L’estate 2009 ha visto accendersi il dibattito su una delle questioni fondanti della nostra identità itaiana, ovvero quel processo di unificazione chiamato comunemente Risorgimento. Il 2011 sarà infatti il 150° anniversario dell’Unità d’Italia. In un articolo di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera veniva posta l’attenzione su come manchi un’idea politico-culturale forte intorno alle celebrazioni, lasciate invece a progetti disomogenei sparpagliati sul territorio nazionale, quasi si volesse festeggiare in sordina una delle tappe della nostra storia comune.
Proprio intorno alle parole nazioni, stato, popolo, identità si stanno dando battaglia non solo le voci dei partiti ma i rappresentanti di impostazioni politico-culturali differenti.
Come è ovvio in primis la Lega Nord, che oltre ai soliti richiami all’inesistente popolo padano, alla libertà da Roma ladrona, alla retorica di un’identità immutabile e intoccabile, condisce il tutto con un volgare rifiuto dell’Inno nazionale e della bandiera tricolore. Per i leghisti l’Unità d’Italia infatti coincide con l’inizio di tutti i mali per i “popoli del Nord”. La novità agostana apportata da Bossi però questa volta tocca addirittura la lingua italiana, da accompagnare con i dialetti locali.
Con toni diversi, ma non meno preoccupanti, sta prendendo piede una folta schiera di revisionisti a cui non dispiacerebbe riscrivere i libri di storia, oscurando tutto ciò che di buono il secolo e mezzo di vita italiana ha portato ai suoi cittadini, presentando tutto come un ammasso di immondizia su cui continuare a gettare rancore.
Una terza faccia della medesima questione è rappresentata infine dall’indifferenza e dall’ignoranza, a volte più subite che desiderate. Il Risorgimento spesso per colpa della scuola stessa o è stato studiato poco o non è stato altro che una carrellata di ritratti oleografici su cui non si è adoperato nessun senso critico. Eppure molti dei concetti che infarciscono i dibattiti di oggi, tra cui il federalismo e la separazione stato-chiesa (solo per fare un paio di esempi), provengono proprio dall’elaborazione politico-culturale dei primi decenni dell’Ottocento quando l’Italia neppure esisteva se non nella testa di alcuni uomini illuminati e le potenze straniere tiranneggiavano sui pezzetti di penisola in mano loro.
Che si possa arrivare ad una lettura condivisa di quell’evento è auspicabile non solo per il bene della Storia, che non né di destra né di sinistra, che purtroppo a volte viene strattonata da una parte all’altra, ma per il bene di un popolo, quello italiano, che possa almeno ritrovarsi unito di fronte a quelle idee e quei luoghi con una memoria accordata, capace di riconoscersi figli di un passato comune. Ancora pochi giorni fa il Presidente delle Repubblica ha sollecitato gli studenti d’Italia ad utilizzare la parola patria, fuori da ogni forma retorica ed era stata la volontà dell’ex Presidente Ciampi a riportare in vita la nostra storia risorgimentale.
Ritrovarsi uniti di fronte alla propria Unità potrebbe essere anche il primo passo per affrontare serenamente la storia post 1861, quella che arriva ai nostri giorni ed è troppo spesso ferocemente riletta da occhi faziosi, tanto da far sembrare il dibattito pubblico italiano malato di revisionismo o di mistificazione. Che si tratti di un processo lungo e laborioso è indubbio eppure è lodevole e merita lo sforzo di tutti coloro che hanno a cuore il Paese in cui vivono.
A proposito dell’Unità d’Italia e della sua fondazione non sarebbe male che anche la nostra comunità casolana proprio per il 150° anniversario si prodigasse nella creazione di un tassello di questa memoria condivisa che può contribuire alla nascita non di un’identità omogenea ma che abbia tra i suoi punti fermi quello di appartenere ad un popolo che ha avuto una storia, che ha creato uno stato e che si è dato delle leggi. Non sarebbe cosa sbagliata quella ad esempio di colmare un vuoto a livello odonomastico, basta andare a Faenza per passeggiare in corso Mazzini o Garibaldi mentre a Casola non esiste una sola via che richiami al Risorgimento e all’Unità, non una statua o una targa. (Fatto strano che avremo modo di approfondire prossimamente sulle pagine di questo giornale.)
Una via intitolata a Mazzini, ad esempio, nella nostra Casola, paese di quella Romagna in cui le idee repubblicane per tanto tempo hanno trovato braccia aperte, non sarebbe affatto un atto retorico ma un piccolo segnale di quell’appartenenza ad una realtà nazionale per la quale ci si deve inorgoglire.
Riccardo Albonetti