È uscito per la Emil Editrice di Bologna, il romanzo di Pier Ugo Acerbi:
OI, MAROS MAROS
Pier Ugo, per i casolani il De, per molti anni ha svolto la sua attività lavorativa all’estero, avviando gli impianti industriali che una nota azienda cooperativa imolese installa in tutto il mondo. Come già per il precedente “… RITORNO IN MAGGIO”, anche quest’ultimo libro trova ispirazione tra i ricordi di un trasfertista, e tra fantasmi di un mondo che non esiste più.
Kromtau, Kazakhistan, URSS. Inverno del 1990, un inverno particolarmente freddo anche per le abitudini della gente, forte e caparbia, che vive da quelle parti.
I personaggi principali del racconto sono Vladia, interprete e autista tuttofare, ma soprattutto persona di cultura, buona e saggia, Anatoly, direttore di fabbrica e uomo subdolo, degno rappresentante della nomenclatura di partito, Avksenty, ragazzo furbo e intelligente tanto da potersi procurare qualsiasi cosa al mercato nero, e Alexandra, cameriera conosciuta in un malandato e squallido posto-ristoro della città:
« Alexandra è russa da parte di madre e kazaca da parte di padre. Per questo motivo, sopra il suo viso slavo si intuiscono lineamenti orientali, in particolare la linea sinuosa seguita dagli zigomi. I capelli biondi e il colore azzurro degli occhi, un azzurro molto molto chiaro, li ha invece ereditati dalla madre. È una ragazza alta e longilinea, e come tutte le persone aggraziate parla sempre a viso aperto, diretta, guardandoti fisso negli occhi, lentamente e con calma. E non sia agita mai. Ha vent’anni e scrive con la sinistra.»
Infine, il protagonista principale del racconto… l’Impero Sovietico al suo tramonto:
«…a giustificare il sacrificio del momento c’erano i freschi e nobili ideali del socialismo… l’avvenire pieno di speranza per i figli.-
Vladia si passa una mano tra i capelli lunghi, che gli cadono sugli occhi, e scopre un viso solenne del quale è difficile dubitare. Riprende a parlare:
-Ma il momento è passato, e sono passati gli anni e poi i decenni. E piano piano la speranza si è spenta, sostituita con l’abitudine al disagio… un disagio continuo e avvilente. Ne è nata una malattia, proprio lì, nella fatiscenza dei caseggiati popolari. Una malattia dalla quale non si guarisce perché quando si vive in mezzo a pidocchi, pulci, topi e scarafaggi… dimmi un po’ tu: come si fa a guarire?... e così il minuscolo appartamento si trasforma nella mano stessa del regime, che ti trattiene, ti opprime e ti contiene come fosse una bara, nei suoi spazi angusti, con il corridoietto dove si passa uno solo per volta, con le parole disperate del vicino che attraversando le sottili pareti divisorie ti raggiungono in ogni angolo della casa. Fino a quando la bara si chiude per davvero e ti portano via in verticale, perché altrimenti non si esce dalla porta.-»