentò due volte, come spesso capita ai veri esploratori.
Del resto Esploratori veri eravamo, e coerenti con la mission a cui con la Promessa avevamo implicitamente aderito, avevamo bisogno e voglia di muovere verso “lontani orizzonti”. Fu così di fatto, e la risalita del fiume fu come mirare lontano, fu come una allegoria preparatoria alla imminente, dura salita della vita (mi sia consentito affermarlo con qualche personale cognizione di causa...)
Era il luglio del 1969. Il primo tentativo partì dalla Peschiera e finì poco sopra il Cozzo il mattino successivo, complici la pioggia, l'equipaggiamento troppo pesante, i diversi livelli di motivazione che animavano noi della squadriglia (si trattava di un incrocio casuale e volontario tra Falchi e Bufali).
Ricordo l'ingombro della batteria da cucina attaccata allo zaino di Vinicio, che amplificava l'impaccio. Ricordo chi, inesperto di cammino tra sassi ed acqua, rallentava la marcia degli altri, ma anche chi si faceva altro per dare una mano a chi era in difficoltà. Una mano nel senso proprio del gesto... ma forse non solo.
Ricordo Alessandro, nel suo ruolo di accompagnatore adulto, che osservava in saggio ed avvolgente silenzio la nostra fatica.
Sì perchè la regola era quella di camminare nel letto del fiume, da un sasso all'altro o direttamente in acqua. No a sentieri o piste sulle rive.
All'idea di un secondo tentativo, a parità di regole e con meta Palazzuolo, aderimmo in cinque: Marco e Bruno Menni, Bruno Poli, Pierugo ed io, con mio fratello Fabio come accompagnatore adulto. Tutti assolutamente motivati.
Questa volta l'equipaggiamento si fece molto più leggero. Niente più batterie da cucina, ma vitto di sopravvivenza con scatolette, latte, cioccolato. E poi abiti leggeri e scarpe leggere per camminare in acqua. Distribuimmo in maniera molto equilibrata i pesi della E61(2) e partimmo, a distanza di circa due settimane dal primo tentativo.
Da parte sua, il tempo ci si fece amico, del resto si era d'estate.
Ci vollero quattro giorni e tre notti per colmare la distanza. Non che questa fosse siderale (tant'è che in tre ore tornammo a casa a piedi lungo la Statale 306), ma sicuramente distribuita su un percorso molto impervio, allora come ora, credo.
Scoprimmo angoli a noi del tutto sconosciuti prima di allora, alcuni forse sconosciuti anche agli stessi pescatori, che pure si davano molto da fare per trovare anfratti con poca corrente per la pesca da fondo.
Non creda poi, chi legge, che l'acqua fosse particolarmente limpida: all'epoca la produzione suinicola era in forte espansione e la legislazione a tutela dell'ambiente ancora da venire.
Ciò nonostante una sera, a corto di acqua potabile, mettemmo in atto una vera pratica di sopravvivenza con l'aiuto delle tecniche descritte in “Scouting for boys “ (B.P.3), facendo filtrare l'acqua di fiume in una buca scavata a pochi metri dalla riva e aspergendola con qualche goccia di amuchina. Di certo qualche batterio seguì le nostre sorsate ma la cosa non ebbe conseguenze. E francamente, anche se oggi le mie competenze di medico igienista mi porterebbero a stigmatizzare radicalmente una simile pratica, lo rifarei.
E con quale orgoglio poi, sotto la chiusa di Palazzuolo, abbandonammo il fiume per raggiungere l'abitato, vestendo la divisa – chi l'aveva – sotto lo sguardo, tra l'indifferente ed il moderatamente incuriosito, della gente, turisti e villici!
Non cercavamo consensi da altri né avremmo potuto pretenderlo : non eravamo quelli dell'Amaro Montenegro... Però avevamo dalla nostra e dentro di noi il senso del compiuto, della sfida vinta, della curiosità appagata, delle immagini impresse nei nostri ricordi.
Che ora sono qui, dopo quarantacinque anni, ad evocare come meritevoli di essere evocate perchè appartenenti ad un periodo felice della mia vita, dove essere uno scout era un valore pregnante del mio esistere

Maurizio.
(All'epoca dei fatti e per qualche tempo anche dopo, comunemente conosciuto a Casola come Licio)

(1) Movimento Italiano Genitori
(2) tenda canadese da 8 posti
(3) Baden Powell
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