A scuola, in quella materia che un tempo si chiamava educazione civica, ti insegnavano che l'articolo 75 della Costituzione prevede l’utilizzo del referendum come potente strumento di democrazia popolare. L'iniziativa referendaria è riservata ai cittadini (500.000 elettori) e alle Regioni (5 Consigli regionali), che possono proporre all'elettorato l'abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge. Non so se a scuola si faccia ancora educazione civica, ma di certo gli elettori più giovani, prima dello scorso 13 giugno, mai avevano visto un referendum abrogativo ottenere un qualsiasi risultato.
Com’è noto infatti, perché l’esito del referendum sia valido, è necessario che partecipi al voto la metà più uno dei cittadini aventi diritto al voto. Solo che, negli ultimi quindici anni, nessuno dei 24 referendum abrogativi che si sono tenuti in Italia ha raggiunto il quorum. Il quesito che è andato più vicino al raggiungimento dell’obiettivo è stato quello del 18 aprile del 1999 sull’abolizione della quota proporzionale dalla legge elettorale allora vigente: l’affluenza si fermò al 49,6 per cento. Quelli che ci sono andati più lontano sono i più recenti, quelli del 21 e 22 giugno 2009 sulla riforma del Porcellum: l’affluenza si fermò al 23,31 per cento.
I motivi di tanti e tali fallimenti, nonché di milioni di euro spesi inutilmente, sono forse da ricercarsi nella scarsa qualità dei quesiti o nello scarso interesse da essi suscitati. Oppure dalla constatazione che talvolta il volere espresso dalla maggioranza dei cittadini sia stato tradito dalla politica, che con successive leggi è riuscita a ripristinare lo status quo.
Da un punto di vista prettamente statistico dunque, quel che è accaduto lo scorso 12 e 13 giugno ha del sensazionale: per la prima volta dopo tanto tempo una maggioranza reale del Paese, cioè non la maggioranza di coloro (sempre meno purtroppo) che vanno a votare, ma la maggioranza assoluta degli eventi diritto, la maggioranza reale degli italiani.
Sarà perché in questa occasione i quesiti proposti risultavano più accattivanti per le persone, sarà che questo referendum è stato pesantemente politicizzato, ma il risultato è che gli italiani hanno sentito la necessità di far sentire la propria voce. Non è poco, in questi tempi di disimpegno.
Che poi il risultato scaturito dal voto popolare sia migliorativo o meno per il nostro vivere quotidiano, solo il tempo lo dirà: personalmente ho meditato a lungo sulla problematica acqua, ma pur avendo espresso un’opinione in sede referendaria, non sono sicuro di aver fatto la scelta giusta. D'altronde, come possiamo rimproverarci qualcosa, se anche qualche accanito promotore del “Sì” il giorno dopo si è domandato se non fosse stato fatto un errore di valutazione…L’informazione è stata scarsa o quantomeno tendenziosa.
Anche se certi partiti hanno fatto di tutto per appropriarsi della vittoria del referendum, il voto del 12 e 13 giugno non è la vittoria dei partiti. Tutt’altro. I partiti hanno sfruttato l’onda dell’indignazione popolare e le emozioni, che però sono come neve al sole.
Ha vinto, credo, la democrazia, compresi quelli che hanno scelto di votare NO, ben sapendo che il loro voto avrebbe contribuito a raggiungere il quorum e quindi, di fatto, a far vincere il SI.
Oggi come oggi, diversamente dalle altre tipologie di elezioni, nel referendum è ammissibile che un individuo decida di esprimere la propria opinione cercando di impedire la validazione della consultazione. Ciò detto, oggi più che mai è necessaria una profonda riforma dell’istituto referendario, per far sì che chi vuole votare NO, lo faccia, anziché restare a casa a sperare che non si raggiunga il quorum. Inoltre dovrebbe essere più alto il numero di firme da raccogliere per promuovere un referendum: 500.000 sono facili da raccattare anche per quesiti assurdi, come se ne sono visti in passato.
Avremo votato bene, avremo fatto la scelta giusta? Chi può dirlo ora?
La vera nota positiva è che 25 milioni di italiani hanno espresso la loro opinione, speriamo che a nessuno venga in mente di sovvertirla.
Lorenzo Righini