Che si sia tornato a parlare di “questione morale” è certamente un dato allarmante in quanto significa che si avverte il bisogno di dover rinsaldare con vigore un sistema valoriale fino a qualche decennio fa evidentemente condiviso da tutte le forze in campo, sistema che in questi tempi è senza dubbio molto traballante e in balia dei tanti personali tornaconto.
Quale beneficio poter trarre allora da questo bailame di discussioni? È il discuterne stesso che porta giovamento alla comunità, la quale ricostituisce quegli anticorpi di cui la nostra società necessita
La dose in questo caso deve essere massiccia e si auspica che la discussione vada oltre la contingenza di un episodio ma si protragga nel tempo con gli interventi di tutte le componenti della società italiana, la “questione morale” non è solo cosa politica, ma pubblica in genere.
Se con occhio critico torniamo indietro di una ventina di anni ci imbattiamo nel peggiore dei sistemi di corruzione che la nostra Repubblica abbia vissuto, un sistema che in molti casi serviva ad arricchire le tasche di pochi ma che in genere aveva come obiettivo quello di creare una trama di alleanze politico-economiche che guidasse la storia e quindi la vita degli italiani. Credo che Tangentopoli inoltre non solo abbia avuto la peculiarità di aver coinvolto una larghissima fetta del mondo politico di allora ma, cosa ancora peggiore, che abbia insinuato nella comunità il germe della sfiducia che purtroppo non è più stato estirpato. La reazione popolare si scatenò anche violenta ed esagerata ed in un caso ha portato al giustizialismo più efferato e populista ma dall’altro ha iniettato un senso di sospetto generalizzato che serpeggia ancora, quante volte abbiamo sentito dalla voce del popolo pronuciare frasi del tipo “intanto sono tutti ladri”. Quale sia stato il danno peggiore è difficile da decifrare. La sfiducia ha condotto poi al disinteresse, che a sua volta ha portato al menefreghismo e quindi all’ignoranza completa. La società italiana non ha perciò creato un numero sufficiente di anticorpi per allontanare quella malattia. Gli ultimi quindici poi hanno fatto il resto, facendo a brandelli quel poco di fiducia che era rimasto all’insegna di una lotta troppo acre e dura. Purtroppo però la classe politica, per ignoranza, insipienza e incapacità è stata infettata, senza ovviamente rendersene conto, colpita in toto da quel morbo che continuava a serpeggiare con i risultati che oggi si vedono ogni giorno sui giornali. Una tale quantità di ministri, deputati, presidenti e cariche varie implicati in faccende penali, chiamati a rispondere di comportamenti dannosi per la comunità.
La cosa peggiore però è vedere come ministri, presidenti e cariche varie restino pur sempre al loro posto, la presunzione di innocenza rimane un sacrosanto diritto, ma anche il buon costume dovrebbe essere una lecita rischiesta da parte dei cittadini.
Come si fa a non cadere però vittima di fasulle illazioni?
A questo punto, a meno che non si creda ad un complotto cospiratorio, è l’azione della legge che dovrebbe costituire il primo passo al quale dovrà essercene uno politico. Per dirla in parole povere un deputato non si può dimittere dalla sua carica solo perché qualche giornalista fa illazioni, però è vero che se la magistratura accertasse irregolarità o quel deputato si dovrebbe dimettere o dovrebbe essere spinto a farlo.
Oggi però la politica è in costante avvicinamento al mondo del gossip, della chiacchera, della malizia e si pone una terza questione: dove finisce la sfera privata per un uomo delle istituzioni e inizia quella pubblica? Quale è il confine? Dove si trova il discrimine?
Ogni uomo dello Stato, qualsiasi sia il suo compito all’interno di esso, ha diritto ad una vita riservata e non continuamente vivisezionata, però ogni uomo dello Stato, dal momento stesso in cui decide di ricoprire quel ruolo, sa che diverrà oggetto di uno sguardo assai critico. È l’onore e l’onere di essere un uomo verso cui i cittadini, nelle forme e nelle modalità previste dalle nostre leggi, hanno posto la loro fiducia.
Il vecchio Cicerone, nella sua famosa orazione contro quel cospiratore sovversivo che era Catilina, esclamava O tempora O mores ovvero Che tempi che costumi, deplorando lo sfacelo morale del suo tempo.
Dall’età di Cicerone sono trascorsi una ventina di secoli e le questioni sono ancora le medesime, a conferma che vizi e virtù umane non sono cambiate poi di molto, però non è affatto consolatorio ed è giusto che ci sia ancora chi con sospiri e rimpianto provi disagio per i tempi in cui si vive e provi disgusto per quanto gli accade sotto gli occhi quotidianamente. Non viviamo tempi bui, non c’è dubbio, ma una certa nebbia è calata.
L’uomo della Repubblica, lo voglio chiamare così, sia una delle più alte cariche dello Stato oppure un semplice consigliere di provincia, deve sapere che i cittadini, e non solo i suoi elettori, sono lì pronti a giudicarlo, bene per ciò che di buono fa per tutti, male per quanto di sbagliato commette.
L’uomo della Repubblica deve avere la consapevolezza di dover essere un esempio per la comunità, per forza e ad ogni costo, deve essere conscio che ciò comporta uno sforzo colossale che ha come premio la riconoscenza dei cittadini, tutti. Ovviamente sono le nostre leggi la garanzia della giustezza delle azioni che si compiono. Questione morale significa perciò riportare in piazza un nodo nevralgico del vivere comune, al di là delle asprezze subitanee del dibattito politico, che deve richiamare l’attenzione di tutti i cittadini, in quanto uomini e donne capaci di discernimento e quindi indispensabili alla crescita di quel corpo che è il nostro Stato.
Riccardo Albonetti