La regione Emila Romagna vanta un notevole patrimonio museale diffuso sul territorio, un patrimonio in cui si trovano ben rappresentati tutti gli ambiti e le tipologie afferenti ad un concetto largo di ‘Bene Culturale’. In modo particolare in ambito Demo-Etno-Antropologico la regione, può vantare la presenza di oltre 50 raccolte, con punte d’eccellenza nella gestione, alcune peculiarità a livello nazionale, ed un’interessante tendenza a nuove sperimentazioni. Manca invece di una riflessione ecomuseale, sopratutto in rapporto alla Toscana, alla Liguria al Piemonte o anche all’Umbria.

La cosa in se non sarebbe grave, soprattutto nell’ottica di un concetto di musealizzazione nuovo e complesso, che come tutti i nuovi paradigmi ha bisogno di tempo per arrivare a regime, per essere discusso in modo consapevole, per uscire dall’ambito delle riflessioni teoriche e divenire patrimonio comune. Il problema sorge invece nel momento in cui questo travaso teorico e concettuale s’incaglia e viene malamente malinteso, consegnando al senso comune ed all’ethos della pragmatica un concetto povero e strutturalmente già logoro ancora prima di essere calato nella realtà. Ed è proprio in un uso disinvolto di questo paradigma che ultimamente mi capita di imbattermi. La vocazione turistica, quale nuova enfasi economica buona per ogni territorio, sembra essersi impadronita del concetto ecomuseale, quasi per rinnovare il suo vocabolario, senza però sentire se non in minima parte l’esigenza di una reale riflessione teorica in merito. Assistiamo così allo strano fenomeno che trasforma parchi naturali, musei civici, ed altro in ecomusei per mezzo del semplice potere della nominazione. Sembra proprio che la mancanza di riflessione teorica abbia portato ad interpretare quel piccolo suffisso ‘eco’ come ecologico in senso semplicemente naturalistico, dando così una vernice nuova a vecchie strutture, un po’ come quando a Roma trasformarono il vecchio e decadente Zoo in un nuovo e moderno Bioparco, senza però avvertire gli animali del cambiamento, i quali, meno condizionabili degli uomini alle sole parole, non se ne accorsero. Così mentre guardo la lunga lista di spazi e realtà che una cooperativa della zona propone con lo slogan: “visitate gli Ecomusei della Romagna”, rimango perplesso ed un po’ contrariato. L’invito ha il sapore di un’esca sciapa ma a cui molti potrebbero credere, rendendo l’ecomuseo una parola concettualmente abusata, vuota e quindi inutile. Forse in quella lista trovo una o due realtà quasi ecomuseali, l’Ecomuseo della Bonifica di Argenta per esempio, per il resto sono strutture degne ed interessanti, ma che in questa categoria proprio non c’entrano. Vuoi vedere che passando di bocca in bocca quel suffisso ‘Eco’ è stato tradotto come l’abbreviazione d’ecologico? E’ davvero possibile che in un’epoca di specializzazioni, progetti, momenti di controllo e verifica, sia stato possibile far credere che ogni straccio d’area protetta, ogni luogo dove si possa equivocare sulla naturalità, sia un EcoMuseo? Ci sono molti termini e forme legislative per definire uno spazio protetto: parco nazionale, regionale, riserva della biosfera, riserva forestale, monumento naturale ecc. ecc. ma EcoMuseo proprio non c’entra nulla. Così come non c’entra con i Musei di scienze naturali, i musei botanici, i musei zoologici, giardini zoologici, bioparchi ecc. ecc. Ma se non è nessuna di queste cose, cos’è un Ecomuseo? Le parole sono importanti, e massimamente quando sono la sintesi di una riflessione lunga e sofferta e l’unico modo per rendergli giustizia è cercare di percorrere la strada che le ha prodotte, farne la storia. Ecomuseo è una cosa sicuramente complicata, perché, anche se non è di moda, non tutto è semplificabile e banalizzabile, in modo particolare quando ci si avvicina agli spazi della società della politica del territorio e dei modelli di sviluppo, politica, identità e sviluppo, perché proprio di questo si occupa un’EcoMuseo. Ma non è il caso di cominciare dalla fine.
