Ho seguito la discussione sulle elezioni politiche, e vorrei esporre un punto di vista diverso. E per questo provo a valutare il risultato elettorale di domenica e lunedì, non per come è stato annunciato dagli exit poll o dai sondaggi, ma per quello che raccontano i numeri – quelli veri – e per gli esiti concreti di questo voto.
L’attenzione dei commenti e dei giudizi si è rivolta alle percentuali ottenute dai due schieramenti, separati da uno scarto minimo di voti.
Anche in altre occasioni lo scarto tra uno schieramento e l’altro è stato minimo, ma in quei casi il giudizio e la valutazione si rivolgevano al numero dei seggi conquistati, piuttosto che alle percentuali di voto.


E’ il nuovo sistema elettorale, non più maggioritario e uninominale ma proporzionale con premio di maggioranza, che ha fatto rivolgere tutta l’attenzione – a giudicare almeno dai commenti che ho letto su queste pagine – ai voti e alle percentuali dei due schieramenti. Ma malgrado il nuovo sistema elettorale, congeniato dal centrodestra proprio per impedire che si formasse in parlamento una maggioranza di seggi ampia e solida, alcuni dati precisi e netti, sono usciti, eccome.
Per intenderci, io considero il risultato di domenica e lunedì uno straordinario successo del centrosinistra. C’ è una maggioranza di seggi al Senato, certo esigua ma c’è. E il numero di seggi che il centrosinistra conquista alla Camera è quello massimo possibile, che non sarebbe cambiato neanche se i voti ottenuti fossero stati il 53 o il 54%: la nuova legge assegna infatti allo schieramento che arriva primo, il 55% dei 630 seggi della Camera, esattamente quelli che il centrosinistra, che è arrivato primo, ha ottenuto con il 49,8% dei voti.
La straordinarietà del risultato politico e elettorale è tutta qui, nel dato inoppugnabile che per la prima volta lo schieramento di centrosinistra non solo eguaglia, e non era mai accaduto, ma addirittura supera quello di centrodestra.
Certo, c’era una forte aspettativa che questo accadesse, ma segnalo che non era mai accaduto prima, e il fatto che sia accaduto non può essere liquidato come un risultato “minore”.
Con questo voto, grazie a questo voto, Berlusconi (malgrado i ripetuti tentativi di avvelenare il clima politico e di delegittimare il voto) non sarà più capo del Governo e il centrodestra passerà all’opposizione. E ancora, il centrodestra non potrà ipotecare l’elezione del Presidente della Repubblica, e più forti sono le possibilità di fare prevalere nel referendum costituzionale che si terrà a giugno, le posizioni contrarie alla conferma delle modifiche alla Costituzione (meglio note come devoluzione) volute dal centrodestra.
Ma soprattutto, questo risultato – con tutti i problemi, le difficoltà, i rischi, le insidie che non mi nascondo e che non sottovaluto – apre una prospettiva nuova della quale il centrosinistra guidato da Romano Prodi può essere protagonista e artefice. Una prospettiva di riforme, di cambiamento, che abbia al centro gli obiettivi programmatici indicati dall’Unione in campagna elettorale: la ripresa dello sviluppo, le tutele e i diritti, il lavoro, la sicurezza, una rinnovata speranza in un futuro migliore, il ruolo di pace dell’Italia.
Si dice che Forza Italia è ancora il primo partito, che la rimonta di Berlusconi è stata grande. Certo, ma più grande ancora è stata la rimonta del centrosinistra, iniziata con la scelta di candidare Prodi e culminata con l’enorme partecipazione democratica alle Primarie del 16 ottobre. Nel 2001 il centrosinistra, in ordine sparso (L’Ulivo per Rutelli, Italia dei Valori, Rifondazione Comunista) raccolse poco più di 16 milioni di voti contro gli oltre 19 milioni del centrodestra. Fuori dagli schieramenti, ma poi inglobati nel centrodestra, c’erano Democrazia Europea e la Lista Bonino-Pannella (800.000 voti per ciascuno). In quel 2001 votò l’81% dei 47 milioni di elettrici e elettori italiani e ci furono circa 2.700.000 voti non validi (bianchi e nulli).
Nelle politiche del 9 e 10 aprile scorso, la partecipazione al voto ha raggiunto l’83,5% (gli elettori erano 45.000.000) e i voti non validi si sono ridotti del 66% (1.102.000). La somma dei voti validi è quindi cresciuta, passando da 39 a circa 40 milioni. E la fetta più consistente di questa maggiore partecipazione al voto l’ha conquistata non la destra, ma il centrosinistra, che ha ottenuto oltre 19.000.000 di voti (ben 4 milioni di voti rispetto al 2001).
Chi ha vinto, chi ha perso allora? Forza Italia non è più il primo partito: aveva il 29,5%, ora ha il 23%. Il primo partito, il primo raggruppamento politico, a cui hanno dato vita i Democratici di Sinistra, la Margherita e i Repubblicani europei, è l’Ulivo, con il 31% dei voti.
E’ questo il raggruppamento che ha trascinato il voto del centrosinistra alla Camera, ottenendo più della somma delle percentuali ottenute da DS e Margherita al Senato, grazie alla maggiore capacità di attrazione esercitata dall’Ulivo e dal consenso raccolto tra i giovani che hanno potuto votare solo per la Camera. Nel suo commento Raga sostiene che “L'unico modo per soddisfare gli Italiani è creare un mega partito formato dalla fusione dei più grandi partiti Italiani, in questo modo non ci dovrebbero essere problemi. Ieri sera Rutelli e il mittttico Fassino hanno detto che entro un anno (anche meno) lo faranno: mossa azzeccata e obbligatoria…”. Sono d’accordo. Per me questo è un altro dei risultati, positivi, che ci consegna il voto del 9 e 10 aprile: una spinta forte e convinta all’avvio del processo di costruzione del Partito Democratico, di un partito che sia espressione delle diverse culture riformiste italiane, garante e motore del cambiamento e della trasformazione del Paese, elemento di unità e di coesione dell’Unione di centrosinistra.

Giorgio Sagrini
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