Nei giorni 11-14 maggio Daniele Faziani è andato in trasferta in Belgio e più precisamente nella città di Anversa, presso il Conservatorio superiore di musica della città, per effettuare un master class di sassofono nella classe del maestro Hans De jong.

Che tipo di esperienza è stata?

Una bella esperienza professionale ed umana, certamente  non nuova  avendo già testato in altre sedi la pratica dei masterclass; tuttavia il contesto ed il luogo sono stati molto stimolanti ed utili, inoltre non mi era ancora capitato d'insegnare anche solo per pochi giorni il mio strumento in un paese straniero.

Che differenze hai notato tra la didattica dell'insegnamento dei due paesi?

Quello che ho potuto verificare è  sicuramente  un buon interesse  alla sperimentazione nel campo della musica contemporanea anche a livello didattico; per loro appare assolutamente normale suonare musica non necessariamente tradizionale.  La musica contemporanea in Italia fatica maggiormente a fare breccia perché patisce ancora un grosso carico di pregiudizio e molto spesso nei nostri conservatori la pratica di suonarla è più affidata alla buona volontà dei docenti che ad una convinzione didattica. È certo che per eseguire tali composizioni le difficoltà tecniche e le problematiche strumentali non variano da paese a paese perché gli studenti hanno caratteristiche d’apprendimento simili alle nostre. In parole povere se sei dotato, sarai bravo sempre e comunque, se non lo sei si sentirà in qualsiasi angolo del pianeta,a  prescindere da quale nazionalità appartenga l’orecchio che ti ascolta.

 

Noi italiani siamo soliti pensare che all'estero tutto funzioni meglio e che in Italia non ci sia un settore non toccato da inefficienze, da incompetenza, da scarsa preparazione. Spesso abbiamo la netta sensazione che anche nel campo culturale i nostri vicini europei si trovino a lavorare in condizioni di vantaggio rispetto a noi.  Che impressione hai avuto dal punto di vista 'ganizzazione?

Posso parlare solo di impressioni e non di certezze, ho vissuto una bella esperienza ma comunque breve per esprimere un giudizio completo e ponderato, tuttavia noi italiani dobbiamo essere molto più convinti delle nostre capacità e credere maggiormente al miglioramento del nostro sistema musicale; ad esempio mi sono trovato quasi  spiazzato nel consegnare i documenti di prassi ne trovare anche nel nord Europa "lentezza, disinteresse, sufficienza burocratica, ecc.. ." Anzi a volte noi siamo molto più efficienti , come ad esempio il mio ufficio Erasmus che ha saputo gestire in modo efficiente la permanenza in contemporanea di oltre 20 docenti sparsi per l'Europa,  lavorando con dedizione ed impegno. Culturalmente noi italiani abbiamo una storia che spazia in tutti i campi e nella fattispecie credo non via sia paese europeo ed extra che non possa considerare l'Italia come il riferimento alla Musica. In più di noi altri paesi di grandissima tradizione musicale, come la Germania, l’Austria, la Francia e la Russia hanno un’organizzazione  musicale  superiore alla nostra  ritenendo tale arte parte integrante della formazione educativa e lavorativa dei propri cittadini. In questo senso noi dobbiamo attingere  l'efficienza e non le capacità  compositive, direttoriali   strumentistiche che spesso ci invidiano per grandezza e carica emotiva. 

Che contributo pensi di avere dato agli allievi della scuola di Anversa?

Spero di avergli fatto comprendere che lo strumento è un mezzo e non il fine per un musicista che ama davvero la musica. Da anni vado ripetendo che solo  il nostro pensiero è il motore reale del nostro fare musica e non le dita, il respiro, il labbro e altre sciocchezze simili. Banalmente non ho mai creduto davvero che per un musicista o un artista le doti fisiche corrispondessero necessariamente alle qualità appunto musicali, per fare solo qualche esempio  il celebre violinista ISAAC STERN interprete di numerosissime pagine dei grandi capolavori per violino, era munito di dita molto grosse, apparentemente scomode per una tecnica veloce, nonostante ciò riusciva a comunicare tutta la sua musica a livello altissimo, due grandi tenor sassofonisti LESTER YONG, STAN GETZ, avevano entrambi un labbro piccolo ma il loro suono era bellissimo e ricco di colore ancor oggi difficile da imitare. Pertanto sono convinto che per suonare uno strumento  occorre avere soprattutto una buona coscienza e credo che gli allievi d'Anversa abbiano recepito il messaggio.

Che cosa ne hai ricavato?

Certamente un buon rispetto per lo studio del proprio strumento e una forte convinzione e determinazione nel volersi  mettere in gioco con i vari linguaggi musicali.

Pensi che questo genere di esperienze giovi alla creazione di uno spirito europeo in cui ci si conosce e ci si confronta?

Ne sono fortemente convinto, è un contatto utile per tutti e ti porta a conoscere nuove realtà anche complesse , è un modo sano di affrontare con spirito costruttivo  le varie differenze culturali che ovviamente esistono per ragioni storiche e geografiche e  musicalmente ti permette  di esprimere concetti e contenuti importanti  verificando soprattutto che l'amore e la passione musicale sono per tutti identici e sempre avventurosi.

Intervista a cura di Riccardo Albonetti

Condividi questo articolo
FaceBook  Twitter