La pratica della valorizzazione dei patrimoni culturali fa capo a conoscenze demo – etno – antropologiche per quanto concerne la valorizzazione dei beni culturali intesi nella più ampia accezione antropologica d’elementi del patrimonio e dell’eredità culturale della società (nazione, regione, ecc.).
Com’è testato dal Documento del 30 agosto 1989 della Sezione Ricerca e Documentazione della Direzione dell’Istruzione, Cultura e Sport del Consiglio d’Europa viene focalizzato come obiettivo fondamentale l’educazione ai valori. In questo senso grandissimo, almeno potenzialmente, è il contributo che può essere offerto dal museo locale. Siamo di fronte ad un nuovo concetto di museizzazione totale e musealizzazione diffusa, una tipologia intrecciata tra un ecomuseo ed un etnomuseo Vi sono concetti che superano, nel territorio, la tradizionale artificiale suddivisione tipologica, ancora necessaria sotto il profilo specialistico-operativo di museo archeologico, etnografico, naturalistico. Ecco che, in quest’ambito, il termine tradizionale germanico di landmuseum (con il significato più di Museo del Territorio che di Museo Provinciale) esprime meglio il concetto di museo totale, di museo che accoglie, conserva illustra e studia tutto quanto nel territorio meriti attenzione. Con un termine nuovo, tale concezione, ora è specificata come ecomuseo. Il presente museo ha una profonda natura antropologico-culturale. Le sue origini si possono riscontrare già alla fine degli anni ’60. Le nuove tendenze museali manifestavano l’esigenza di una conservazione non limitata a selezionati patrimoni culturali che per tradizione si voleva abbracciare, ma a tutte le multiformi categorie di beni esterni al museo stesso: paesaggio antropizzato, centri storici minori, architettura popolare contadina (non solo architettonica aulica, come si era soliti considerare), archeologia industriale, vecchie strade ferrate, antichi sentieri, mulini e vecchi canali, case cantoniere, coltivazione tradizionali in via d’estinzione, artigianato, manufatti in disuso, ex-voto ed altro materiale legato alla religiosità popolare, cultura orale, dialetti, ecc.).
Il termine ecomuseo fu coniato intorno al 1985 da Georges Rivière e venne definito come specchio in cui la popolazione (del territorio) potesse riconoscersi, leggendo la propria origine, la propria identità, il proprio futuro. Sotto il profilo pedagogico, sempre secondo Rivière è una scuola, nella misura in cui coinvolge la popolazione, nelle sue azioni di studio e di protezione, la sollecita per meglio comprendere i problemi del suo avvenire.
Nella struttura di un ecomuseo innanzitutto vi è il così detto capoluogo, ubicato possibilmente in un edificio storico monumentale, nell’ambito o nelle vicinanze di un centro urbano. Questa struttura funge da sede amministrativa di coordinamento, da magazzino, laboratorio al chiuso, e soprattutto da locale di raccolta-esposizione dei più significativi reperti archeologici (museo del tempo), di quelli naturalistici (museo ecologico) e delle tradizioni locali (museo etnografico). Su tutto il territorio sono sparse le antenne, cioè i centri museali locali: sedi di comitati e associazioni partecipativi e d’animazione, e insieme minimusei. Questi inoltre conservano tutti gli elementi determinanti delle caratteristiche originarie, come dell’evoluzione del territorio: i grandi monumenti (cascine, mulini, ecc.), i luoghi storici, come le oasi naturali. Una rete di itinerari raccorda tra loro e con il capoluogo le antenne.
