Ogni riferimento a fatti realmente accaduti, è puramente casuale.

Era il 13 Dicembre 1642, il navigatore olandese Abel Tasman, dopo aver scoperto la Tasmania, fu il primo europeo a raggiungere la Nuova Zelanda.

“Kia-ora…” (ciao, buongiorno, benvenuto) forse, l’accolsero proprio così.
Allo stesso modo in cui il popolo Maori, ha dato il benvenuto all’estrosissimo gruppo sbarcato in Nuova Zelanda più o meno il 26 Ottobre 2011. Una ventina di persone di faentina provenienza per la maggior parte, alcuni lughesi, un paio di casolani randagi, pare anche un evaso dal ghetto della bassa. Era il gruppo degli sbandieratori, dell’Antico Borgo Samorì.
La spedizione era salpata da Faenza, un giorno in cui la forma delle nuvole era quella di un poderoso veliero partito alla conquista dell’altra parte del mondo.
Musici, sbandieratori, comparse, un piccolo schieramento di individui guidati da un Napoleone moderno… tal Samorì, formidabile sbandieratore, bomber di purissima razza, esperto conoscitore delle più strampalate bevande, nonché detentore di rari record. Nome in codice della spedizione: “Vai Massimo”.
Obiettivo della spedizione: Portare a questa gente lontana, a queste terre, un piccolo choc ad invertire l’umore. Il tutto, armati di rionali colori e passione contradaiola.
Non so quale tipo di mistero spinge delle persone in questo tipo di viaggio. Fame di gloria, desiderio di conquista, sete di potere, prestigio, ricchezza.
Non so, forse è solo il voler far diventare realtà, un desiderio.
Nella lettura di quei giorni non s’incontrano soltanto personaggi, epoche, paesaggi. Penso solo a quello che separa il vento che nasce dal movimento di una bandiera, al suono che esce dal soffio di una chiarina. E penso al battito di una percussione. Sono come onde in sintonia, che medicano il cuore.




Zio Bill

Per lunghe e interminabili notti, i nostri, furono ospitati in un paio di Marai. Il Marai, è un tempio Maori e il Marai, ha bisogno della propria ritualità. Prima dell’ingresso, è necessario togliersi le scarpe. Maori da una parte, i nostri dall’altra. Un incontro dominato dal rito, dalle verità dell’inconscio, dalla natura istintuale dell’uomo e per fortuna da una naturale incomprensione.
Preghiere, canti, rituali, gesti, l’haka… i Maori.
Una bandiera italiana e un Romagna Mia in versione Casadei, i nostri. Grazie a tutti gli dei, Maori e non che in quel momento hanno avuto la grazia di abbandonare un po’ della nostra stupidità. Uno di questi dei, sicuramente Maori, era proprio lì accanto a noi. Zio Bill. Una sorta di prete Maori, autista ad un modo tutto suo, del pullman che utilizzavamo per gli spostamenti. Uno che sicuramente non “blogga” sull’imperialismo americano, ma vera linfa culturale per molti. Personaggio che non solo ha lasciato l’impronta col suo pullman, con vetro dietro oscurato perché è Zio Bill che guida, su una colonna di un distributore. Ma una vera e propria impronta di pensiero, una spugna di idee da farsi sul mondo. Pensate che alla fine, Zio Bill, Maori, una settantina d’anni, ci accoglieva con un “Te bota…” e ci salutava con un “Sssssssssccccccccccccccccccciiiiiiiiiiiiiiiiiiiiaaaaaaa…”. Si dice che qualcuno l’abbia sentito canticchiare anche Romagna Mia. Un’anima alternativa.

Ma Zio Bill, è una piccola parte. Ci sono tante cose che restano per sempre anche quando ce le si dimentica. E raccontarle, non renderebbe, quanto loro hanno dato a chi era presente. Qui, ho incontrato qualcuno che forse, ha trovato la sua nicchia. E un luogo, dove la natura continua a macinare umanità.
E come sul finire di una nuvola di zolfo, evaporiamo da fatti e persone associati su percorsi inusuali. Avvolti dal colore e dalle emozioni di quel periodo.


rl
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