L’ecomuseo, come museo d’identità regionale, è un museo pregno di simbolismo riferente sia al passato che al presente e al futuro, e i simboli, essendo in dipendenza dell’uomo che li interpreta, sono, come lui, carichi di valenze: positive o negative che siano.
Un ecomuseo non può prescindere dall’analisi dei servizi culturali esistenti, in particolare il servizio scolastico. La vocazione dell’ecomuseo è quella di essere rivolta verso l’esterno e alle diverse strutture, quali biblioteche, centri d’informazione, centri di ricerca, Università, enti di Sopraintendenza, Comunità Montane, Enti territoriali, Assessorati al turismo, centri di formazione, ecc. Sviluppa l’idea di conservare e di far conoscere le proprie e le altrui risorse territoriali, naturalistiche e storico-culturali, in una riscoperta sostenibile dell’ambiente e delle attività produttive emergenti, proponendo anche la sperimentazione di nuove forme d’intervento orientate al recupero e alla conservazione dei diversi patrimoni che ogni popolo ha saputo costruire e conservare. L’Ecomuseo si trova in questo senso ad essere una struttura fortemente “politica” nel senso che porta a compimento una concertazione territoriale “densa” e potenzialmente assembleare, in una lettura allargata agli oggetti territoriali, della partecipazione democratica. In quanto tentativo di abbracciare un’intera area territoriale, giacché manifestazione di un tendere irraggiungibile verso una mappa totale del reale, con le sue multiformi emanazioni e tentacoli decentrati, la prospettiva Ecomuseale si configura come sorta di Agorà dell’intero comprensorio, in una prospettiva che fa della politica di largo raggio una confederazione reticolare di queste esperienze partecipate, il tutto in una prospettiva di ecologia - sociale. Il recente incontro nazionale degli Ecomusei tenutosi a Biella dal 9 al 12 ottobre 2003, ha cercato proprio in questo senso di fare il punto sullo stato dell’arte, rappresentare una sintesi del movimento ed operare un tentativo che se non è di stretta definizione, almeno possa servire a definire ciò che non è un EcoMuseo. L’incontro rappresentativo ed ufficializzato a livello nazionale, ha visto la partecipazione di 54 realtà ecomuseali italiane, oltre ad un fecondo ed ormai imprescindibile confronto con le corrispondenti esperienze. La complessità ideologica del progetto appare già evidente nella trasversalità di una rappresentanza che spazia dal mondo accademico, delle sovrintendenze e del ministero dei beni culturali, ai rappresentanti degli enti pubblici locali, e dell’associazioni di categoria, confederazione italiana agricoltori, col diretti, confartigianato ecc.
L’incontro ha permesso di ribadire la centralità della comunità come elemento partecipante nell’esperienza ecomuseale, una partecipazione continua che è insita non tanto nelle necessità progettuali, quanto nel ruolo stesso di spazio di mediazione e gestione dei conflitti che l’ecomuseo incarna. Un rapporto che tiene però aperta la porta alle accademie agli istituti di ricerca proprio per mantenere un sufficiente spirito critico ed una pluralità di sguardi.
Un incontro che si fonde con la necessità di un’attività di ricerca continua resa oggi ancora più necessaria proprio dalla velocità dei cambiamenti in atto. Il ruolo eminentemente politico è poi evidente in alcuni dei punti elaborati nel documento conclusivo dell’incontro:


L’Ecomuseo non è solo un museo del passato e della memoria, ma soprattutto un laboratorio per costruire un futuro condiviso dalle comunità.

La cultura di cui si occupano gli ecomusei non è solo cultura materiale, si tratta di un lavoro su tutta la sfera culturale, da cui emerge in particolare l’aspetto etnografico e antropologico presenti in ogni realizzazione ed in ogni progetto.

La memoria che gli ecomusei mirano a recuperare non è tanto un elemento del passato, quanto un legame tra passato, presente e futuro che impedisca, nel quadro dell’attuale “modernità liquida”, che tutto diventi istante, momento, lampo isolato.

Un ecomuseo non è ecomuseo se non: trasforma la comunità, valorizza il territorio, incide positivamente sul paesaggio.

L’ecomuseo è luogo in cui si elaborano modelli per governare le contaminazioni, indi non deve chiudersi in una qualche rigida definizione, ma aprirsi alle contaminazioni imparando a gestirle. Lo stesso concetto d’identità locale va in tal senso inteso come valore dinamico e attivo in continua ridefinizione.

Gli ecomusei non hanno una vocazione alla marginalità, pur essendo la marginalità condizione che stimola una comunità a cercare strade per uscirne, e per questo condizione favorevole per la nascita di un ecomuseo.

Il sistema di valori che la rete degli ecomusei intende esprimere è un sistema complesso che trova senso e rilievo politico, sociale e culturale all’interno di un progetto collettivo di conservazione innovativa.

La costruzione del progetto ecomuseale è un “learning process” collettivo. Punto chiave perché un ecomuseo nasca e si sviluppi è l’avvio di tale processo partecipato di apprendimento. L’ecomuseo deve essere un mezzo e non un fine del percorso intrapreso.

L’Ecomuseo è anche momento di riflessione critica sul nostri modelli di sviluppo: laboratorio di sostenibilità e luogo di reinterpretazione dinamica delle peculiarità locali per l’avvio di processi di sviluppo locale. In tal senso ha obiettivi sinergici alle aree protette ed alle Agende XXI locali, con cui è opportuno che l’ecomuseo sviluppi maggiori contatti e relazioni.


Proprio in virtù di questo intreccio complesso e delicato il ruolo dell’ecomuseo è più simile alla gestione di un processo i cui esiti non sono dati a priori, un modello aperto che percorre una strada mai univoca attraverso cui gli individui possono riscoprire denominatori comuni, in una parola per essere ancora e nuovamente comunità. Una comunità che proprio perché in continuo e repentino cambiamento deve essere sempre più consapevole d’essere fenomeno dinamico la cui identità non è, e non potrà essere, statica, rigida ed immutabile. Un’identità del presente, viva e mutevole, che non è sbiadita e nostalgica copia di un passato perduto, né volontà di riscatto d’origini etniche o territoriali, bensì soggetto attivo capace di arricchirsi d’ogni stimolo nuovo armonizzandolo e legandolo agli altri, in un’indispensabile prospettiva di coesione comune. L’ecomuseo è quindi luogo fisico, ma anche spazio mentale, è piazza, agorà di una comunità in continuo divenire, spazio aperto e mutevole di condivisione e discussione, pronto ad accogliere il nuovo ed il diverso ridiscutendo il passato senza dimenticarlo né rinnegarlo, in un rapporto dialettico che valorizza le diversità per riconoscerne la ricchezza e farne sintesi condivisa.
Se un Ecomuseo per essere tale deve tendere alla realizzazione di questi obiettivi, in un periodo in cui tutti vogliono difendere l’originalità del loro prodotti contro le copie e le imitazioni, a maggiore ragione, nel nome della proprietà intellettuale e della vocazione pubblica che si è dato, l’Ecomuseo come parola sintesi e garanzia di un programma sociale, ha il diritto – dovere di dotarsi di strumenti atti a coordinare gli sforzi e garantire la natura del progetto. Strumenti che come la costituente Carta degli Ecomusei, definiscano i riferimento e le cornici concettuali:

“…rispondendo in modo adeguato all’esigenza di criteri di garanzia della qualità dei progetti e degli ecomusei, non solo in termini di servizi offerti, ma prima di tutto in relazione alla fondatezza della missione assunta dall’ecomuseo ed alla coerenza delle sue azioni ed iniziative a tale missione. L’eventuale definizione di un marchio per gli ecomusei dovrà tener conto in particolare della loro realtà libera e creativa per definizione per evitare, da un lato, di avviare processi di omologazione che porterebbero inevitabilmente ad un impoverimento dei progetti ecomuseali e, dall’altro, di scivolare nell’errore di promuovere l’ecomuseo come un prodotto turistico o commerciale”

Andrea Benassi

www.ecomusei.net
www.aisea.it
www.antropologiamuseale.it
www.arsdea.blog.tiscali.it

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